Scuola e società

Scuola e società

Sempre in un’ottica marxista, bisogna stare attenti all’altra degenerazione, allo scivolamento verso forme di sottoproletariato che non si nutrono più di valori bensì di dis-valori quali la delinquenza comune, la strutturazione in bande, la violenza gratuita, il furto, ecc. Questo mutamento si nota bene nelle scuole: ogni anno classi più violente, allievi/e intrattabili ed incontenibili. Del resto: con quello che li attende in futuro, cosa c’è da contenere?

Carlo Bertani

Un’altra Europa

Un’altra Europa

Non mi stancherò di ripeterlo: poiché l’Europa a cui anche tu, caro Luciano, aspiri – l’Europa kantiana dei popoli e delle nazioni, della libertà e dell’uguaglianza – è l’esatto opposto dell’odierna eurocrazia delle banche e della finanza, dello spread e del debito, dell’asservimento dei popoli e delle “tragedie nell’etico”, è impossibile e, di più, esiziale pensare che la soluzione, come tu dici, sia nel teologumeno “ci vuole più Europa”: tale teologumeno presuppone che l’Europa così com’è non sia un progetto criminale da abbandonare in nome di un’altra Europa, bensì un primo passo, sia pure imperfetto verso la “vera” Europa.

Diego Fusaro

Liberare i migranti e arrestare il capitale

da http://www.oltrelacoltre.com/?p=17351

Alla luce di quanto detto, dovrebbe esser chiara un’esigenza: alle giuste mobilitazioni contro il reato di immigrazione clandestina bisognerebbe affiancare, in primo luogo, il rilancio delle proposte finalizzate al controllo politico dei movimenti di capitale. Dove per controllo dovrebbe intendersi il ridimensionamento dei mercati finanziari e il riassorbimento, nell’ambito della dialettica politica, della questione cruciale del riequilibrio dei conti esteri. Il ripristino di una rete di controlli sui capitali è una delle condizioni necessarie per impedire che lo scontro distributivo e occupazionale continui ad esprimersi solo tra i lavoratori, in particolare tra nativi e migranti. Potremmo affermare, insomma, che se l’intenzione fosse davvero quella di “liberare” i migranti allora bisognerebbe iniziare ad “arrestare” i capitali, ad imbrigliarli cioè in un sistema di controlli simile a quello che sussisteva fino agli anni ’70 del secolo scorso [1]. Se non sussisteranno le condizioni per collocare la partita per una più civile legislazione sull’immigrazione in una contesa più generale sulla politica economica, la predizione del “monito degli economisti” sarà confermata: una sempre più vasta prateria di consensi verrà lasciata all’onda nera dei movimenti xenofobi.

[1] Per approfondimenti, si rinvia al capitolo “Contro il liberoscambismo di sinistra”, in Emiliano Brancaccio e Marco Passarella, “L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa”, Il Saggiatore, Milano 2012.

Autosufficienza energetica

.”Mi aspettavo che dopo Fukushima sia il governo tedesco che la comunità europea sarebbe diventata sensibile ai temi dell’energia e dell’ambiente” racconta il sindaco “invece non è stato così, sono vittime degli interessi spropositati di chi vuol far credere che sia necessario consumare gas, petrolio, carbone, per riscaldarsi, illuminare le case, far muovere le automobili, far funzionare una intera comunità dove abitano circa 400 persone. Non è vero. E’ possibile essere completamente autonomi e indipendenti: l’alternativa esiste”.

http://www.spiegel.de/international/germany/a-power-grid-of-their-own-german-village-becomes-model-for-renewable-energy-a-820369

In fuga dall’Italia

In fuga dall’Italia

Molto interessanti i commenti, uno a caso:

“Sono in pensione e non sono sposato, dopo aver ricevuto l’ultima pensione ho provato a fare la differenza tra la mia pensione lorda e quanto ho percepito nel mese di marzo.
Il risultato è che io percepisco il 37 per cento della mia pensione lorda ovvero 1822 euro.
Ho cosi potuto riscontrare che io pago il 67 per cento di tasse varie.
Dal mese di marzo ho incominciato le pratiche e le richieste necessarie per poter emigrare in Nuova
Zelanda, allo scopo di poter salvare la pensione che mi è rimasta.
Dio deve averci proprio maledetti.”

Questo è quanto

di Italo Romano

Alla fine i nodi vengono al pettine. Le politiche di austerità, come ampiamente preannunciato dai massimi economisti mondiali, sono state un flagello per l’assetto socio-economico italiano.

Il debito pubblico italiano continua a salire sia in termini assoluti che in punti percentuali di Pil: nel secondo trimestre 2012 era di 1.982.898 milioni di euro, pari al 125,6% del pil, nel primo trimestre di quest’anno era di 2.035.833 milioni, al 130,3%, mentre nel secondo trimestre è arrivato a 2.076.182 milioni, ovvero è stata raggiunta la cifra record di 133,3%.
E’ il secondo debito pubblico Ue più alto dopo la Grecia (169,1%) e con uno dei maggiori incrementi tra primo e secondo trimestre di quest’anno.
Almeno, stando ai dati diffusi da Eurostat.

Inoltre, l’Italia esce dal G8, il club degli otto Paesi più industrializzati ed economicamente rilevanti del mondo.

 

Dopo la Cina nel 2000 e il Brasile nel 2010, quest’anno spetta alla Russia il grande sorpasso. L’Italia scivola, così, al nono posto per Prodotto interno lordo (Pil), partecipe del G8 per lignaggio politico ma fuori per dimensioni del fatturato, peso economico e capacità di proiettarlo nel mondo.

La caduta rischia però di non arrestarsi. Alle tendenze attuali fra non oltre cinque anni l’Italia sarà fuori anche dai primi dieci, scavalcata da Canada e India e relegata all’undicesimo posto; quello per il quale oggi competono Spagna e Corea del Sud.

I dati del Fondo monetario mostrano che dal 1980 la Cina è cresciuta di 29 volte, l’India di 9, gli Stati Uniti di 5,8. L’Italia in questo è in linea con Francia, Germania o Gran Bretagna: negli ultimi 40 anni la sua economia si è moltiplicata circa per quattro.

Quando nel 2014 l’Italia farà un altro turno di presidenza dell’Unione europea, continuerà a partecipare al G8 con una piccola differenza, resteremo tra gli otto grandi solo per tradizione, si potrebbe dire, ma non certo dimensioni del fatturato e peso economico.

L’Europa, l’euro e l’usura mondiale stanno affondando il vecchio continente. Il capitale si rigenera e mette radici laddove la schiavitù è già formalmente legalizzata, o mai stata dichiarata tale.

Il Paese sta per essere smantellato. Saremo “usati” solo come una portaerei dagli Stati Uniti e uno scalo di transito per la manodopera a basso costo, una sorta di “via degli schiavi”, di cui necessita la dittatura del capitale mondialista.

Tutto ciò avviene mentre in Italia si parla “magicamente” di altro.

InsolvenzFest

Seconda edizione di InsolvenzFest – Confronti pubblici interdisciplinari sull’insolvenza

Dettagli dell’evento

Quando

dal 25/10/2013 alle 14:45
al 26/10/2013 alle 23:00

Persona di riferimento

Recapito telefonico per contatti

+393485860620

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L’Università di Ferrara e l’OCI (Osservatorio sulle crisi d’impresa) hanno organizzato per il 25 e 26 ottobre prossimi la seconda edizione di Insolvenzfest, il festival nazionale dedicato al debito pubblico e privato, alle crisi d’impresa e alle implicazioni per la sorte degli Stati, la vita dei cittadini e dei lavoratori.

“ Insolvenzfest – spiega Alessandro Somma, Delegato del Rettore per l’Area Internazionale, coordinatore scientifico del Festival assieme a Massimo Ferro, Giudice della Corte di Cassazione –   approfondisce le tematiche dell’insolvenza, solitamente poco accessibili per la loro complessità, ricorrendo all’aiuto di esperti chiamati a confrontarsi e soprattutto a renderle comprensibili a studenti e cittadini, con dialoghi interdisciplinari tra docenti universitari, esponenti della società civile, giornalisti e magistrati, che si terranno nell’Aula Magna del Dipartimento di Giurisprudenza. I dialoghi saranno affiancati dalla proiezione di documentari, a cura di Arci Ferrara, e dalla presentazione di libri presso la libreria Ibs”.

 

Locandina

Programma

 

Deindustrializzazione

Deindustrializzazione

Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori.

Gli orrori di Omega

Gli orrori di Omega

Ma una volta rimesso piede sul pianeta originario, Will si troverà di fronte a qualcosa di ancora più pericoloso dei “giochi” di Omega: il condizionamento terrestre e soprattutto l’esasperato conformismo di una civiltà che, nel raggiungimento della perfezione tecnologica,  sembra essersi definitivamente insabbiata.

Omega

Omega

Arrivando al presente, nel giugno 2012, il Commissario Europeo Michel Barnier ha reso noto che tra il 2008 e il 2012 l’UE ha approvato aiuti alle banche per 4.500 miliardi di euro.
Una somma pari al 37% del PIL totale europeo.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/07/il-megasostegno-dellue-alle-banche-4500-miliardi-di-aiuti-di-stato-in-3-anni/256429/

Eppure non c’è stata maggiore inflazione.
Con quegli stessi soldi si sarebbero azzerati i debiti pubblici di Italia, Grecia e Spagna messi insieme, evitando le sofferenze alle quali si sono assoggettate decine di milioni di individui, oltre a centinaia di suicidi. E ancora sarebbero avanzate le somme necessarie per un poderoso rilancio dell’economia di tutta la zona UE.

Via dall’Italia!

di Loretta Napoleoni

Si salvi chi può, ecco il motto degli imprenditori italiani travolti dalla deindustrializzazione. In Eurolandia solo la Finlandia condivide questo triste destino. I motivi, secondo la Commissione europea, sono legati all’aumento del salario lordo ed alla bassa competitività del Made in Italy. Ma pesa anche il costo energetico (il più alto dell’Unione insieme a Cipro), l’eccessiva burocrazia e il basso livello d’investimenti nella ricerca e nello sviluppo. Ecco spiegato perché dal 2007 ad oggi la produzione industriale italiana è crollata del 20 per cento.

Di fronte alla nave che affonda chi sa nuotare si getta in acqua per raggiungere la terra ferma. È quello che hanno cercato di fare le 682 imprese che hanno risposto all’invito del sindaco di Chiasso, per partecipare a un incontro sulla possibilità di trasferirsi in Svizzera. Ne sono state selezionate per l’incontro 168.Tutto ciò succede nella stessa settimana in cui due colossi italiani Telecom ed Alitalia, e presto anche sezioni di Finmeccanica, vengono svenduti sul mercato internazionale ai partner-concorrenti stranieri, rispettivamente Telefonica ed Air France-Klm. Partner che esercitano opzioni loro concesse anni fa dal management italiano. Queste sono le ultime di una lunga lista di imprese prestigiose – dalla Ducati alla Plasmon fino alla Fiat, ormai trasferitesi negli Stati Uniti – a diventare di proprietà straniera.

Viene spontaneo chiedersi se le piccole e medie imprese italiane varcano il confine per paura di finire anche loro fagocitate dai concorrenti stranieri. Timore razionale: con la pressione fiscale più alta in Europa, costi di produzione astronomici ed una burocrazia da terzo mondo, lavorare bene in Italia ed essere competitivi non è più possibile.

In Svizzera invece la situazione è diametralmente opposta: l’Iva è ancora ferma all’8% – in Italia si discute se portarla al 22%. La pressione fiscale media sulle imprese è del 17,1%, quella complessiva è meno della metà del 68,3% imposto alle aziende italiane. Chi investe a Chiasso, come in tutto il Ticino, e assume lavoratori locali, ha la possibilità di ottenere rimborsi sugli oneri sociali. Infine, chi punta in settori innovativi, come quelli tecnologici, ha anche qui la possibilità – poi tutto varia da caso a caso – di ottenere aiuti sugli investimenti. La deindustrializzazione colpisce tutte le imprese ed è frutto per le piccole della pessima gestione dell’economia e per le grandi della ancor peggiore conduzione manageriale da parte di individui scelti dai politici egualmente incompetenti. Le disavventure di Alitalia ben illustrano questa situazione. Vale la pena rinfrescarsi la memoria a riguardo.

Nel 2008 i francesi offrirono 6,5 miliardi di euro per gli investimenti necessari a far ripartire l’impresa in cambio del pacchetto di maggioranza dell’azienda. Berlusconi, allora in campagna elettorale, disse di no e guidò l’Operazione Fenice alla quale parteciparono alcuni suoi “accoliti” industriali e manager con lo scopo di far rimanere italiana l’Alitalia. Risultato: oggi l’Alitalia trasporta circa 25 milioni di passeggeri, meno di un quarto di quelli di Lufthansa e meno di un terzo di quelli della compagnia low cost Ryanair e del gruppo franco-olandese Air France-Klm. Un disastro!

Lo Stato italiano ha buttato quattro miliardi di euro per sanare il fallimento della compagnia di bandiera. La cordata di imprenditori capitanata da Roberto Colaninno e Intesa Sanpaolo ha perso un altro milione e le leggi ad hoc varate dal governo Berlusconi sulla chiusura del mercato, con il divieto d’intervento per l’Antitrust sulle tratte monopolistiche detenute dalla nuova Alitalia, non hanno funzionato. Il destino triste dell’industria italiana è segnato dall’inettitudine della sua classe politica. Trasferirsi in Svizzera, per molti, è l’unica alternativa al declino.

Saldi all’italiana
Nel 1992, dopo la svalutazione, Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, guida i primi saldi all’italiana sul mercato internazionale. Multinazionali angloamericane, ma anche francesi e svizzere, arrivano in Italia per «fare shopping»: vanno in cerca di società, specialmente agroalimentari e di meccanica di precisione, da comprare a poco prezzo. La Nestlé, per esempio, compra l’Italgel per 680 miliardi di lire contro una valutazione di 750. Anche i giganti italiani guadagnano dallo smembramento del patrimonio nazionale: il gruppo Benetton si aggiudica per 470 miliardi GS autogrill, che poi rivende ai francesi di Carrefour GS per 10 volte tanto. Viene privatizzata totalmente la Telecom, oggi fagocitata dalla Telefonica spagnola, e parzialmente l’Enel e l’Eni.
La svendita del Made in Italy non porta, come era stato promesso, al miglioramento dei conti pubblici ma contribuisce al processo di deindustrializzazione che oggi preoccupa la Commissione Europea. Nel 1994 il debito pubblico ammontava a 1.771.108 miliardi di lire mentre il gettito generato dalle privatizzazioni per il triennio 1993-1995 fu di di appena 27.000 miliardi, meno dell’1,5 per cento.

Fonte: www.caffe.ch

La fine di Europa

di Gianluca Freda

Se davvero la linfa vitale europea è stata rappresentata per secoli da questa conflittualità virtuosa tra opposti interessi, possiamo dire che la Seconda Guerra Mondiale e l’avvento del dominio statunitense avevano già seriamente compromesso – senza però ancora spegnerlo – questo dinamismo, imponendo poco alla volta ai paesi sconfitti il modello “democratico” americano; nel quale le rivalità permanevano, ma solo nello scontro tra élite che operano dietro le quinte. Alla guida diretta degli stati sconfitti venivano insediate, in qualità di subdominanti, entità partitiche, le cui divergenze erano incentrate sulla spartizione degli ambiti di potere superstiti, ma solo entro i limiti consentiti dai conquistatori. La permanenza di un forte “secondo polo” d’attrazione politica (l’URSS) consentì comunque, ancora per oltre un quarantennio, una certa percentuale di agibilità di movimento a questi residui di dinamismo statale europeo. La caduta dell’URSS e il perfezionamento delle strutture dell’UE, ha spento completamente – e nonostante le apparenze del contrario – la conflittualità interna tra i diversi attori delle politiche nazionali. Il controllo dei dominanti sui singoli stati si è potenziato e irrigidito, con l’istituzione di una gerarchia politico-economica centralizzata. I subdominanti nazionali di un tempo sono divenuti meri esecutori di una strategia politica imposta dall’esterno. Non più duellanti per la conquista di poteri settoriali nell’ambito di nazioni con una loro (sia pur limitata) autonomia, ma sguatteri in lotta fra loro per ostentare ai padroni il maggior livello possibile di piaggeria. Non più dinamismo conflittuale, ma mero volo di avvoltoi addestrati che si accaniscono sul corpo di nazioni agonizzanti, i cui destini sono totalmente nelle mani di entità sovranazionali esterne. Esattamente come l’impero del Turco, di cui parlava Machiavelli, oggi l’Europa “è governata da uno signore; gli altri sono sua servi”.

estratto da: http://blogghete.altervista.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=883:gianluca-freda&catid=40:varie&Itemid=44