La fine dell’Italia

La London School of Economics traccia un’analisi a tinte fosche della situazione italiana

Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà”.

Così Roberto Orsi, italiano emigrato a Londra per lavorare presso la London School of Economics, prevede il prossimo futuro del Belpaese.

 

UN SETTORE DISTRUTTO – Il termometro più indicativo della crisi italiana, secondo   Orsi, è lo smantellamento del sistema manufatturiero, vera peculiarità del made in Italy a tutti i livelli: “Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce.

“Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori.

“ Ha firmato i trattati sull’Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate,  ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’UE sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza, l’Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono certa la scomparsa completa della nazione “.

RESPONSABILITA’ POLITICHE – Quando si tratta di individuare le responsabilità, Orsi non ha dubbi nel puntare il dito contro la politica: “L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio dell’ex Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano.

“L’interventismo dell’ex Presidente è stato particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e dei due successivi esecutivi, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. L’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Chi lo ha sostituito ha seguito esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità.    I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici; e in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia”.

http://quifinanza.it/

L’articolo “FRA 1O ANNI DELL’ITALIA NON RESTERA’ NULLA” è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.

Malthus reloaded

Il pensiero di Malthus è quello di una ristretta oligarchia che, sentendosi soverchiata dall’impetuoso sviluppo economico e demografico che la circonda, si pone come obbiettivo quello di soffocare il progresso umano, così da conservare intatti i suoi privilegi ed il suo potere. Il pensiero di Malthus e quello neomaltusiano sono l’anima più profonda delle élite massonico-finanziarie, il cui oscurantismo è più intellegibile che mai oggi, che si assiste al dilagare della guerra in Medio Oriente, dello stragismo di Stato in Occidente e dello scientifico impoverimento della popolazione a vantaggio di quello sparuto nucleo di finanzieri che controllano le banche centrali.

Nell’opera “Esame sommario del principio della popolazione” del 1830, Malthus descrive i metodi con cui è possibile contenere la crescita demografica. Esistono, secondo l’economia inglese, tre freni: costrizione morale, vizio e miseria. Con la prima, Malthus invoca lo smantellamento del miserrimo Stato sociale inglese allora vigente (“the Poor Law”) e la negazione del diritto al lavoro, cosicché le famiglie, senza reddito o con salari miserrimi (suona famigliare?) procrastino il più possibile il concepimento dei figli; con il “vizio” Malthus intende la diffusione della corruzione morale, dell’omosessualità e dei rapporti “sterili”; con la “miseria” si intende infine il degrado delle condizioni di vita, le epidemie, “gli eccessi di tutti i generi” e la guerra, utili a contenere la crescita della popolazione.

Leggere qualche passo di Malthus è illuminante e consente di capire i veri obbiettivi che si nascondono dietro il neoliberismo e le politiche di contorno, dalla diffusione dell’omosessualità alla depenalizzazione delle droghe17:

“Si può di conseguenza affermare che in tutti i paesi ove le entrate annuali delle classi lavoratrici non siano sufficienti per allevare in piena salute le famiglie più numerose, la popolazione è effettivamente frenata dalla difficoltà di procurarsi i mezzi di sussistenza (…) I restanti freni del tipo preventivo sono: il tipo di rapporto che rende sterili alcune donne delle grandi città, una corruzione generale della moralità relativa al sesso, che ha effetti analoghi; le passioni innaturali e le arti improprie che impediscono le conseguenze di relazioni irregolari (…) Si rivela perciò necessario ricorrere soprattutto al maggiore o minore numero di persone che non si sposano o si sposano tardi; ed il ritardo del matrimonio dovuto alla difficoltà di provvedere ad una famiglia (…) può essere utilmente definito la costrizione prudenziale agente sul matrimonio e sulla popolazione”.

 

estratto da http://federicodezzani.altervista.org/crisi-demografica-oltre-alleuro-dentro-il-pensiero-neomaltusiano/

Brutta senz’anima

di Salvo Ardizzone Dopo una maratona negoziale di 40 ore, a Bruxelles il vertice dei Capi di Stato e di Governo si risolve in quella che la presidente lituana Dalia Grybauskaite definisce una sceneggiata. Un’Europa senz’anima, priva di un progetto comune condiviso, s’è mostrata per quella che è: un’accozzaglia di Paesi che nel più assoluto egoismo inseguono il proprio immediato tornaconto. I dossier che scottavano sul tavolo erano tanti e tali da poter travolgere quello che resta dell’ipocrita finzione che è la Ue: migranti, il nodo delle banche e soprattutto le condizioni speciali che Londra pretendeva per rimanere nell’Unione. Ognuno ha remato per conto proprio e con la solita ipocrisia il nodo (enorme) dei migranti è stato rinviato a un summit straordinario convocato per il 6 marzo, quando potrà essere presente Erdogan, il “sultano” che tiene sotto ricatto l’Europa con i profughi che lui stesso prima crea e poi le getta in grembo. Il nodo delle banche è stato solo sfiorato fra mille polemiche, con una Germania che, come al solito, non vuole sentir parlare di garanzie condivise fra gli Stati (se non alle condizioni che le convengono) e chiede un meccanismo che distruggerebbe quelle italiane. Come sempre se ne riparlerà più avanti. L’unico dossier che non poteva essere rinviato era il pacchetto che Cameron chiedeva per scongiurare l’uscita dell’Inghilterra dalla Ue, la Brexit. Per vincere le elezioni del maggio scorso, il leader britannico aveva promesso un referendum sulla permanenza di Londra nell’Unione, ed ora ha un disperato bisogno di un risultato da sbandierare come un successo dinanzi ad elettori sempre più euroscettici, per scongiurare una Brexit che sa una iattura per grandi aziende e finanza inglesi. Al di là dei contorti tecnicismi, ciò che chiedeva era un trattamento di favore per la City, una marcata autonomia da Bruxelles (leggi: la possibilità di stare alla finestra accettando solo ciò che fa comodo) sia in campo politico che commerciale, una drastica limitazione dell’accesso al welfare inglese dei lavoratori europei che vi si recano (creando lavoratori di serie B, in pratica senza tutele). Richieste che hanno sollevato le furiose opposizioni di chi si sentiva danneggiato: Francia e Italia per i privilegi pretesi dalle banche della City, Paesi dell’Est in difesa dei propri lavoratori e così via. È finita come doveva finire, appunto con una grande sceneggiata con poca sostanza: a parte parole, su nessuna delle richieste Londra porta a casa quanto voluto, ma getta le basi di un infinito contenzioso per il futuro grazie alla voluta ambiguità di molti passaggi. Sia come sia, adesso tutti gridano al successo: Cameron che sostiene dinanzi ai suoi elettori d’essersi battuto per l’Inghilterra, salvo essere già sbugiardato dai tanti euroscettici di casa sua; Merkel che tira un sospiro per aver tamponato il crollo del sistema che fa tanto comodo alla Germania; gli altri Paesi che hanno fatto la loro passerella. Resta il fatto che il problema (se tale è) è stato solo rinviato, e al referendum Cameron avrà armi spuntate contro i suoi avversari. La verità è che una Ue, dilatatasi all’inverosimile senza alcun progetto politico, dinanzi alle crisi sempre più frequenti si mostra per quella che è: un ectoplasma paralizzato dai singoli egoismi e privo di qualsiasi coesione. La verità è che un Continente intero, sempre più debole, litigioso ed autoreferenziale, non volendo scegliere alcuna politica propria, s’è condannato alla sudditanza di chi gliela impone dall’esterno (leggi Washington). La verità è che l’intero sistema, esclusivamente ritagliato su misura sui miopi interessi economici del Paese egemone (la Germania), cade a pezzi, e presto verrà travolto dagli strumenti di chi lo vuole colonizzare (Ttip e così via). Fonte: Il Faro sul Mondo

riportato in http://www.controinformazione.info/dal-vertice-di-bruxelles-esce-uneuropa-senzanima/

Le mappe della discordia

Sotto la mappa “Peters” del 2006

Ciascuno può constatare la forza destabilizzane di questa mappa (che probabilmente è all’origine anche dalla paranoia della casa regnante saudita,che non si sente più protetta da Washington ). Con l’ambizione di correggere gli accordi colonialisti Sykes-Picot, l’americano (aiutato dalla PNAC) crea problemi incendiari: fra l’altro occorrendo suscitare inimicizie sanguinose mal sopite (il progetto israeliano: beati i seminatori di zizzania), e nazionalismi in gruppi linguistici e religiosi che   mancano da sempre di questa aspirazione, essendo stati membri di imperi tradizionali (la Persia, la Cina, la Russia, l’impero ottomano…), sono adusi a far riferimento identitario ai loro clan, tribù e kabile,  e quindi sono privi della cultura politica di autogoverno necessaria a formare uno stato:   basti come esempio, quello di una popolazione “di civiltà occidentale” che non riesce a farsi stato-nazione e affonda nella corruzione, nella guerra civile, nel collasso economico e nell’oppressione neonazi: l’Ucraina, la cui esistenza dipende soltanto dai miliardi che vi pompano il FMI, Bruxelles e il Dipartimento di Stato.

estratto da http://www.maurizioblondet.it/forse-la-mappa-impazzire-erdogan/

Ultim’ora

by Gordon Duff Confermato: i Jet russi e siriani sono pronti per abbattere qualsiasi aereo turco o saudita che attraversi la Siria. La Turchia è disposta a chiudere il Bosforo ed ad attaccare le navi russe nel Mediterraneo. Il bombardamento delle artiglierie turche contro le posizioni curde, all’interno del territorio siriano (dura già da alcune ore) viene visto da molti osservatori militari come il preludio ad un attacco terrestre contro le forze Siriane-curde anti terroristi all’interno della Siria. Fonti accreditate sostengono che l’Arabia Saudita, che dovrebbe partecipare all’attacco terrestre assieme alla Turchia, sarebbe disponibile a portare armi nucleari tattiche (?) alla Turchia. La Turchia dispone già adesso di 84 armi nucleari tattiche nella base aerea di Incirlik, sotto il controllo NATO. Le stesse fonti avrebbero confermato che l’Arabia Saudita e la Turchia dispongono di aerei americani F-15 ed F-16 modificati per attacchi nucleari da parte di Israele. Gli USA hanno eliminato tutti gli aerei di attacco nucleare della Turchia dietro ordine del presidente Obama. Abbiamo conferme che la Turchia avrebbe un piano contingente per impadronirsi dell’arsenale nucleare della NATO a Incirlik, con l’aiuto delle forze speciali saudite che sono state addestrate in Israele per sbaragliare le misure di sicurezza delle armi nucleari degli Stati Uniti. Abbiamo anche una conferma che l’Arabia Saudita sta muovendo i suoi aerei sulle piste nella base statunitense in Turchia. Questa settimana gli aerei USA hanno bombardato i civili su Aleppo ( due ospedali colpiti) da questa stessa base. Sia l’Arabia Saudita che i russi si aspettano una invasione turca su larga scala in risposta al consolidamento delle posizioni delle formazioni curde dello YPG, con aiuto statunitense, per prendere le nuove posizioni che (in mano alle forze curde/siriane)  potrebbero bloccare l’accesso alla Turchia dei rifornimenti per i loro soci dell’ISIS in Siria. Entrambe le fonti ad alto livello dei russi e dei siriani, contattati questa mattina, hanno confermato che una estensione del conflitto è imminente. La Turchia ha annunciato ufficialmente che le forze turche sono pronte a muoversi contro i curdi dello YPG (sostenuti dagli USA) che loro considerano un gruppo terrorista. La Turchia non ha alcuna intenzione di attaccare l’ISIS. Esiste l’evidenza di prove che Ankara ed Erbil sono completamente dietro l’ISIS. Il Ministro delle relazioni estere Turco, Mevlut Cavusoglu, ha detto “Loro (i sauditi) sono venuti, hanno fatto una ispezione della base.  Al momento non è ancora chiaro quanti aerei sauditi verranno sulla base”. La Turchia fornisce i rifotrnimenti all’ISIS in Iraq attraverso la via di Duhok, con l’aiuto del regime di Erbil, che si sono messi contro Bagdad e le altre forze curde. L’Esercito turco ha già individuato gli obiettivi curdi nel nord della Siria

Fonte:  Veterans Today Traduzione: Manuel De Silva

La crisi “petrolifera” del 1973

Come documento profondamente nel mio libro Un secolo di guerra: la politica del petrolio anglo-americana, l’idea dei “petrodollari” risale allo shock petrolifero del 1973. Quell’anno un’oscura rete atlantista di piuttosto influenti banchieri, multinazionali del petrolio e funzionari dei governi di Stati Uniti ed europei, circa 84 individui selezionati, s’incontrò in gran segreto per due giorni di sessioni al Saltsjoebaden Grand Hotel, di proprietà della ricca famiglia svedese dei Wallenberg. Lì, nel maggio 1973, la riunione del Bilderberg discusse del petrolio. Il vertici bancari e i baroni del petrolio anglo-statunitensi, tra cui David Rockefeller della Chase Manhattan Bank; barone Edmond de Rothschild dalla Francia; Robert O. Anderson della compagnia petrolifera ARCO; Lord Greenhill, presidente della British Petroleum; René de Granier Lilliac presidente della Compagnie Française des Pétroles, oggi TOTAL; Sir Eric Roll della SG Warburg, creatore degli eurobond; George Ball di Lehman Brothers; l’industriale tedesco e amico dei Rockefeller Otto Wolff von Amerongen e Birgit Breuel, poi capo della Treuhand tedesca, che spogliò il patrimonio dell’ex-Germania democratica, erano presenti. Così pure l’industriale italiano e stretto collaboratore dei Rockefeller, Gianni Agnelli della FIAT. L’incontro a porte chiuse, su cui fu vietato una qualsiasi copertura della stampa, discusse dell’imminente aumento del 400% del prezzo del petrolio dell’OPEC. Piuttosto che discutere di come tale shock sulla crescita economica mondiale potesse essere evitato con un’attenta diplomazia con Arabia Saudita, Iran e gli altri Stati arabi dell’OPEC, l’incontro si concentrò su cosa ne avrebbero fatto dei soldi! Discussero come “riciclare” l’aumento di quattro volte del prezzo della merce più importante del mondo, il petrolio. I verbali ufficiali e confidenziali della riunione Bilderberg a Saltsjoebaden, che ho letto, discussero del pericolo che a seguito dell’enorme aumento dei prezzi del petrolio OPEC, “l’inadeguato controllo delle risorse finanziarie dei Paesi produttori di petrolio possa disorganizzare completamente e minare il sistema monetario mondiale“. I verbali parlavano di “enormi aumenti delle importazioni dal Medio Oriente. Il costo di queste importazioni aumenterebbe enormemente“. I dati forniti nel corso della discussione a Saltsjoebaden dal consulente petrolifero degli Stati Uniti e relatore Walter Levy, mostravano un aumento dei prezzi del petrolio OPEC previsto a circa il 400 per cento. Questa fu la vera origine di ciò che Kissinger in seguito chiamò il problema del “riciclaggio dei petrodollari”, l’enorme aumento dei dollari dalle vendite di petrolio. La politica di Stati Uniti e Regno Unito, o meglio la politica di Wall Street e City di Londra, era assicurasi che i Paesi dell’OPEC investissero le loro ricchezze petrolifere principalmente nelle banche anglo-statunitensi.

L’8 giugno 1974, il segretario di Stato statunitense Henry Kissinger firmò l’accordo che istituiva una Commissione congiunta USA-Arabia saudita sulla cooperazione economica, il cui mandato ufficiale incluse “la cooperazione nella finanza”. Nel dicembre 1974, nella segretezza assoluta, l’assistente del segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Jack F. Bennett, poi divenuto CEO di Exxon, firmò un accordo a Riyadh con la Saudi Arabian Monetary Agency (SAMA, la banca centrale saudita). La missione della SAMA era “stabilire un nuovo rapporto con la Federal Reserve Bank di New York con l’operazione di prestito del Tesoro USA. In base a tale disposizione, SAMA acquisterà nuovi titoli del Tesoro con scadenza di almeno un anno“, spiegò Bennett nel febbraio 1975, appunto al segretario di Stato Kissinger. Il governo di Washington era ora libero di avere deficit quasi illimitati, sapendo che i petrodollari sauditi avrebbero comprato il debito degli Stati Uniti. Washington in cambio promise ai principi sauditi la vendita di armi degli Stati Uniti, vincendo su entrambi i lati….Il risultato fu la drammatica rinascita del dollaro che affondava, un profitto eccezionale per le major petrolifere di Rockefeller e Regno Unito, allora conosciute come le Sette Sorelle, il boom delle banche di Wall Street e City di Londra, gli eurodollari “riciclati” nei petrodollari e la peggiore recessione economica del mondo e degli USA dagli anni ’30. Per i banchieri di Londra e Wall Street l’economia era mera esteriorità. L’accordo petrolio-dollari tra Stati Uniti e Arabia Saudita, che tiene tutt’oggi, fu ignorato da Sadam Husayn che, in occasione di Oil-for-food delle Nazioni Unite, vendette il petrolio iracheno in euro depositati presso la banca francese BNP Paribas. La pratica irachena del “petroeuro” finì bruscamente nel marzo 2003 con l’invasione statunitense dell’Iraq. Da quel momento alcun Paese dell’OPEC ha venduto petrolio in qualsiasi altra valuta. Ora, l’Iran rompe i ranghi, infliggendo un altro duro colpo all’egemonia del dollaro USA al sistema del dollaro quale valuta di riserva mondiale dominante. Dopo tutto non c’è alcuna legge internazionale che imponga ai Paesi di comprare e vendere petrolio solo in dollari, no? La fine di ciò che è diventata la tirannia del sistema del dollaro si avvicina con la decisione dell’Iran di vendere petrolio solo in euro, ora. E’ un mondo davvero affascinante.

https://aurorasito.wordpress.com/2016/02/12/washington-ancora-sottovaluta-gli-iraniani/

William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente laureato in politica alla Princeton University ed è autore di best-seller su petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.

La battaglia di Aleppo

Cosa significa quel corridoio verde per le forze anti-siriane? Prima di tutto, è il corridoio per inviare armi e carne da cannone, provenienti in grandi quantità. Sì, la provincia di Idlib condivide un confine più a lungo con la Turchia, quindi è troppo presto per parlare di sacca, ma è anche una questione di comodità di accesso, e il corridoio verde dispone di autostrade, valichi di frontiera, rotte del contrabbando ben consolidate, e Aleppo stessa, in parte persa da Damasco, è un importante nodo logistico per i flussi di uomini e mezzi ai terroristi. Idlib ha un confine assai meno conveniente, in quanto il terreno montagnoso impedisce il trasporto di grandi quantità di rifornimenti. Ma c’è anche un’altra importante via logistica che appare in appendice, il commercio tra i jihadisti e lo Stato islamico. L’accordo con la partecipazione di Ankara precisa che le s’invia il carburante dalle province settentrionali siriane, ricevendo cibo in cambio. Questo ne fa l’ancora di salvezza per entrambi, dato che lo SIIL controlla i principali giacimenti di petrolio nel deserto, e i gruppi filo-turchi occupano terreni agricoli, senza petrolio e raffinerie. La Turchia usa naturalmente lo scambio per affrontare le carenze di carburante e cibo in queste parti della Siria occupate dai terroristi. I giornalisti ad Idlib e nelle parti di Aleppo controllate dai jihadisti indicano una situazione umanitaria difficile. Stabilimenti alimentari, trasporti, servizi chiudono per mancanza di carburante per i generatori diesel. Non c’è luce o energia elettrica. Naturalmente, non indicano che gli autoveicoli dei jihadisti circolano allegramente. Il rapido peggioramento delle condizioni sociali nelle province occupate dai terroristi, in combinazione con l’offensiva dell’EAS, ha causato alcune manifestazioni di crisi umanitaria. Vi sono segnali di panico, soprattutto tra i terroristi che hanno sfruttato la Siria da tempo, arricchendosi con il contrabbando e che hanno anche creato famiglie, con l’obiettivo ultimo di utilizzare i fondi accumulati per passare poi in luoghi più prosperi come Turchia o Europa. Fuggono verso la frontiera con la Turchia e si concentrano nei campi specializzati. Ankara afferma che ci sono 50mila rifugiati e chiede che il mondo presti attenzione alla crisi apparentemente causata dalle bombe russe. I valichi di frontiera sono chiusi, le persone continuano ad arrivare e l’”apocalisse umanitaria” riceve ampia copertura dei media occidentali. Questo piano probabilmente sarà usato da Ankara e occidente per fare pressione sulla coalizione Russia-Siria, e potrebbe servire come pretesto per l’invasione via terra.

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https://aurorasito.wordpress.com/2016/02/11/la-battaglia-di-aleppo-unanalisi-dettagliata/

La battaglia di Ratyan

 

La Russia, la forza trainante che domina i cieli siriani, vuole garantire un posto ai curdi che Turchia e Arabia Saudita respingono dal tavolo dei negoziati per la pace di Ginevra, ma che dovrebbero conquistare alla fine di febbraio. Iran e Russia sono decisi a cambiare la situazione della Siria a vantaggio di Damasco prima della fine dell’estate. Le città si arrendono senza combattere, come Dayr Jamal, e altre, come Tal Rifat, negoziano una via d’uscita ai terroristi per evitare la distruzione della città. Un alto ufficiale che opera in Siria ha detto, “l’unità Sabarin della IRGC operante nelle grandi periferie di Aleppo (Rif di nord, sud, ovest ed est) fu creata più di dieci anni fa in Iran quale Forza Speciale d’élite, addestrata a combattere le guerre penetrando in profondità dentro e dietro le linee nemiche, soprattutto contro i jihadisti. È la punta di diamante contro al-Qaida nel Rif a nord ed ovest di Aleppo, e nel Rif orientale contro il cosiddetto “Stato islamico” (SIIL). Oltre 47 ufficiali e soldati sarebbero caduti nell’ultima offensiva di Aleppo”. “L’opera di disinformazione dell’Iran in questi mesi ha ingannato i media ufficiali che credevano che le sue forze si stessero ritirando dalla Siria, quando i velivoli da trasporto militari inviavano nuove truppe ad Aleppo pianificando la rottura dell’assedio di Nubul e Zahra, le due città sciite del nord assediate da oltre tre anni da al-Qaida e alleati. Dopo l’abbattimento del jet Su-24 russo sul confine turco-siriano da parte della Turchia l’anno scorso, la Russia ha mutato i piani militari per impegnarsi ancor più in Siria mirando a tagliare tutte le linee di rifornimento e collegamento tra i jihadisti e il loro protettori in Turchia. Pertanto, piani sono stati elaborati per controllare le frontiere dal Rif di Lataqia, dove l’offensiva avanza rapidamente, e dal Rif di Aleppo. Un centro operativo è stato creato ad Aleppo per dirigere i fronti settentrionale e meridionale dove l’unità al-Sabarin è principalmente impegnata”. Secondo la fonte, “quando Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno espresso la volontà d’inviare una forza militare in Siria, come concordato con gli Stati Uniti d’America, è arrivata la risposta dal comandante del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie dell’Iran, Maggior-Generale Mohammad Ali Jafari. Le sue forze sono direttamente presenti sul campo, a nord, contro al-Qaida (Nusra) e a nord-est contro lo SIIL. Ciò significa che IRGC ed Hezbollah affronterebbero tutte le truppe che sbarcassero nella loro area operativa senza alcun coordinamento con Damasco. Il centro operativo iraniano è incaricato di liberare l’area al confine tra Turchia e Siria e di combattere qualsiasi forza nemica ad eccezione dei curdi e dei loro alleati, considerati forze non-nemiche”.

https://aurorasito.wordpress.com/2016/02/10/6000-pasdaran-ad-aleppo/

Centralità dell’Italia

Da leggere con molta attenzione il riassunto storico:

http://federicodezzani.altervista.org/2016-un-paio-di-carte-per-affrontare-la-burrasca/

Concludendo, lo scenario più probabile è quello di un’escalation militare che, partendo dal Medio Oriente, si diffonde a livello internazionale: devono essere quindi monitorare con attenzione la Turchia e l’Arabia Saudita, entrambe in situazioni critiche, e le elezioni americane di novembre, dove il nuovo presidente, eletto probabilmente con l’apporto decisivo delle lobby israeliane e saudite, sosterrà, a differenza di Barack Obama, un intervento diretto sullo scacchiere mediorientale. L’Unione Europea sarà a quel punto in un avanzato stato di decomposizione ed i singoli interessi nazionali (vedi il recente accordo russo-tedesco per il potenziamento del North Stream) preverranno quasi certamente sugli obblighi verso la NATO. Ponderare attentamente le mosse, non sarà un’opzione: specialmente per un Paese come l’Italia, al centro del decisivo Mar Mediterraneo.

N.d.R : Con questa classe politica non è certo pensabile una politica autonoma da parte dell’Italia

Epidemie e vaccini

Per non dimenticare le parole di David Rockefeller nell’indirizzo a un vertice della Commissione trilaterale nel giugno del 1991, “Siamo grati a Washington Post, New York Times, Time Magazine e altre grandi pubblicazioni i cui direttori partecipano ai nostri incontri e rispettano la promessa di discrezione da quasi 40 anni. … Ci sarebbe stato impossibile sviluppare il nostro piano mondiale se fossimo stati sottoposti alle luci della pubblicità in quegli anni. Ma il mondo è più sofisticato e pronto a marciare verso un governo mondiale. La sovranità sovranazionale dell’élite intellettuale e dei banchieri mondiali è sicuramente preferibile all’autodeterminazione nazionale esercitata nei secoli passati”.

https://aurorasito.wordpress.com/2016/02/04/la-fondazione-rockefeller-proprietaria-del-virus-zika/

Ritorno a Maaloula

di Eugenio Palazzini e Alberto Palladino

Maaloula, 3 feb – A Maaloula tutti la chiamano Signora della Pace, ci osserva arrivare dalla cima del brullo crinale che domina la città insieme alle bandiere della Siria sovrana. È la statua della Madonna che i terroristi di al-Nusra abbatterono come primo barbaro gesto non appena occupato questo luogo a un’ora di macchina da Damasco, simbolico ma soprattutto strategico per le sorti del conflitto.

La prima cosa fatta dall’esercito di Assad nell’aprile del 2014 non appena riconquistato il cuore della cristianità siriana, l’unico luogo al mondo dove ancora si parla l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo, è stata rimettere al suo posto la Signora della Pace. A compiere questo gesto dal forte significato, non solo per gli abitanti cristiani, furono soldati musulmani dell’esercito governativo. Qua nessuno ha mai colto, con buona pace dei nemici dell’armonia, il concetto di scontro di civiltà.

Maaloula

Torniamo a Maaloula dopo 4 mesi, lo scorso settembre i segni del conflitto erano evidenti, tra edifici distrutti e negozi ancora chiusi a causa della devastazione perpetrata dai terroristi che non esitarono a torturare e uccidere i cittadini di ogni credo fedeli al proprio governo, stuprando le donne e lanciando bombe a casaccio tanto per colpire nel mucchio. Adesso poco è cambiato ma molti abitanti, costretti a fuggire nella vicina capitale sono tornati e il gestore del negozio di fianco al monastero di Santa Tecla ci guarda sorridente. Solo pochi mesi fa il negozio era ancora chiuso e la saracinesca ammaccata era abbassata, crivellata dai buchi delle pallottole. Lo sono ancora molti negozi di Maaloula, chiusi e ammaccati. Eppure la bandiera siriana rosso bianco nera dipinta su ognuno di essi, come sui muri delle case, serve già a dare un segnale di speranza al popolo.

All’interno del monastero sono ancora ben visibili i segni delle martellate sugli antichi mosaici e le preziose Bibbie conservate da secoli nella biblioteca bruciata sono andate perse per sempre. Non esiste più neppure l’hotel Panorama, con la caffetteria italiana La Grotta fino a cinque anni fa punto di ritrovo quotidiano di turisti e pellegrini provenienti da tutto il mondo. È stato l’ultimo edificio della città, in cui si erano asserragliati 4 mila jihadisti, ad essere riconquistato dall’esercito di Assad. Adesso è poco più che un cumulo di macerie. Camminiamo all’interno dell’ex hotel calpestando vetri rotti e cicche di sigarette, il soldato che ci precede era in prima linea nella battaglia finale per la riconquista. È ancora qua, ha lo sguardo limpido di chi ha sconfitto il buio della barbarie, e sorride. Non si muoverà dal suo avamposto, ci dice, “fino alla vittoria finale”.

Vedi Video: Il Primato Nazionale

Fonte: http://www.controinformazione.info/siria-viaggio-a-maaloula-la-citta-cristiana-che-assad-ha-salvato-dai-terroristi/