Vecchi copioni per giovani rampanti

L’innocenza della gioventù cosmopolita e open mind che vuole soltanto essere libera di studiare, viaggiare, innamorarsi e divertirsi “senza frontiere” contrapposta alla brutalità del “mondo autoritario” rappresentato, nello stereotipo mainstream occidentale, da tutto ciò che concerne l’anima nazionale russa ed eurasiatica. Il gioco, pertanto, era fatto. La frase «questa non è l’Unione Sovietica […], noi vogliamo vivere liberi» pronunciata, tra le lacrime, da Yulia Marushevska nel video I Am a Ukrainian, insieme ai ripetuti riferimenti dell’attrice al desiderio degli ucraini di vivere “liberi” secondo quelli che erano gli standard occidentali in fatto di mode, costumi e accesso ai consumi, sintetizzava appieno il modello dicotomico stabilito, con evidenti finalità propagandistiche, dal video I Am a Ukrainian: da un lato ciò che la upper class americanocentrica e cosmopolita considera “il Bene”, ossia la open society (giovanilismo a legittimazione di ogni impresa neocoloniale di Usa e vassalli, libero desiderio per tutti, libero consumo per chi può permetterselo, libero commercio per le grandi aziende multinazionali hi tech, gay-friendly, femminismo postmoderno, pseudo-cultura della mobilità surmoderna, ecc.); dall’altro, ciò che i ceti affluenti di cui sopra reputavano costituire l’incarnazione del “Male”, ovvero il patriottismo, il socialismo, la sovranità nazionale correlata all’idea di limite e di frontiera intangibili, la Tradizione (equiparata, nel lessico dei liberali postmoderni, a ciò che è ipso facto “vecchio” e, si presti particolare attenzione a questa locuzione, “fuori moda”). Yulia Marushevska disse di aver partecipato, insieme alla madre, alla sedizione sul Maidan perché «molto frustrata» dalla temporanea interruzione, decisa dalle autorità governative ucraine, delle trattative per la stipula di un accordo di libero scambio e libero commercio tra Ucraina e Unione europea. Yulia Marushevska era dunque una delle tante teenager ex sovietiche che scorgevano nel neoliberismo economico un possibile grimaldello per accedere, con più facilità e più velocemente, ai “fasti” della società occidentale dei consumi e dello spettacolo.

https://www.controinformazione.info/la-secessione-open-society-della-catalogna/

Kosovo

di Luciano Lago Da quando la Yugoslavia fu attaccata dalla NATO nel 1999, lo Stato-farsa del Kosovo è stato da sempre un territorio sotto controllo militare-giurisdizionale degli Stati Uniti e della NATO. L’attuale governo di Pristina viene diretto da tal Hashim Thaci, ex Primo Ministro e membro terrorista dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (ELK), organizzazione criminale conosciuta per avere stretti collegamenti con le grandi organizzazioni del crimine albanese ed europeo. La CIA ha appoggiato direttamente, verso la metà degli anni ’90, l’organizzazione del ELK così come anche i servizi di intelligence tedeschi (BND), per utilizzarlo nella guerra sporca che dura dal 1999. Il Kosovo ricordiamo che decretò la propria indipendenza unilateralmente nel 2008 con il totale appoggio degli USA e degli alleati vassalli della UE. Soltanto la Spagna non lo riconobbe ma indirettamente ne ricobobbe la legittimità sostenendo, per bocca di Josep Borrell, che il Kosovo era stato uno stato “oppresso” e pertanto aveva diritto a rendersi indipendente contro il criterio adottato dall’allora governo socialista di Zapatero. Salvo poi autosmentirsi con recenti dichiarazioni in cui ha sostenuto che “la dichiarazione di indipendenza del Kosovo è stata una volta di più una manifestazione del potere americano”. Vedi: EuropaPress, Josep Borrel Se si vuole avere una idea di chi sia l’attuale figura di presidente del Kosovo, Hashim Thaci, fondatore anche del denominato Partito “Democratico” del Kosovo, bisogna andare a verificare i suoi trascorsi. Thaci è conosciuto per essere stato uno dei componenti del sindacato del crimine organizzato che aveva la gestione completa del traffico di droga e controllo della prostituzione in tutta la regione. Negli anni novanta Thaci aveva fondato il denominato “Grupo Drenica“, un sindacato criminale con base in Kosovo ma con collegamenti con la mafia albanese, con quella macedone e con la mafia italiana (indrangheta). Vedi: Il presidente del Kosovo è il boss di una organizzazione criminale internzionale I boss della droga in Kosovo, in Albania e Macedonia (che avevano strette relazioni con la mafia italiana), negli anni ’90 si erano trasformati in quegli anni nella nuova elite economica, associati con frequenza agli interessi degli affari delle multinazionali occidentali. I grandi ricavi finanziari provenienti dal traffico di droga e di armi furono riciclati in altre attività illecite, incluso in una vasta rete di prostituzione tra Albania ed Italia. I gruppi criminali albanesi che operavano a Milano e in Lombardia, come ha riferito Michel Collon (giornalista e analista belga),  “si erano trasformati in una rete di prostituzione tanto potente che erano riusciti a superare anche i calabresi come forza ed influenza”.

https://www.controinformazione.info/il-kosovo-uno-stato-mafioso-terrorista-indipendente-rubato-alla-serbia-con-il-beneplacito-della-nato/

I cretini siamo noi

Ma quante opere di bene dai cinque ex presidenti!

di Massimo Fini – 28/10/2017

Ma quante opere di bene dai cinque ex presidenti!

Fonte: Massimo Fini

I cinque presidenti americani che hanno preceduto Trump si sono riuniti per raccogliere fondi per le vittime degli ultimi uragani. Queste ‘Dame di San Vincenzo’ made in Usa avrebbero fatto meglio a contare le vittime civili che hanno provocato durante la loro presidenza e a ripensare ai disastri politici che hanno combinato. Non tutti per la verità. Il democratico Jimmy Carter fu un presidente pacifico e pacifista. Invece l’altrettanto democratico Bill Clinton aggredì la Serbia contro la volontà dell’Onu e senza alcuna seria ragione. La Serbia era alle prese con un conflitto interno: gli albanesi del Kosovo, divenuti maggioranza, avevano creato un movimento indipendentista armato (armato dagli Usa) che come avviene in ogni lotta di liberazione faceva uso del terrorismo, la Serbia difendeva l’integrità dei propri confini. C’erano due ragioni a confronto che avrebbero dovuto essere risolte dai contendenti senza alcun peloso intervento esterno. Invece intervennero gli Usa da diecimila chilometri di distanza e che dopo il tentativo di accordo di Rambouillet, che la Serbia non poteva accettare perché avrebbe significato la sua fine come Stato sovrano, decisero che le colpe stavano solo dalla parte dei serbi, e bombardarono per due mesi quel Paese. Risultati. 5.500 morti civili di cui 500 erano albanesi cioè proprio coloro che si pretendeva difendere. Oggi il Kosovo è ‘libero’, ma al prezzo della più grande pulizia etnica dei Balcani: dei 360 mila serbi che vivevano in Kosovo ne sono rimasti solo 60 mila. E’ vero che oggi in Kosovo gli americani hanno la loro più grande base militare al mondo, ma in questo modo hanno favorito, contro la Serbia ortodossa di Milosevic che faceva da ‘gendarme’ dei Balcani, la componente musulmana dove oggi sono ben incistate cellule Isis, mentre la criminalità comune (droga, traffico di armi e di esseri umani) è aumentata in modo esponenziale. Inoltre dopo il precedente del Kosovo, che dagli Stati Uniti è lontanissimo, riesce un po’ difficile contestare alla Russia di essersi annessa i territori russofoni ai suoi confini.

Qualche attenuante ha invece Bush senior, repubblicano: Saddam Hussein aveva aggredito il Kuwait, Stato sovrano rappresentato all’Onu (anche se, per la verità, il Kuwait è uno Stato fantoccio creato dagli Stati Uniti nel 1960 per i loro interessi petroliferi). Le perplessità, per chiamarle così, vengono dal modo in cui gli americani condussero quella guerra. Invece di affrontare fin da subito, sul terreno, l’imbelle esercito iracheno che era stato battuto persino dai curdi e per salvare il rais di Bagdad dovette intervenire la Turchia (e quanto imbelle sia questo esercito lo si è visto anche di recente a Mosul e a Raqqa) bombardarono per tre mesi Bagdad e Bassora facendo 157.971 vittime civili di cui 32.195 bambini.

E’ stato poi il figlio George W. Bush, repubblicano, a inventarsi la teoria totalitaria che gli Sati democratici avevano non solo il diritto ma anche il dovere di esportare, a suon di bombe, la democrazia in quelli che democratici non erano. La guerra all’Afghanistan talebano è stata, e continua a essere, una guerra puramente ideologica. C’era stato, è vero, nel frattempo l’11 settembre. Ma i fatti hanno poi dimostrato in modo inequivocabile che i Talebani con l’abbattimento delle Torri Gemelle non avevano niente a che fare. La teoria Bush si è poi estesa all’Iraq (2003) e col democratico Obama alla Libia (2011). In Iraq le conseguenze, umane e politiche, sono state devastanti. I morti causati, direttamente o indirettamente, dall’intervento americano vanno dai 650 ai 750 mila. Inoltre gli americani, che avevano sempre combattuto gli iraniani e che nella guerra Iraq-Iran erano intervenuti per impedire agli uomini di Khomeini la vittoria che si erano conquistati sul campo, con la guerra all’Iraq hanno consegnato agli iraniani, che non hanno dovuto sparare nemmeno un colpo, tre quarti dell’Iraq. La tragedia libica, Obama presidente, è sotto gli occhi di tutti.

In Siria c’era una rivolta contro Assad. Anche qui, come in Serbia, era una questione interna a quel Paese. Sono intervenuti gli americani, con i soliti bombardieri e droni, il che ha permesso ai russi di inserirsi nel conflitto. I morti di questa tragedia li conteremo alla fine se avrà una fine.

L’avventurismo americano è stato seguito con fedeltà canina dagli europei (con qualche eccezione: Angela Merkel) e si è rovesciato puntualmente sul Vecchio Continente. L’aggressività americana nei confronti del mondo musulmano ha partorito l’Isis che nonostante le sconfitte a Mosul e a Raqqa non è affatto finito, è anzi più pericoloso che mai per noi europei perché i foreign fighters stanno rientrando. Inoltre è sulle coste del Vecchio Continente, in particolare quelle italiane, che si riversa parte dei migranti che fuggono dalle guerre innescate dagli Stati Uniti. Se i presidenti americani che si sono riuniti per fare le ‘anime belle’ siano più cinici o più cretini non sapremmo dire. Quel che è certo è che noi europei siamo stati solo cretini.

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59658

Primavera araba

Alessandro Lattanzio, 29/10/2017Effetti dell’onda lunga della ‘primavera araba’, celebrata in occidente, hanno un segno contrario e opposto a quello auspicato dai pianificatori della sovversione colorata. Washington, tramite Pentagono, CIA e ONG telecomandate, voleva distruggere gli Stati-Nazione mediorientale, come Algeria, Egitto, Iraq, Siria, Yemen e Iran, per spianare la strada al califfato islamo-atlantista (al-Qaida e il suo ramo Stato islamico), e consolidare il dominio militare sionista nella regione e proteggere le monarchie retrograde ed oscurantiste, ma legate a triplo filo con il sistema economico dollarocentrico di Wall Street e City. A presiedere tale operazione geopolitica vi era il clan democratico dei Clinton-Obama, strettamente alleati con l’Iqwan (la fratellanza mussulmana), la setta islamista fondata e diretta dell’intelligence anglo-statunitense, e con le potenze compradores regionali guidate da Arabia Saudita e Qatar, alleate con la Turchia neo-ottomana del massone e fratello mussulmano Erdogan. La guerra dei sei anni imposta alla Siria e all’Iraq dall’alleanza wahhabita-atlantista (asse Riyadh-TelAviv-Washington), sebbene avesse registrato dei successi iniziali in Tunisia, Egitto e Libia, alla fine non riusciva ad ottenere l’obiettivo finale, appunto la distruzione degli Stati-nazione mediorientali (Egitto, Siria, Iraq, Libano, Yemen) e loro sostituzione con il califfato islamista (dominato da fratellanza mussulmana, al-Qaida, Stato islamico, wahhabismo, salafismo e taqfirismo) che avrebbe proiettato i popoli arabi in un incubo spaventoso, distruggendone i progressi e imposto il dominio regionale economico-tecnologico israeliano (motivo per cui il sionismo si sente affine all’incubo islamista). Ma la resistenza di Siria, Iraq e Yemen, e soprattutto il golpe anti-islamista dell’Esercito egiziano, nel 2013, hanno avviato il processo che pone fine a tale piano neo-imperialista e neo-coloniasta in Medio Oriente (il cosiddetto Grande Medio Oriente ideato dai neocon statunitensi).L’intervento russo e iraniano era dovuto alla comprensione che scopo geopolitico del califfato atlantista era avviare la jihad della CIA contro le potenze eurasiatiche, (Cina, India, Russia, Asia Centrale). L’intervento preventivo era un obbligo, per bloccare il piano dei vertici della dirigenza statunitense, espressa dal clan Clinton-Obama. Contraccolpo della sconfitta di tale operazione espansionista e mondialista è, oggi, la resa dei conti non solo tra gli Stati-clienti mediorientali di Washington, (Qatar contro Arabia Saudita), ma anche la resa dei conti all’interno del ‘governo invisibile’ degli USA, che si concluderà solo con l’eliminazione, fisica, dei capibastone delle rispettive fazioni: le dimissioni o assassinio di Trump, o incarcerazione o eliminazione di Hillary Clinton. Vedremo gli sviluppi a Washington, che vanno accelerandosi con la resa dei conti, come quella che si svolge nella cittadella ideologica dell’imperialismo liberal, Hollywood.

https://aurorasito.wordpress.com/2017/10/29/la-fine-della-primavera-araba-segna-laffermazione-del-blocco-eurasiatico/

Continua l’assalto alla Costituzione

Lontano dai riflettori e dal clamore profuso attorno alla proposta dello ius soli o alla nuova legge contro la propaganda fascista, le blatte neoliberali – di sinistra di centro e di destra, ma soprattutto di sinistra – che infestano i due rami del parlamento italiano lavorano al sodo: cambiare l’art. 38 della Costituzione.

L’art. 38 detta le norme che inquadrano il diritto del cittadino in difficoltà all’assistenza da parte dello Stato. È un articolo breve e lapidario:

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza privata è libera.

Le blatte neoliberali vogliono cambiare questo articolo, perché è un ostacolo al loro progetto di ulteriore attacco alle pensioni. Lo vogliono cambiare aggiungendo alcune paroline al penultimo comma:

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti preposti o integrati dallo Stato secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazioni tra le generazioni.

oppure aggiungendone un quinto dopo il quarto:

Il sistema previdenziale è improntato ad assicurare l’adeguatezza dei trattamenti, la solidarietà e l’equità tra le generazioni nonché la sostenibilità finanziaria.

Il testo così emendato verrà pubblicizzato come un provvedimento per andare incontro alle giovani generazioni  (che il liberismo ha condannato alla precarietà) e passano alla terza e ultima fase, quella di espropriare dei diritti acquisiti anche le vecchie generazioni per operare una perequazione al ribasso. Tutti poveri. Le poche risorse del paese impoverito vanno equamente distribuite tra tutti, vecchi e giovani. E immigrati.

Perché lo fanno? Perché le blatte neoliberiste sono gli agenti del capitale: il nostro impoverimento è il loro (del capitale) arricchimento.

https://pensieriprovinciali.wordpress.com/2017/10/28/il-governo-delle-blatte-neoliberali/

Meno male che c’è l’Ungheria

Il piano della NATO di associare l’Ucraina all’alleanza e proporre ugualmente l’integrazione di Kiev nell’Unione Europea subisce una battuta d’arresto, vista l’opposizione dell’Ungheria per causa delle politiche di assimilazione delle minoranze che il governo ucraino sta attuando nel paese. Washington sta da tempo premendo per integrare l’Ucraina nella NATO come è avvenuto per gli altri paesi dell’Est, indifferente al fatto che questo rappresenti una minaccia per la Federazione Russa, visto lo stato di conflitto esistente di questo paese con la la Russia, da quando a Kiev è avvenuto il colpo di Stato pilotato da Washington e dai servizi di intelligence occidentali. I falchi del Pentagono spingono per armare pesantemente l’Ucraina, integrarla nella NATO ed utilizzarla come un ariete contro la Russia, avvenga quello che avvenga. Pochi fanno caso alla deriva neo nazista e totalitaria del regime di Kiev che ha eliminato fisicamente gli oppositori, ha messo il bavaglio a tutti i gruppi del dissenso interno e alimenta i gruppi nazionalisti e neonazisti che sono parte integrante delle sue forze armate. L’Unione Europea finge di non vedere e segue a ruota le direttive che provengono da Washington. Vedi: Sfilata neonazista a Kiev Budapest rappresenta ancora una volta una voce del dissenso rispetto alla deriva irresponsabile dei paesi europei schiacciati sugli interessi di Washington e della sua voltà di scontro con la Russia. Fonte: Sputinik Mundo Traduzione e nota: Luciano Lago

https://www.controinformazione.info/lungheria-da-una-stoccata-ai-piani-dellucraina-e-della-nato/

Talassocrazie

Simpatico aneddoto: l’ex-agente del SISMI, Francesco Pazienza, incontra i nordcoreani negli anni ‘80 alle isole Seychelles, dove gestiscono il servizio informazioni del presidente Ti France René. Propongono a Pazienza di eliminare un agente CIA, di cittadinanza italiana, che gira per le isole facendo troppe domande: il suo nome è Antonio Di Pietro1.

Nel 1991 collassa l’URSS e le potenze marittime riprendono la loro marcia verso l’Heartland (allargamento ad est della NATO, Georgia, Asia Centrale, etc. etc.). In questo contesto, la Corea del Nord è una potenza ostile situata nella fascia intermedia, il suddetto Rimland: il suo destino dovrebbe essere lo stesso quello della Jugoslavia. L’amministrazione Clinton, che apre le porte del WTO della Cina, ha però scarso interesse a scatenare una guerra a poca distanza dall’area in cui le imprese americane stanno delocalizzando. L’amministrazione Bush valuta il cambio di regime nel 2003, ma il pantano iracheno raffredda l’ardore bellico di Donald Rumsfeld e soci.

Resta il fatto che qualsiasi Stato ostile agli USA e privo di arsenale atomico può essere rovesciato in qualsiasi momento: Pyongyang accelera quindi il proprio programma nucleare bellico, usando uranio locale, e nel 2006 effettua con successo il primo test atomico. Nel caos dell’Ucraina post-Euromaidan2 (2014), i nordcoreani acquistano i missili balistici SS-18; il 29 agosto 2017 lanciano il primo vettore che sorvola il Giappone per inabissarsi nel Pacifico; il 3 settembre 2017 testano la prima bomba termonucleare.

La Nord Corea è ora nel ristretto club atomico: dispone di un arsenale che, in teoria, dovrebbe dissuadere qualsiasi aggressore. Il celebre “deterrente nucleare”.

http://federicodezzani.altervista.org/assalto-alleurasia-la-corea-del-nord-e-solo-lantipasto/

Adelante Pedro, sed cum judicio

Bottai senza ulteriori esitazioni si pone alla testa della colonna e inizia l’attraversamento del quartiere, seguito da migliaia di squadristi armati. Sfilano inquadrati dietro labari e gagliardetti, mentre dai tetti, dagli angoli delle strade che incrociano la Tiburtina e da dietro le finestre gli Arditi del Popolo e gli altri antifascisti li scrutano con le armi in pugno. Tutti i crocevia più a rischio, a cominciare dall’angolo tra via dei Sardi e la Tiburtina, sono presidiati dall’Esercito in assetto di guerra. Gli squadristi abruzzesi e marchigiani rispondono con disciplina a quell’inatteso fuori programma, anche perché non sono coinvolti emotivamente nella guerra privata tra il Fascio romano e San Lorenzo. I minuti scorrono lenti, intervallati dal passo di marcia e dalle canzoni fasciste urlate a squarciagola, mentre una folla muta si assiepa dietro i cordoni di militari e Polizia. Il silenzioso popolo di San Lorenzo questa volta non si mostra né ostile né entusiasta, si limita a osservare gli avvenimenti con curiosità e paura. Incredibilmente non succede nulla.

Bottai supera l’incrocio con via dei Sardi e lentamente risale fino a via Marsala. Giunto quasi all’angolo di piazza dei Cinquecento è ormai convinto che anche la coda della colonna stia uscendo dal quartiere e tira un sospiro di sollievo. Ma a questo punto accade l’imprevedibile: «La testa della colonna era già arrivata all’altezza a via Marsala quando si udì lo scoppio di una bomba. La seconda metà della mia colonna impegnava il combattimento. I sovversivi, annidati nelle case fronteggianti la via e la piazza, sparavano di dietro le comode feritoie delle persiane. Ordinai l’alt e il dietro front. Le squadre in ordine perfetto ritornarono verso la piazza e la via Tiburtina e, addossate ai muri della stazione tramviaria, iniziarono un vivace fuoco di fucileria contro le finestre e gli sbocchi delle strade». Ancora una volta la ricostruzione che ci propone Bottai in queste righe non è del tutto veritiera. Secondo la sua versione saremmo infatti indotti a credere che la coda della sua colonna sia stata attaccata da un lancio di granate e, conoscendo i retroscena della trattativa della mattinata, dovremmo concludere che le milizie antifasciste abbiano deliberatamente violato i patti. Non è così. Il fragile castello dell’accordo raggiunto crolla per un caso, un dettaglio imprevisto. Fin dalla mattina la voce di un’imminente battaglia a San Lorenzo era circolata anche nella colonna di Igliori e da lì si era estesa e ingigantita attraverso le staffette di collegamento tra le varie colonne in marcia a tutte le squadre che stavano convergendo su Roma. Così due squadra toscane, entrata a Roma da ponte Milvio, decidono autonomamente di portare soccorso alla colonna Bottai, come racconta il generale Pugliese: «Essa [la colonna Bottai] attraversa quasi completamente e senza incidenti il quartiere popolare, quando, giunta la coda della medesima all’altezza del cimitero del Campo Verano, si inizia a Porta San Lorenzo un’intensa sparatoria tra fascisti e comunisti, provocata dall’irruzione di squadre fasciste toscane, entrate in Roma da Ponte Molle, che avendo appreso, erroneamente, di una violenta reazione comunista contro la colonna Bottai, senz’altro si precipitano nel quartiere e con numerosi colpi di moschetto sparati contro le finestre del piazzale, provocano l’immediata reazione da parte popolare e altra controreazione di parte fascista».

http://www.barbadillo.it/70447-anni-di-piombo-ante-litteram-la-mia-strada-passa-per-san-lorenzo/

Liberati?

Da Paese uscito sconfitto dal secondo conflitto mondiale, e con una importanza geopolitica rilevante, all’Italia è stata imposta una presenza massiccia di basi militari su tutto il territorio nazionale. Con l’adesione al patto atlantico di difesa miliare NATO del 4 aprile 1949, l’Italia entra e si posiziona ufficialmente all’interno del blocco occidentale contrapposto a quello sovietico e del patto di Varsavia, diventando un’importante base logistico-militare per le truppe alleate, sopratutto per quelle americane.

Basti pensare che dal dopoguerra in poi, la presenza militare americana ha garantito a Washington un controllo capillare nel Mediterraneo, che doveva essere difeso, a detta del Pentagono, dalla minaccia sovietica. Gli americani hanno depositato un cospicuo numero di testate nucleari in Italia, che tutt’oggi rimangono attive.

Ma è soprattutto negli ultimi trent’anni che queste basi, marine, aeree e di terra si sono rivelate di grande importanza: ad esempio per le operazioni di intervento militare contro la Serbia nel conflitto Jugoslavo, nelle missione di peace keeping nelle neonate repubbliche in quell’area o in Libia e per il rifornimento logistico navale nei due conflitti in Iraq.

La presenza USA nel nostro Paese non si è mai alleggerita, neanche dopo la fine della guerra fredda e  il crollo dell’Unione Sovietica. È anzi rimasta ben presente per tre importanti motivi: per supporto logistico alle guerre di “esportazione di democrazia” nel Mediterraneo e nel golfo, per mantenere una pesante “occupazione” militare in Europa e infine per proseguire nell’ottica di una politica di accerchiamento della Russia.

Le basi americane sono disseminate dal Friuli alla Sicilia, e il rapporto del governo italiano con la loro presenza è sempre stato di totale sottomissione. Prendiamo ad esempio la base di Vicenza, Camp Ederle: già caserma dell’esercito italiano , ospitò i primi militari americani già nel 1955, in dislocamento dall’Austria, acquistando nel tempo sempre più importanza e implementando la presenza di truppe fino ad arrivare alle 12000 unità odierne, 2000 in più del periodo della guerra fredda.

L’impatto con la comunità veneta della presenza dei 12000 militari americani a Vicenza non è dei migliori. Dal 2015 al 2016 ci sono stati 113 casi di crimine commessi da militari statunitensi; da stupri e tentate violenze sessuali a risse ed aggressioni. Il fatto eclatante però sta nell’atteggiamento delle autorità italiane verso i crimini: in 93 casi l’Italia ha rinunciato alla giurisdizione e lasciato che gli imputati, in base all’articolo 7 della convenzione di Londra del 1951, venissero giudicati nel loro Paese di provenienza.

Il criterio di tale atteggiamento appare ancora più sconvolgente in quanto la rinuncia viene fatta per un semplice ” convivenza politica“, secondo quanto dice il procuratore capo di Vicenza. Come per il caso del Cermis, dove un aereo da guerra americano tranciò i cavi di una funivia causando la morte di 20 persone, questi militari nella stragrande maggioranza del casi, lasciati alla giustizia americana non pagano per i crimini commessi .

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Ma chi sono i più deboli oggi in Italia?

di Francesco Lamendola – 22/10/2017

Ma chi sono i più deboli, oggi, in Italia?

Fonte: Accademia nuova Italia

Una delle ragioni – una, non certo la sola – del deterioramento del servizio pubblico, nell’Italia dei nostri giorni, è l’avvento di una filosofia buonista, basata sui falsi dogmi dell’accoglienza indiscriminata e dell’inclusione  ogni costo di qualsiasi soggetto, per quanto difficile o problematico, la quale ha creato e crea ogni giorno situazioni assurde, insostenibili, costi altissimi per la comunità, non solo in termini economici, ma anche riguardo alla qualità della vita, del lavoro, dello studio, della sanità, dei trasporti, eccetera. Di fatto, e nel giro di due o tre decenni, si è operato un vero e proprio capovolgimento di prospettiva, che si riflette nell’offerta dei servizi sociali, ma che parte da molto più lontano e riguarda il nuovo orientamento dello Stato e della Chiesa nei confronti dei processi della globalizzazione. Detta in parole semplici: i problemi, la sicurezza e il benessere dei cittadini italiani non sono più la priorità dello Stato; e la cura e la salvezza delle anime dei cattolici non sono più la priorità della Chiesa. Entrambi, lo Stato e la Chiesa, hanno deciso che le loro priorità sono altre: che devono farsi carico di una integrazione a trecentosessanta gradi, la quale si trasformerà, nel giro d’un paio di generazioni – e questa è scienza statistica – in una sostituzione di popolazione e di religione: al posto degli italiani ci sarà una popolazione meticcia di numerose lingue, razze e culture, e al posto della religione cattolica ci saranno decine di culti, ma uno s’imporrà sicuramente su tutti, se non altro con il peso dei numeri: l’islamismo.

Contemporaneamente, anche le persone appartenenti a dei gruppi o a delle categorie minoritarie otterranno, come già sta accadendo, un ampliamento sempre maggiore dei loro diritti, a detrimento dei diritti altrui. Il diritto dei militanti omosessuali di celebrare i loro Gay Party, o quello delle organizzazioni LGBT d’insegnare l’ideologia gender negli asili e nelle scuole, configgerà con il diritto di chi non ritiene tollerabili simili spettacoli e iniziative; e la maggioranza degli italiani dovrà chinare la testa e tacere, sotto la minaccia di denuncie e di pesanti multe, o peggio, dato che il Parlamento si appresta a varare delle leggi in tal senso: leggi che non prevedono l’oggettività del “reato”, ma, cosa inaudita e totalmente antigiuridica, la soggettività della presunta parte lesa, ossia la “percezione” di una offesa da parte di chi intende sporgere denuncia contro un supposto reato di omofobia. Allo stesso modo, il “diritto allo studio” e, naturalmente, all’inclusione, di un bambino autistico, o caratteriale, magari anche violento, configge, evidentemente, con il diritto allo studio da parte dei suoi compagni di classe, costretti a frequentare un ambiente in cui vige il terrore: ma il legislatore ha deciso che, in tali situazioni, deve comunque prevalere la tutela della pare “più debole”, e dunque non si discute sull’inclusione di quel ragazzino. Anche se il ragazzino è cresciuto e ha terminato la scuola dell’obbligo, e vuol proseguire fino al diploma superiore: il suo diritto a frequentare la scuola – una scuola nella quale non impara nulla, non socializza, non fa altro che vegetare con la presenza, costosa per la comunità, di un apposito insegnante di sostegno. La scuola non può rifiutarsi di iscriverlo e di accoglierlo, i compagni (e gli insegnanti) devono accettare e tacere. Altrimenti sono “cattivi”, cioè non inclusivi, non solidali, non accoglienti.

Oppure prendiamo una famiglia di zingari (ma si può ancora dire “zingari”, o si rischia una denuncia?), la quale, individuato un appartamento sfitto, vi penetra e vi s’insedia come fosse roba sua: un giorno il legittimo proprietario gira la chiave e si trova la casa occupata. Ebbene: in un Paese normale, la legge sarebbe dalla sua e l’appartamento verrebbe immediatamente sgombrato  e restituito a colui al quale appartiene, e che, su di esso – cosa non certo trascurabile – paga fior di tasse, anche se non vi abita, perché, mettiamo, quella è la casa lasciatagli in eredità dai suoi genitori, che l‘hanno acquistata con una intera vita di lavoro; ma in Italia no, le cose non vanno così: da noi, bisogna tutelare il diritto del “più debole”. E così il disgraziato proprietario dovrà umiliarsi a pietire, come chiedesse un favore personale, ora dal sindaco, ora dal comandante dei Carabinieri, per vedersi trattato con crescente impazienza, quasi con fastidio, e manca poco che gli dicano chiaro e tondo: Ma se lei ha due case e una di esse è vuota, che cosa pretende? È logico, e in fondo è giusto, che ci vada ad abitare chi non ne ha neppure una. Il lavoro, il risparmio, il rispetto della legalità, il pagamento scrupoloso e puntuale delle tasse, tutto questo non conta nulla: l’unica cosa che conta è la priorità di tutelare il soggetto più debole. Già: solo che, a questo punto, bisognerebbe vedere chi sia davvero il più debole, fra i due.

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Fasciocomunisti

Fasciocomunisti

di Luca Mancini – 14/10/2017

Fasciocomunisti

Fonte: Appello al Popolo

Budapest. Estate 1939. Il partito delle Croci Frecciate, d’ispirazione fascista, era sempre più protagonista nel dibattito politico. Pochi mesi prima, alle ultime elezioni, esso era diventato la principale forza di opposizione al Partito dell’Unità Nazionale, che guidava l’Ungheria dal 1919, ossia dalla soppressione della Repubblica dei Consigli d’ispirazione sovietica. La sua era un’opposizione pugnace, ricca di manifestazioni eclatanti, articoli aggressivi sulle colonne del giornale di partito, dove si parlava di riforme radicali in favore dei ceti popolari. Un’opposizione nettamente diversa da quella sterile che perpetuava da vent’anni il Partito Socialdemocratico, il quale aveva serenamente accettato lo status quo e non faceva molto per cambiarlo, tant’è che alle suddette elezioni il successo delle Croci Frecciate fu proprio nei cosiddetti quartieri rossi dove vivevano perlopiù operai, studenti, piccoli artigiani e laureati senza lavoro. Basti pensare al caso della “rossa Csepel”: un’isola sul Danubio all’interno di Budapest, dove vi era un’alta concentrazione di fabbriche e case operaie e dove si consumò buona parte del successo delle Croci Frecciate, anche se essa era considerata tradizionalmente una roccaforte socialdemocratica.

 

Improvvisamente gli operai votavano a destra e nessuno riusciva a comprendere perché; eppure la risposta era davanti ai loro occhi: il Partito dell’Unità Nazionale aveva sempre promesso riforme radicali per i ceti popolari, ma queste promesse erano state costantemente disattese; i socialdemocratici non facevano più nessuna opposizione da anni, tanto che la gente iniziò a pensare che fossero d’accordo con il partito al governo; il Partito Comunista, invece, viveva in clandestinità dal 1921, quando una legge lo mise al bando come socialmente pericoloso, in quanto voleva sovvertire violentemente l’ordine costituito. In pratica, l’unica forza che propugnava un reale cambiamento erano le Croci Frecciate e la gente affamata non badava alle sottigliezze ideologiche, come pensava l’intellettuale di sinistra. Durante quell’estate il leader delle Croci Frecciate, Ferenc Szalasi, era in prigione. Poco tempo prima, egli e altri membri del suo partito erano stati condannati per vilipendio alla nazione, utilizzando proprio quella legge III del 1921 che metteva al bando il Partito Comunista. La corte affermò: “il crimine di vilipendio alla nazione può essere commesso non solo da un bolscevico, ma anche da un ben noto antibolscevico e studioso patriottico”. Com’è possibile che fascisti e comunisti potevano esser condannati per lo stesso crimine dalla stessa legge? La risposta era piuttosto semplice: essi erano considerati entrambi due partiti rivoluzionari perché volevano abbattere il sistema liberale e capitalista. Erano gli stessi militanti croce-frecciati a cogliere questa affinità con i comunisti, tanto che all’indomani della stipula del Patto Ribentropp-Molotov avvenne per le vie di Budapest qualcosa di incredibile: le Croci Frecciate organizzarono una grande manifestazione portando in piazza una massa di persone con i ritratti di Hitler, Szálasi e Stalin! Il patto venne interpretato da molti come la prova della formazione “di un fronte comune degli stati proletari contro le plutocrazie”, come scrisse il giornale del partito, e pertanto chiedevano l’abrogazione della legge III del 1921 che teneva prigionieri molti comunisti, ma soprattutto molti loro compagni di partito, tra cui il loro leader Szálasi, che finì di scontare la sua pena detentiva solo un anno dopo, nell’autunno del 1940. C’è da immaginarsi lo sgomento dell’élite intellettuale socialdemocratica o liberale, quando vide militanti di ispirazione fascista scendere per le strade con i ritratti di Stalin chiedendo di liberare i militanti comunisti. Tuttavia, questo aspetto è sempre stato sottovalutato sia dall’analisi politica che dalla storiografia, eccessivamente concentrate ad analizzare l’eccessivo nazionalismo e l’anticomunismo dei partiti fascisti, tralasciando altri importanti aspetti che li caratterizzavano, quali il corporativismo e soprattutto l’antiliberalismo. Questa visione probabilmente si perse nella seconda metà del ‘900 per evidenti motivi di opportunità ideologica da parte delle due superpotenze, ma invece era chiarissima negli anni ’30 e ’40. Ad ogni modo, Szalasi non giunse mai al potere per via democratica: divenne primo ministro soltanto nell’autunno del 1944 quando l’Ungheria era già stata occupata dalla Wehrmacht per via del tentativo di sganciamento dall’Asse. I tedeschi deposero il governo precedente e scelsero le Croci Frecciate come partner politico. Szàlasi, nonostante il suo potere fosse notevolmente limitato dalle contingenze belliche, si adoperò sin dall’inizio per una serie di riforme che avrebbero costituito l’inizio della rivoluzione sociale, tanto attesa dal popolo. Successivamente, diversi storici marxisti ungheresi evidenziarono una certa continuità rivoluzionaria tra il governo di Szálasi e il successivo governo comunista: lo storico marxista István Deák affermò che “la vittoria finale delle Croci Frecciate nell’ottobre del 1944 significò l’inizio di una rivoluzione sociale che continuò e continua”, evidenziando una certa continuità tra le politiche sociali iniziate da Szálasi e quelle adottate dal successivo regime comunista. Questo sottolineava, ancora una volta, lo spirito antiliberale e rivoluzionario che accomunava le due ideologie. Non è un caso, infatti, che molti degli iscritti e dei sostenitori del partito di Szálasi passarono successivamente tra le fila del Partito Comunista e divennero sostenitori attivi del neonato regime filo-sovietico. Questa non è un’eccezione, ma un avvenimento piuttosto comune che avvenne anche in altri parte d’Europa, prima fra tutte l’Italia, dove molti vecchi sostenitori del regime fascista entrarono nel PCI, considerato il partito più vicino alle loro idee sociali, come sottolineava il repubblichino Barna Occhini nell’ultimo numero della rivista culturale della RSI “Italia e Civiltà”, il 17 giugno 1944: “Roosevelt, Churchill, Stalin. Il gran discorrere di Roosevelt e Churchill e la forma e la sostanza dei loro discorsi hanno invariabilmente l’effetto di accrescere in noi, al confronto, la stima verso Stalin. Rispettiamo al confronto la serietà di Stalin, la sua semplicità di parole e di gesto, il suo andare allo scopo con energica silenziosa durezza. (…) E sappiano finalmente Roosevelt e Churchill, e tutti i loro compari, che i fascisti più consapevoli, i quali hanno sempre riconosciuto nel comunismo la sola forza viva contraria alla propria, non tanto nella Russia, quanto nella plutocratica Inghilterra e nella plutocratica America hanno individuato il vero nemico. Sempre essi hanno sentito di discordare, sì, dai comunisti su molti punti, ma anche di concordare con essi su molti altri, e precisamente e soprattutto di concordare su ciò che non vogliono. Vale a dire, noi e i comunisti concordiamo nel non volere più, né gli uni né gli altri, la vecchia società liberale, borghese capitalistica. E sappiano anche i Roosevelt, i Churchill e i loro compari, che quando la vittoria non toccasse al Tripartito, i più dei fascisti veri che scampassero al flagello passerebbero al comunismo, con esso farebbero blocco. Sarebbe allora varcato il fosso che oggi separa le due rivoluzioni. Avverrebbe tra esse uno scambio e un’influenza reciproca, fino alla fatale, armonica fusione”

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Il grande gioco europeo

Come succede anche oggi con la cronaca, a guardare troppo da vicino ai fatti nostri si perde la visione d’insieme; tutto cominciò nel 1917, lo scenario è quello della prima guerra mondiale in cui fronteggiavano due schieramenti:

La triplice Intesa si completò nel 1907 con l’accordo Franco-Russo:

L’Impero britannico, l’Impero russo e la Francia con il suo Impero Coloniale controllavano assieme un territorio di 70 milioni di km², la metà dei territori abitabili della terra e contavano 600 milioni di abitanti. Nonostante le tre potenze controllassero un territorio così vasto nessun possedimento né francese né britannico confinava con l’Impero Russo e non vi era quindi una continuità territoriale fra i tre stati.

La Triplice alleanza fu un patto militare difensivo stipulato il 20 maggio 1882 a Vienna dagli imperi di Germania e Austria (che già formavano la Duplice alleanza) e dal Regno d’Italia.

Inizialmente fu voluta principalmente dall’Italia desiderosa di rompere il suo isolamento dopo l’occupazione francese della Tunisia alla quale anch’essa aspirava. Successivamente, con il mutarsi della situazione in Europa, l’alleanza fu sostenuta soprattutto dalla Germania desiderosa di isolare politicamente la Francia.

Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, l’Italia, dopo un lungo percorso di avvicinamento e di accordi con la Francia, con la Gran Bretagna e con la Russia, in forza dell’articolo 4 del trattato, dichiarò la sua neutralità.

Nel 1915 la Triplice intesa propose all’Italia, in cambio della sua entrata in guerra contro l’Austria, ampliamenti territoriali a scapito di Vienna e una posizione di dominio nell’Adriatico. Lo stesso anno l’Italia rifiutò le inferiori proposte dei governi di Vienna e Berlino, denunciò la Triplice alleanza ed entrò nel conflitto contro l’Austria.

Il posto dell’Italia nella Triplice alleanza venne preso dall’Impero ottomano, che già da molti anni aveva instaurato buoni rapporti diplomatici con la Germania e l’Austria.

Come potete verificare su wikipedia, la posizione dell’Italia fu, come al solito, confusa ed ondivaga, ma quello che ci preme di sottolineare qui è il 1917 in cui (Caporetto a parte) c’è l’ingresso in campo europeo degli Stati Uniti.

https://terzapaginaweb.wordpress.com/2017/01/24/1917-il-grande-gioco-americano-parte-prima/

https://terzapaginaweb.wordpress.com/2017/01/24/1917-il-grande-gioco-americano-parte-seconda/