Cry for you Argentina

Una cosa che le oligarchie globali dell’occidente respingono in quanto portatrice di risveglio politico e dunque pericolosa per gli assetti egemoni acquisiti dal potere capital finanziario.

il Simplicissimus

ar1.jpg_825434843L’Argentina è la prova del nove della schizofrenia contemporanea, ossia della separazione tra narrazione di potere e realtà, tra opinione pubblica e informazione, tra conoscenza e mitologia economica, tra logica e politica. Ed è un esempio abbastanza lontano e al contempo abbastanza vicino a noi per esaminarne i sintomi e le piaghe. Il presidente Macrì, discepolo di Washington e del liberismo è in carica da tre mesi e già sono cominciati i licenziamenti nell’amministrazione e l’apparente opera di sistemazione del debito con l’aumento delle tariffe e dei servizi del 300 per cento in media, ma addirittura del 500% per l’acqua. Il tutto esaltato d stampa e televisioni  – mentre a Buenos Aires venivano accolti  prima Hollande e poi Obama in veste di capo Milonga  – come volontà di  far apparire l’Argentina come Paese normalizzato, affidabile, aperto alle acquisizioni straniere (con relativi e immancabili tagli di posti di lavoro oltre che di…

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Escalation

Ammettiamo che il titolo del testo del 30 marzo di JForum ( “il portale ebraico francese”, come si definisce) è del tutto giustificato e indovinato “La strana partenza di Vlad” (“Vlad”, Putin per gli amici…). Il titolo in francese riprende un testo di DEBKAfile sempre del 30 marzo 2016, annunciante, con una foto che mostrava un presunto veicolo lanciamissili nella base di Humaymim, il dispiegamento dei missili superficie-superficie a corto raggio Iskander (SS-26 per la NATO). Il modernissimo SS-26 è già ben noto, in particolare con lo schieramento a Kaliningrad, quale miglior missile terra-terra a corto raggio di oggi, con una sofisticazione elettronica notevole che ne consente precisione, seminvulnerabilità all’intercettazione e la possibilità di cambiare bersaglio o seguire un bersaglio in movimento.

estratto da https://aurorasito.wordpress.com/2016/03/31/putin-piazza-il-deterrente-nucleare-in-medio-oriente/

A me personalmente sembra più interessante il riferimento a Kaliningrad

 


http://emergingequity.org/2015/06/23/kaliningrad-moscows-military-trump-card/

Abbiamo già fatto rilevare in altri articoli la pericolosità di una politica “Europea” anti-russa (ribadita di recente dalla nostra Federica Mogherini); ce ne sarebbe abbastanza da stare in pensiero (se ancora ci fosse il pensiero).

Pensioni

“Le pensioni, si è detto, sono eccessive, perché sottraggono ricchezza alle generazioni future, che non potranno ricevere un reddito accettabile quando saranno diventate inattive. Inoltre, la “generosità” dello Stato verso i pensionati dilapiderebbe le ricchezze disponibili per gli anni avvenire. Pertanto, il ridimensionamento del sistema previdenziale sarebbe una questione di etica pubblica, ispirato a un “principio di responsabilità”, come direbbe Hans Jonas, verso il futuro.”

Se ci fosse ancora una logica condivisa sarebbe chiaro che:

Il carattere ideologico di queste proposizioni si evince dalla totale assenza dal discorso invalso presso i mezzi di comunicazione di massa di un analogo criterio nella distribuzione della ricchezza tra le classi. Ammesso che questa sia strutturalmente ridotta rispetto al passato, che quindi non possa essere incrementata e che si renda necessario un suo razionamento, perché non si richiede un’identica redistribuzione dai ceti privilegiati (in particolare l’aristocrazia finanziaria) verso quelli più deboli?

Oltre a questo c’è, peraltro, una mistificazione anche sul piano tecnico. L’attuale generazione, da questo punto di vista, non ha alcun debito con la prossima, giacché quest’ultima dipenderà soltanto dalla ricchezza che sarà in grado di produrre (eccetto per le “fondamenta” del sistema economico, come la rete infrastrutturale e per il risparmio privato che non è legato direttamente a scelte di politica economica). Ciò vuol dire che i futuri pensionati percepiranno un reddito solo dai futuri lavoratori e non da “riserve” monetarie accumulate attraverso i contributi. Tutto dipenderà, quindi, dalla capacità dell’apparato produttivo dei prossimi anni di generare ricchezza sufficiente. Il sistema pensionistico non comporta alcuna “ipoteca” sul futuro, ma è soltanto un metodo di ripartizione della ricchezza prodotta tra la popolazione attiva e quella inattiva.

Pertanto la mitologia del “conflitto generazionale” è una finzione che serve a mascherare il conflitto reale di classe, quello che vede un’aristocrazia finanziaria, coadiuvata dal grande capitale industriale, muovere guerra alla classe media risparmiatrice e agli strati popolari già impoveriti.

estratto da http://www.appelloalpopolo.it/?p=15510

Purtroppo però viviamo nell’epoca del cretino 2.0 per cui la propaganda autorevole di TV e giornali vince sempre

Siria, gli Usa ammettono la sconfitta

ma non è finita…

il Simplicissimus

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Gli Usa hanno perso la guerra in Siria e assieme a Washington l’ha persa l’Europa che attraverso Francia e Gran Bretagna pensava di gestire a suo piacimento il dopo Assad e assicurarsi un posto al sole nel rimaneggiamento della regione. Una comune sconfitta che include però la significativa  differenza che il nostro continente subisce in prima persona tutte le conseguenze dello sconsiderato tentativo americano di destabilizzare il medioriente  e di “conquistare” l’est europeo, trovandosi di fronte al drammatico problema dei milioni di migranti che si affollano ai suoi confini, cedere all’infame ricatto turco, sostenere l’inquietante ritorno dei terroristi anti Assad partiti da eroi e oggi alla ricerca di uno spazio e di una vendetta per non parlare dei problemi suscitati dalle sanzioni nei confronti della Russia.

Che la guerra sia sostanzialmente persa non è una mia opinione è ciò che ha sostanzialmente detto Obama in una lunga intervista (qui) concessa a The Altantic…

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La nuova guerra fredda

Il segretario di Stato James Baker III incontrò l’ultimo leader sovietico, Mikhail Gorbaciov, e gli fece la promessa che, in cambio del permesso dei sovietici di riunire le due Germanie, Washington non avrebbe mai esteso la NATO verso est. In risposta al solenne impegno degli Stati Uniti, l’ex-Unione Sovietica, ora notevolmente ridotta alla Federazione Russa, promise a Washington e NATO che avrebbe smantellato sistematicamente l’arsenale nucleare. A questo scopo, la Duma russa ratificò il trattato START II per la riduzione delle armi nucleari operative. Fu contingente la ratifica di Stati Uniti e Russia, aderenti dal 1972 al trattato antimissili balistici, che vietava lo schieramento dell’attiva difesa antimissile ad entrambe le parti.

‘Usare la mano destra per raggiungere l’orecchio sinistro’
revision03 Il 13 dicembre 2001 il presidente degli Stati Uniti George W. Bush annunciò, per la costernazione di Mosca, che Washington si ritirava dal trattato antimissili balistici del 1972. Silenziosamente portava avanti un piano coltivato dal segretario della Difesa Don Rumsfeld, la costruzione di un sistema di difesa antimissile balistico statunitense. La maggior parte degli statunitensi fu tenuta all’oscuro dal pericolo creato da Washington con l’abrogazione unilaterale del Trattato. Nel luglio 1998, un periodo in cui le minacce dei missili balistici nucleari verso gli Stati Uniti erano lontane o addirittura inesistenti, Rumsfeld consegnò un rapporto della Commissione per la valutazione delle minacce dei missili balistici per gli Stati Uniti al presidente Bill Clinton. La relazione della Commissione di Rumsfeld delineò ciò che vedeva come pericolo strategico per gli Stati Uniti: “Gli sforzi concertati da numerose nazioni apertamente o potenzialmente ostili per acquisire missili balistici…sono una minaccia crescente per gli Stati Uniti… di recente, le minacce da Corea democratica, Iran e Iraq si aggiungevano a quelle poste dagli arsenali dei missili balistici di Russia e Cina...” Nel 2004 Don Rumsfeld attuò il CONPLAN 8022 mettendo i bombardieri a lungo raggio B-52 ed altri dell’US Air Force, in stato di ‘allarme’, come al culmine della guerra fredda. Il comandante dell’8.th Air Force dichiarò che i suoi bombardieri nucleari erano “essenzialmente in allerta per pianificare ed eseguire attacchi globali“, per conto del Comando Strategico degli Stati Uniti o STRATCOM, con sede a Omaha, Nebraska. CONPLAN 8022 incluse non solo armi nucleari e convenzionali a lungo raggio lanciate dagli Stati Uniti, ma anche bombe nucleari e altre schierate in Europa, anche nella base aerea di Buchel in Renania Palatinato, Germania, in Giappone e in altri luoghi. CONPLAN8022 diede agli Stati Uniti ciò che il Pentagono chiamò “Global Strike”, capacità di colpire qualsiasi punto della Terra con una devastante forza nucleare e convenzionale. CONPLAN8022 non fu praticamente dichiarato ai media statunitensi, ma Mosca certamente ne prese atto. Poi, nei primi mesi del 2007, il terzo passo per lo sviluppo del sistema di difesa antimissile balistico statunitense nei Paesi UE fu svelato. Chiarì alla leadership politica e militare della Russia che Washington sviluppava una strategia a lungo termine per circondare militarmente e cancellare la Federazione Russa con una mortale mossa potenzialmente termonucleare. Ora il campanello d’allarme su una prova di forza potenzialmente nucleare, come nel leggendario film di Kubrick, Il Dottor Stranamore, suonava al Cremlino. Il 29 gennaio 2007, il Generale di Brigata dell’US Army Patrick J. O’Reilly, vicedirettore della Missile Defense Agency del Pentagono, annunciava i piani degli USA per dispiegare un sistema di difesa antimissile balistico in Europa entro il 2011. Il Pentagono sostenne che lo schieramento era volto a proteggere le installazioni USA e NATO contro le minacce dal Medio Oriente, in particolare l’Iran, e non dalla Russia. Nel febbraio 2007, in occasione della Conferenza annuale internazionale sulla sicurezza di Monaco di Baviera, il presidente russo Putin pronunciò un discorso che svelò i veri motivi di Washington per la nuova difesa antimissile in Europa. Distruggendo le argomentazioni menzognere di Washington di mirare a “Stati canaglia” o Paesi problematici, Iran e Corea democratica, Putin dichiarò: “Armi con gittata di 8000 chilometri che minaccerebbero l’Europa non esistono in alcuno dei cosiddetti Paesi problematici. E nel prossimo futuro… questo… non è nemmeno prevedibile. E qualsiasi ipotetico lancio di, per esempio, un missile nordcoreano sul territorio statunitense attraverso l’Europa occidentale contraddice le leggi della balistica. Come diciamo in Russia, sarebbe come usare la mano destra per raggiungere l’orecchio sinistro”. Nonostante l’insistenza di Washington che la sua nuova Difesa antimissile fosse solo difensiva mirando a “Stati canaglia” come Iran o Corea democratica, in realtà militarmente non lo era per nulla, anzi era un importante vantaggio offensivo di Washington in un futuro scontro militare con Mosca. Il colpo di Stato degli Stati Uniti a Kiev nel febbraio 2014, e la successiva azione ostile di Washington contro la Russia, furono una prova di forza militare molto più di quanto molti comprendono. Nel 2007 Washington iniziò a schierare missili antimissile nucleare in Polonia, Paese della NATO, e avanzati sistemi radar nella Repubblica Ceca, altro membro della NATO. Erano puntanti contro l’unica sofisticata potenza nucleare capace di lanciare un efficace contrattacco nucleare, la Federazione russa. L’arsenale nucleare della Cina non rappresentava allora una minaccia paragonabile.

La BMD è offensiva non difensiva
In un’intervista al Financial Times del 1° gennaio 2006, l’allora ambasciatrice degli USA presso la NATO, ed ex-consigliera di Cheney, Victoria Nuland, la stessa che diresse il colpo di Stato degli Stati Uniti a Kiev nel 2014, riguardo la nuova dottrina del Pentagono del “Global Strike”, dichiarò che gli Stati Uniti volevano un “forza militare dispiegabile globalmente” attiva “in tutto il nostro pianeta”, dall’Africa al Medio Oriente e oltre. Combinando Global Strike con Ballistic Missile Defense (BMD) gli Stati Uniti creavano uno squilibrio allarmante nel rapporto strategico tra Russia e Stati Uniti. Lungi dall’essere “difensiva”, la BMD è estremamente offensiva. Washington faceva sul serio. I piani sulla “difesa missilistica” emersero negli anni ’80 quando Ronald Reagan propose di schierare sistemi satellitari, stazioni radar e missili intercettori in tutto il mondo, volti a monitorare e abbattere i missili nucleari sovietici prima che colpissero il loro bersagli. Furono soprannominati ‘Star Wars‘ dai critici, ma il Pentagono ufficialmente vi spese più di 130 miliardi di dollari fino al 2002. George W. Bush, a partire dal 2002, aumentò in modo significativo tali spese. Tra il 2002 e il 2014 l’Organizzazione governativa di controllo della contabilità generale stimò che il governo degli Stati Uniti avesse speso altri 98 miliardi per lo sviluppo del sistema di difesa antimissile balistico, escludendo i miliardi dirottati verso la difesa missilistica dai fondi segreti della ‘scatola nera’ del Pentagono. L’importante è sapere che la difesa missilistica degli Stati Uniti non è affatto difensiva, ma è estremamente offensiva. Se gli Stati Uniti potessero proteggersi in modo efficace da una possibile rappresaglia russa a un primo colpo nucleare dagli USA, la logica della guerra nucleare imporrebbe i dettami degli Stati Uniti a tutto il mondo, non solo alla Russia. Sarebbe la supremazia nucleare. Era il vero senso dell’insolito discorso di Monaco nel 2007 di Putin. Non era paranoico, era crudamente realistico. Il Tenente-Colonnello Robert Bowman, direttore del Programma di Difesa Missilistica dell’US Air Force durante l’era Reagan, in un’intervista telefonica con l’autore, poco prima di morire, definì a difesa missilistica, “l’anello mancante del primo attacco“. Il Pentagono la chiama supremazia nucleare. Qualunque sia il nome, è un male per il mondo e il futuro della civiltà.

leggi la risposta russa in: https://aurorasito.wordpress.com/2016/03/24/washington-abbandona-lo-scudo-antimissile/

Talassocrazie contro Heartland

di Luciano Lago Con l’arrivo della buona stagione, dalla Sicilia alla Calabria si registra lo stesso copione degli anni scorsi: ricominciano gli sbarchi di migliaia di migranti sulle coste nazionali e si tornano a contare i morti annegati nel Canale di Sicilia, il braccio di mare che separa la Libia dall’Italia. Ieri sulle coste siciliane sono sbarcate quasi 1.500 persone: 700 a Palermo e gli altri divisi tra Pozzallo e Augusta. L’invasione prosegue più massiccia di prima. Le cause di questo nuovo afflusso bisogna ricercarle anche nella chiusura della rotta balcanica che dirotta verso le coste italiane masse di migranti di varie provenienze. Il fenomeno non è spontaneo, come i media del sistema vorrebbero far credere, ma al contrario viene fortemente sospinto ed incentivato da alcune organizzazioni internazionali. Già in precedenza avevamo messo in risalto il ruolo centrali mondialiste nel fomentare l’immigrazione di massa come strumento della geopolitica del caos per destabilizzare e disarticolare la struttura sociale dei paesi europei. Si era messa a fuoco anche la sostanziale complicità di Washington nel favorire l’invasione di massa dell’Europa da parte dell’ondata migratoria, considerando anche il ruolo decisivo avuto dagli USA nella destabilizzazione dei paesi del Medio Oriente e dell’Asia. L’invasione di migranti e la disarticolazione dei paesi europei è un obiettivo che rientra nella strategia egemonica degli Stati Uniti di mantenere sotto l’ombrello della protezione atlantica le province europee dell’impero americano.  Vedi: migrazioni di massa come arma geopolitica Se andiamo ad analizzare quali siano le cause dell’ondata di sbarchi che sta portando migliaia di clandestini sulle coste italiane e su quelle della Grecia, risulta evidente quanto questa massiccia ondata migratoria non sia un fenomeno spontaneo ma sospinto ed incentivato da precise organizzazioni mondialiste e da un paese NATO (la Turchia) che utilizza queste masse di profughi come arma di ricatto verso l’Europa. In ultima analisi siamo portati a concludere che è in atto la spallata finale contro i paesi europei per annientare le identità nazionali e procedere alla fase avanzata del piano di sostituzione delle popolazioni e delle identità europee. Non si possono passare in secondo ordine le rivelazioni dei servizi segreti austriaci su quante ONG siano coinvolte nel finanziamento e nel traffico dei migranti anzi queste rivelazioni, aggiunte alle altre, ci forniscono l’ennesima prova che conferma quanto gli USA siano i responsabili dell’attuale emergenza immigratoria. Vedi:  Servizi segreti austriaci: Usa e Soros finanziano l’invasione dell’Europa Risulta facile notare come ci sia stata sempre una costante ingerenza statunitense nelle questioni interne dell’Unione Europea come ad esempio quelle che, nell’anno appena trascorso, hanno riguardato le trattative avutesi tra Grecia del governo Tsipras e la Troika, fatto che ha messo pienamente in luce come la vera posta in gioco del Grexit non fosse soltanto una questione economica ma che l’eventuale fuoruscita della Grecia dal sistema dell’euro e dalla UE rappresentasse in realtà una questione geopolitica e si era capito come i contendenti in campo non fossero soltanto la Grecia e Bruxelles ma Washington e Berlino. Altrettanto accade con la questione migratoria che coinvolge tutti i paesi europei ed in particolare quelli della rotta balcanica con la Grecia in prima fila e l’alleato della NATO, la Turchia, messo in una posizione di detonatore della crisi grazie al rapporto privilegiato che il governo di questo paese intrattiene con Berlino e con Washington. In tutte queste situazioni gli Usa, nonostante abbiano recitato la parte dell’osservatore disinteressato, hanno dimostrato come la costruzione europea sia di fatto del tutto funzionale agli interessi egemonici atlantisti e così come questa costruzione, in ogni suo possibile allargamento, favorisce, attraverso la NATO, l’estensione dell’egemonia statunitense, ogni suo possibile arretramento ne limita il campo d’azione. Possiamo ricordare di quanto affermava Bzrezinski quando assegnava all’Europa il ruolo di mera “testa di ponte democratica degli Stati Uniti in Eurasia”, sostenendo che: «Qualunque espansione del campo d’azione politico dell’Europa è automaticamente un’espansione dell’influenza statunitense. Un’Europa allargata e una NATO allargata serviranno gl’interessi a breve e a lungo termine della politica europea. Un’Europa allargata estenderà il raggio dell’influenza americana senza creare, allo stesso tempo, un’Europa così politicamente integrata che sia in grado di sfidare gli Stati Uniti in questioni di rilievo geopolitico, in particolare nel Vicino Oriente». Vedi: A Plan for Europe Questo spiega l’interees di Washington nel favorore le possibilità di allargamento ulteriore dell’unione Europea (alla Turchia, alla Serbia ed alla Macedonia) e la sua azione di pressing sui paesi che sono tentati di uscirne fuori. Bisogna capire che il peggiore incubo di Washington è quello di dover assistere ad un riavvicinamento fra Europa e Russia ed in particolare che gli sforzi della strategia USA sono tutti indirizzati ad impedire con ogni mezzo una possibile alleanza tra Russia e Germania, che costituirebbe l’unica seria minaccia alla supremazia planetaria dell’impero “talassocratico” che un tempo era della Gran Bretagna e oggi degli Stati Uniti. Interessante notare che, nonostante la massiccia propaganda mondialista, in alcuni paesi si è risvegliato il senso dell’identità nazionale e si è percepito il livello della minaccia costituito dal fatto di aprire le porte all’ondata migratoria. Uno di questi è l’Ungheria di Orban, ma non è il solo visto che su posizioni simili si trovano la Repubblica Ceka, la Slovacchia e la Polonia, oltre all’Austria, alla Danimarca ed altri paesi che hanno chiuso le frontiere.

Leggi tutto su http://www.controinformazione.info/con-la-primavera-inizia-la-fase-avanzata-del-progetto-mondialista-di-disarticolazione-delleuropa/

Nota: per il titolo vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Halford_Mackinder

Il giubileo del debito

Nel gennaio del 2016, The Telegraph intervista nuovamente William White ed il titolo dell’articolo “World faces wave of epic debt defaults, fears central bank veteran4 è sufficientemente eloquente: l’indebitamento globale aumenta senza sosta e, alla prossima recessione, diverrà palese che questa mole di debito è impagabile. Il giubileo dei debiti” dice White (citando la saltuaria cancellazione delle obbligazioni prevista nell’Antico Testamento) sarà inevitabile e spetterà alla politica governarne gli impatti sulla società (il debito di qualcuno è pur sempre il credito di qualcun altro). L’accanirsi delle banche centrali sulle politiche monetarie accomodanti è tanto inutile quanto dannoso: spetta alla politica riscoprire il proprio primato, lanciando una serie di manovre fiscali espansive (le classiche opere infrastrutturali) per uscire dalle sabbie mobili della crisi.

http://federicodezzani.altervista.org/il-magma-che-ribolle-sotto-i-tassi-a-zero/

Nota: senza addentrarci nei tecnicismi economici, è interessante la genesi storica della BRI

Globalizzazione

L’ offerta sensazionale è £ 5,99 per un paio di “jeggings” – leggings attillati che assomigliano ai jeans. L’etichetta parla di una “moda stile jeans”, in tessuto di cotone (77%), con elastico in vita; un solo bottone, una zip YKK, due tasche posteriori e due anteriori, cuciture senza rivetti. Niente ricami sulle tasche.

Tutto questo è importante. Ogni ulteriore dettaglio si aggiunge al prezzo del prodotto finito. La ripartizione dei costi in una fabbrica di jeans del Bangladesh pubblicata da Bloomberg nel 2013 indicava il prezzo di una cerniera a 10p, un bottone a 4p e i rivetti a 1p ciascuno. Ricamo aggiunto altri 9p, le tasche 6p e le etichette 7p. A questi margini, ogni singolo penny conta, quindi non è una sorpresa scoprire che i jeggings sono ridotti all’osso.

Ma il Boyfriend Jeans, a £ 7,99, sembra essere il vero affare: quattro tasche, più una strana piccola taschina all’interno della tasca anteriore destra (per un orologio, a quanto pare). Ha sei passanti per la cintura, cinque rivetti, tre bottoni e una zip YKK. Realizzato in cotone 100% , l’elemento più costoso del processo produttivo: da £ 2.30 a £ 2.50.

C’è anche da pagare il filo per le cuciture, che potrebbe fare al più 19p, e il prodotto finito dovrà essere lavato, quindi se stiamo cercando di fare un prezzo arriviamo probabilmente a £ 3.90.

Ora dobbiamo mettere insieme questi materiali. Fortunatamente – per l’acquirente – non è poi così costoso.

La maggior parte dei lavoratori nelle fabbriche di abbigliamento del Bangladesh sono donne e la maggior parte sono pagate al salario minimo di 5.300 taka al mese (circa £ 48). Fa 23p all’ora per otto ore, per sei giorni alla settimana. Si tratta di un quinto delle 230 £ al mese stimate dal Asia Floor Wage Alliance come il minimo necessario per un salario di sussistenza nel 2013.

Per ricavare con precisione il costo del lavoro, è necessario sapere quante paia di jeans si producono al giorno. I dati disponibili coprono una vasta gamma: la ricerca in India ha trovato dei lavoratori che in una fabbrica producevano in media 20 paia di jeans al giorno, mentre un altro studio in Tunisia ha trovato una produzione di 33 paia al giorno. Tutto dipende dalla qualità e complessità del disegno. Nel 2010 l’Institute for Global Labour and Human Rights ha esaminato il Bangladesh e ha trovato che una squadra di 25 operai sfornavano 250 paia di jeans all’ora – 10 per lavoratore, o 80 per lavoratore al giorno.

Ciò significa che il salario minimo dovrebbe stare in un range compreso tra 2p e 9p per ogni paio di jeans prodotti, che è sostanzialmente in linea con uno studio del 2011 sulla produzione di abbigliamento in Bangladesh della società di consulenza statunitense O’Rourke Group Partners, che prezzava il costo del lavoro per una polo a 8p.

O’Rourke ha posto i costi totali di fabbrica per la camicia a 41p: Bloomberg ha calcolato che i suoi jeans del Bangladesh costano 56p alla produzione, più 16p di profitto.

Arriviamo a circa 4,50 £. Ma abbiamo ancora bisogno di spedire i jeans, e non ci sono spese di magazzino e tasse portuali, quindi possiamo metterci altri 30p, arrivando fino a £ 4.80. E abbiamo ancora bisogno di trasportarli dal porto al negozio, quindi sono altri 50p. Questo ci dà £ 5.30, ma per finire c’è ancora l’IVA.

Il totale complessivo di £ 6.36 gonfierebbe il bilancio per i jeggings, ma basta usare un po’ meno materiale, ed ecco risparmiato qualche soldo sui bottoni e i rivetti. Questo renderà più veloce la lavorazione, così che scenderà un po’ il costo del lavoro. Potrebbe quasi essere possibile portarli a £ 5,99 o possono anche guidare il mercato in perdita: cosa che accade. I jeans, comunque, mostrano un profitto di £ 1.63.

Ma è qui che viene fuori il potere d’acquisto di Lidl, perché sia i jeggings che i jeans sono importati da intermediari, che vendono al supermercato – rispettivamente OWIM Gmbh, società tedesca, e Top Grade International Enterprise Ltd con sede a Hong Kong, che esportano 30 milioni di pezzi all’anno dal Bangladesh. Sia l’uno che l’altro devono subire dei tagli. Nell’esempio di Bloomberg, l’intermediario ha subito un taglio di £ 2. Qui è chiaramente fuori questione se Lidl stesso ne ricavi un utile. E questa è la realtà di un paio di jeans da £ 5.99: tutti sono spremuti, su tutta la linea.

Nota: Il costo di un paio di jeggins in euro è di circa 7,50; la retribuzione per l’operaia: 23 pence=29 centesimi di euro/ora

http://vocidallestero.it/2016/03/16/come-che-lidl-vende-i-jeans-a-5-99-facile-pagando-la-gente-23-pence-allora/

Si scrive Brasile, si legge Italia

 

di Lorenzo Carrasco

 

 

 

 

Tra corruzione ed attacco della finanza globalizzata

 

Cosa sta accadendo in Brasile? Quello che era, sino a ieri, uno dei grandi Paesi emergenti, uno dei protagonisti del Gruppo dei BRICS, cioè del nuovo poderoso polo geopolitico mondiale, è attraversato ora da una crisi economica drammatica, di cui le grandi manifestazioni di piazza evidenziano le immediate conseguenze sociali. Un Paese cioè che già credeva di star per toccare condizioni di vita migliori per tutti, ed il riscatto delle miserabili “favelas”, trova risospinte verso la povertà anche le sue classi medie.

Cosa è accaduto per giustificare una simile inversione di tendenza? Eppure il Brasile è ricchissimo di materie prime, cui ora si sta aggiungendo anche il petrolio, scoperto in giacimenti enormi. Ma invece di nuova ricchezza, l’oro nero sembra aver portato  crisi politica e disgregazione sociale, poiché col petrolio è emersa anche  la corruzione che aveva al centro la Compagnia petrolifera di Stato, ed i suoi oscuri, inconfessabili rapporti con la classe politica. Rapporti che risalgono addietro nel tempo, ma che il nuovo governo popolare non solo non ha stroncato, ma ha perpetuato.

Ma basta la corruzione emersa a giustificare una crisi politica ed economica, o invece la ventata giustizialista sorta all’improvviso è  la bomba a comando, fatta esplodere per giungere a cambiare un quadro politico non omogeneo rispetto agli interessi geopolitici degli Stati Uniti e delle oligarchie economiche occidentali?

 Noi italiani a questo riguardo abbiamo una certa esperienza: l’operazione “Mani pulite” infatti travolse  tutti i partiti della prima Repubblica e decapitò per intero la  nostra classe politica di governo, in un momento in cui l’Italia era divenuta la quinta potenza economica mondiale, era avviata a diventare la quarta, superando la Francia dopo aver superato l’Inghilterra, aspirava apertamente ad un ruolo di potenza regionale nel Mediterraneo, ove però le sue scelte ed i suoi indirizzi non erano esattamente conformi a quelli americani ed al loro appoggio quasi incondizionato ad Israele.  Vedi  invece l’atteggiamento amichevole verso i popoli arabi di Fanfani, di Moro e di Craxi, i loro sforzi per disinnescare la mina delle ricorrenti crisi mediorientali, e trasformare il Mediterraneo in un mare di pace e di sviluppo,fino all’episodio clamoroso di Sigonella, quando il leader socialista ebbe l’ardire sfrontato di mostrare a Reagan che l’Italia era un alleato, non un protettorato.

Sappiamo come andò a finire. Moro fu ucciso, Andreotti e Craxi, criminalizzati, furono estromessi dal potere.

Ma torniamo al Brasile. Alla base della sua crisi, si dice, non c’è solo il terremoto politico generato dall’emergere della corruzione; c’è soprattutto il crollo dei prezzi delle materie prime, sulla cui esportazione si regge buona parte dell’economia brasiliana. Ma neppure questo basta a spiegare l’intensità della crisi politica, economica, sociale, che il Brasile sta attraversando.

Evidentemente c’è dell’altro. Il Brasile di oggi, come l’Italia di allora, non è in riga con l’ordine occidentale. La sua adesione ai BRICS sta rischiando di diventare un esempio anche per l’Argentina. I due maggiori Paesi del “cortile di casa” (così gli Stati Uniti considerano l’America latina) che fanno blocco con Russia e Cina. E’ ovvio che una situazione simile non può essere tranquillamente accettata a Washington. La finanza globalizzata, accanto al giustizialismo, è l’arma usata per rimettere le cose in ordine. E’ questa l’interpretazione  che della crisi brasiliana dà il nostro collaboratore da Rio de Janeiro, Lorenzo Carrasco. Ed ecco il suo articolo.

                                                                                                                                                             g.v.

 

L’elezione presidenziale di ottobre del 2014, con la vittoria della presidente Dilma Roussef per un suo secondo mandato ha scatenato una delle maggiori crisi politiche della storia brasiliana e certamente evidenzia la fine di un’era politica del Paese: la cosiddetta “Nuova Repubblica”.

Ad esser franchi, non si tratta infatti di una crisi del governo del Partito dei Lavoratori (PT), ma di tutto l’accordo raggiunto dopo il regime militare (1964-1985), stabilito con la Costituzione del 1988.

Nel giugno 2013 il Paese è stato scosso da massicce manifestazioni popolari, che hanno messo in  luce un sistema politico prostrato davanti ad una UTI (Unità di Terapia Intensiva nei reparti di traumatologia degli Ospedali) e deluso a causa del divorzio tra la classe politica e la Nazione, la  società e la storia.

Gli scandali della corruzione , scoperti con l’operazione “Lava Jato” (pulizia automatica) hanno messo in luce poi le interiora marce del sistema politico, metastasi di un processo che durava da decenni, anteriore cioè al governo del Partito dei Lavoratori.

 

La corruzione politica e l’attacco della finanza globalizzata

Si tratta, in genere, di una forma sofisticata e sistematica di finanziamento delle campagne elettorali e di riciclaggio di denaro per assicurare l’accesso al potere e la ripartizione dei suoi benefici tra i gruppi politici vittoriosi e tra gli interessi privati che li hanno appoggiati.

In questo contesto la Nazione è come una nave senza governo nel mezzo di una forte burrasca, con il comando e l’equipaggio disuniti, disorientati, demoralizzati, minacciati da un ammutinamento, il che li rende facile preda dei centri oligarchici del potere mondiale. Questi ultimi, agendo come corsari, bombardano il Paese con l’artiglieria  delle loro agenzie di rating, per cavarne il bottino rappresentato dal servizio del debito pubblico, dalle risorse naturali, e da quel che resta del patrimonio pubblico; l’ultimo episodio è stato il downgrading dei titoli di Stato brasiliani da parte di Standard&Poor’s.

E’ ovvio che la situazione del Brasile non è un caso isolato. Gran parte delle Nazioni del mondo si trovano soggiogate dalla finanza globalizzata, nella speranza che la buona condotta dettata dai mercati finanziari possa portare, in un futuro imprecisato, alla conquista di un vero progresso.

 

Nella spirale di un debito che è impossibile ripagare

 

La realtà tuttavia va verso il lato opposto. Nel caso del Brasile il modello di indebitamento continuo ha come traguardo una situazione fiscale impossibile da risolvere. Per quest’anno si spera che la caduta del Pil si limiti ad un 3-4%, con una conseguente riduzione delle entrate fiscali. Il problema tende a crescere già nel breve termine, perché i tassi d’interesse del debito pubblico hanno raggiunto l’8%, e conseguentemente il rapporto tra debito pubblico e pil raggiungerà il 70% nel 2016. Fino al primo settembre scorso  il servizio del debito ha  consumato  671 miliardi, pari al 47% della spesa federale.

A fronte di questa realtà, qualunque politica ortodossa di taglio delle spese e degli investimenti tenderà semplicemente ad ingigantire il problema, ed a mandare rapidamente il Brasile in direzione della Grecia, con l’aggravante che non esiste una Unione Europea che cercherà di salvarlo.

Tra una turbolenza e l’altra i governi, già indebitati fino al collo, si indebitano ogni volta di più, e non sono in grado di  realizzare le aspirazioni allo sviluppo  dei loro governati.

La realtà è che i centri oligarchici fanno di tutto per manipolare  le tempeste finanziarie, e perpetuano così il loro potere. La realtà è che la globalizzazione finanziaria, sviluppatasi dopo la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell’Unione Sovietica, è solo un eufemismo per indicare un sistema mondiale di gestione delle crisi, creatosi all’inizio degli anni novanta per attuare la vecchia ambizione dell’oligarchia angloamericana: la costruzione delle strutture di un governo mondiale sui resti rimasti degli Stati nazionali, sacrificati dalle sua operazioni di manipolazione e destabilizzazione.

L’emergere dell’Eurasia  quale nuovo polo geoeconomico, dotato di nuovi strumenti finanziari, come la nuova Banca di Sviluppo (NBF) del Gruppo dei BRICS costituito da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, costituisce l’unico punto al di fuori di quella china, nel tentativo di riformulare l’architettura dell’ordine finanziario mondiale.

Il superamento della crisi brasiliana passa essenzialmente ed obbligatoriamente attraverso la definizione di  un nuovo progetto nazionale di sviluppo, il cui orizzonte trascenda gli stretti limiti del gioco politico, e sia capace di correggere il pessimismo  che ormai generalmente prevale  nei cittadini, che  è necessario vengano coinvolti direttamente sia nell’elaborazione che nella realizzazione di tale progetto.

http://www.lafinanzasulweb.it/2016/il-brasile-alla-deriva/

Vespri siciliani

Laura Boldrini, regalandoci il seguente discorso: “Siamo un Paese che invecchia mentre aumenta il numero di giovani che decide di lavorare o studiare all’estero. Se non si invertirà questa tendenza è stato calcolato che per garantire una popolazione di 66 milioni di italiani, il nostro Paese dovrà consentire l’accesso ogni anno a 300-400 mila migranti, altrimenti la popolazione italiana scenderà al di sotto dei 45 milioni”. Qualcuno dovrebbe spiegare alla signora Boldrini – fatta eleggere in Sicilia, grazie al Porcellum, dai signori di Sel – che i giovani siciliani non “scelgono di lavorare o studiare all’estero”. I giovani Siciliani, egregia signora Boldrini, sono costretti ad emigrare perché in Sicilia manca il lavoro. E sa perché manca il lavoro, eminente presidentessa della Camera dei deputati? Perché lo Stato, ormai da più di un decennio, non investe nel Sud i fondi ordinari, come ripetutamente denunciato dalla SVIMEZ. Perché nel 2015 – lei da presidente dell’assemblea di Montecitorio dovrebbe saperlo – il Governo Renzi ha scippato 12 miliardi di Euro al Mezzogiorno e li ha dirottati per oltre il 90% alle imprese del Centro Nord Italia con il Jobs Act dimostratosi fallimentare. Non solo, presidente Boldrini, lo Stato ci nega i fondi ordinari, ma ci ruba anche i fondi PAC (che in maggioranza sono fondi europei destinati alle Regioni ad Obiettivo Convergenza) per ottenere, alla fine un miserabile aumento dell’occupazione del 0,00, millantato come grande vittoria, tra il ridicolo e il grottesco, dall’ISTAT. La Sicilia, poi, signora Boldrini, mentre lei occupa lo scranno di presidente della Camera dei deputati ha subito lo scippo di 915 milioni di Euro nel 2013, di un miliardo e 400 milioni di Euro circa nel 2014, di un miliardo e 250 milioni di Euro circa nel 2015 e di un miliardo e 260 milioni di Euro quest’anno. Più tutte le entrate che, a norma di Statuto, spettano alla Regione, ma che il Governo Renzi ha incamerato, dall’IVA all’IRPEF. Poi arriva lei e ci viene a dire che siccome i giovani “scelgono” di lavorare all’estero, noi siciliani possiamo anche essere sostituiti dai migranti. Ci penseranno loro a prendere il posto di chi sarà costretto a lasciare la Sicilia. Cosa sarebbe, questo, presidente Boldrini, il progetto politico per la Sicilia della Sinistra Italiana di Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre, i due ‘geni’ che hanno intruppato nel loro partito – che visto dalla Sicilia sembra fallito ancor prima di nascere – lei, Sel e il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando con tutte le sue clientele? Sa, presidente Boldrini, perché la Sicilia è diventata l’ultima delle colonie italiane? Perché la nostra Regione è governata dagli ‘ascari’ e perché a Roma i Siciliani sono rappresentati anche da personaggi come lei: ovvero da parlamentari nazionali che, in questi anni, non hanno alzato un dito per difendere la nostra Regione dagli scippi del Governo nazionale. Quanto alla solidarietà verso i migranti, egregia presidente Boldrini, questa è il frutto della nostra civiltà. Più che le sue parole, la Sicilia avrebbe bisogno di risorse, dal momento che sono state le nostre città, le nostre strutture sanitarie e tutta la popolazione siciliana a dare ospitalità ai migranti. Ciò posto, se quella vista oggi a Palermo è la sinistra alternativa al PD di Renzi, beh, c’è veramente da ridere! Fonte: I Nuovi Vespri.it

No, tu no!

L’Unione Europea si appresta a rinnovare la sanzioni alla Russia che scadono nell’Agosto del 2016. Le sanzioni erano state decise e rinnovate , sotto direttiva USA, relativamente alla questione dell’Ucraina ove la Russia viene accusata di non aver adempiuto agli accordi di Minsk. Mosca aveva rigettato il provvedimento dichiarando che le sanzioni sono ingiustificate, visto che la pacificazione dell’Ucraian non è questione che dipenda da Mosca ma dall’atteggiamento del governo di Kiev che non ha ottemperato a quanto stabilito negli accordi di Minsk 2. Non tutti i paesi si erano dichiarati disponibili a rinnovare le sanzioni, in particolare la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria avevano avanzato riserve ed avevano  fortemente criticato la decisione del rinnovo delle sanzioni ma era poi intervenuta la direttiva di Washington e tutti i governi dell’Unione Europea si erano dovuti adeguare. Ultimamente il vicepresidente USA, Joe Bilden, aveva dichiarato che saranno gli Stati Uniti a decidere fino a quando si dovranno rinnovare le sanzioni alla Russia, facendo chiaramente capire che Washington decide e gli alleati si adeguano. Nessuna sanzione risulta invece decisa dall’Unione Europea per quanto riguarda la Turchia, le sue sistematiche violazioni dei diritti umani, quelli della minoranza curda in particolare che viene continuamente sottoposta a repressione e bombardamenti dal Esercito di Ankara, nessuna sanzione per la chiusura dei giornali dell’opposizione interna e tanto meno per l‘appoggio conclamato di Ankara ai gruppi terroristi che operano in Siria ed in Iraq. La questione non è all’ordine del giorno ed anzi, l’Unione Europea in questi casi chiude entrambi gli occhi ed al massimo emette qualche timido “distinguo”  invitando Ankara a tutelare la libertà di stampa. “Si certo”, rispondono i turchi, “come no, lo faremo senza meno”. La UE deve decidere per l’erogazione di alcuni miliardi (tre) alla Turchia in merito alla questione migranti che le stesse autorità di Ankara sospingono verso la Grecia. La Turchia non si accontenta e ne chiede il doppio, ricattando la UE e minacciando di sospingere altre centinaia di migliaia di migranti verso l’Europa. Inoltre la Turchia vuole essere ammessa nell’Unuone Europea ed in questa occasione forza le sue richieste per ottenere uno sveltimento delle procedure, contando sul forte appoggio della Merkel, sostenitrice di una Unione allargata ai turchi. Questa situazione è stata duramente stigmatizzata dal senatore della Duna (Parlamento) della  Russia, Andréi Klishas, presidente del Comitato Costituzionale russo, il quale ha dichiarato che l’Occidente dimostra la sua doppia morale visto che non impone sanzioni contro Ankara, per causa del suo appoggio al terorrismo e per la violazione della libertà di espressione. “Il presidente turco Recepit Erdogan bombarda i curdi, viola la libertà di espressione ed elimina i media indipendenti, ha trasformato la Turchia in un punto di transito per i terroristi di ogni indole, tutti lo sanno e lo vedono ma nessuna delle “democrazie occidentali” parla di sanzioni contro la Turchia ed Erdogan”, ha dichiarato Klishas alla Ria Novosti. Secondo Klishas il presidente turco è un alleato dei paesi occidentali, cosa che rappresenta un eclatante esempio del cinismo nella politica del doppio standard adottata dall’Occidente”. Fino a questo momento non c’è stata nessuna risposta da parte di alcuno dei leaders europei che su tali questioni preferiscono glissare evitando di esporsi alle critiche che pure arrivano da alcuni dei capi di stato (come l’ungherese Viktor Orban o il presidente Zeman della Repubblica Ceca) ed esponenti politici in dissenso sulla politica della sanzioni unilaterali applicate dalla UE. L’Unione Europea prosegue sulla sua strada di totale asservimento alle direttive che provengono da Washington. Gli USA hanno sollevato Bruxelles dalla necessità di prendere decisioni autonome.  Sono loro che  decidono per tutti,  in base ai loro criteri ed ai loro interessi geopolitici,  chi deve essere sanzionato e chi no. Gli Stati Uniti sono “impazienti” di vedere la Turchia presto integrata in Europa, come altre volte hanno dichiarato gli esponenti dell’Amministrazione USA.

http://www.controinformazione.info/la-ue-sanziona-la-russia-e-premia-la-turchia/

Coma sociale e bancarotta

tuttavia l’eradicazione delle capacità di reazione politica del Paese (tema reale dell’esperimento), fa sì che che ancora si stia a traccheggiare come se la situazione fosse molto meno grave di quella che è per non parlare dei citrulli che ancora credono a un miglioramento

il Simplicissimus

Grafico Debito - PilL’Italia è stata senza accorgersene il laboratorio della crisi e del nuovo ordine, quello dove i dottor Mabuse di Bruxelles, Berlino, Washington e Wall Street hanno sperimentato da una parte la distruzione dell’odiato stato sociale e l’assorbimento coloniale dell’apparato industriale, dall’altro la sperimentazione  della cancellazione della politica e la sua sostituzione con una “machina” teatrale sostenuta e interpretata dai media. L’esperimento è perfettamente riuscito: gli italiani non si sono nemmeno accorti del disegno generale e sono corsi scompostamente a difendere le loro corporazioni reali e/o mentali oltre che il loro guicciardinesco “particulare”. Naturalmente hanno perso sempre e comunque non avendo altra aspirazione se non la salvezza personale e soltanto ora, quando comincia a delinearsi il redde rationem, si affaccia l’idea che non siano state la Spagna o la Grecia o l’umbratile Portogallo ad essere nella provetta del dottor Liberista Pazzo, ma proprio il Bel Paese.

Il grafico che ho prodotto ( per…

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