Gli esperti stimano che l’esodo dei portoghesi sia al livello di 100-120.000 persone all’anno. Analizzando le qualifiche e la fascia di età degli immigrati, sono giunti alla conclusione che coloro che se ne vanno sono principalmente lavoratori semi-qualificati che dispongono di mezzi sufficienti per affittare abitazioni all’estero, e possiedono un piccolo capitale per sopravvivere per qualche tempo senza lavoro. La popolazione più povera non emigra, ad eccezione dei rari casi dei ricongiungimenti con le loro famiglie.
I lavoratori qualificati sono una minoranza. Ad esempio, in Lussemburgo, dove il 19% della popolazione è portoghese, solo il 2% è costituito da lavoratori qualificati del settore finanziario e scientifico. Per lo più i portoghesi all’estero lavorano nell’edilizia, nelle utilities, nel settore alberghiero, nel commercio e nei servizi.
Nonostante i luoghi comuni, la maggior parte degli emigranti non è formata da disoccupati (la disoccupazione nel paese è al 17,5%), ma da persone insoddisfatte della propria vita. Vogliono avere la propria carriera, stipendi più competitivi, e status e riconoscimenti che non possono ottenere a casa. In alcuni settori, come quello medico, la situazione è catastrofica. Sia i medici che il personale ospedaliero stanno lasciando il paese. Questo è il settore in cui lo Stato spende una grande quantità di denaro nella formazione. Ad esempio, per formare un infermiere vengono spesi all’incirca 16.500 euro.
La maggior parte degli emigrati sono giovani in età riproduttiva, e questo provoca un calo della naturale crescita della popolazione. Secondo il programma nazionale di diagnosi precoce, nel 2011 il Portogallo, per la prima volta nella sua storia, ha toccato il livello più basso di natalità – 100.000 bambini.