Durante i tre anni di ricerca per il mio libro La terra dei nomadi: come sopravvivere in America nel ventunesimo secolo, ho frequentato centinaia di persone che erano arrivate alla stessa risposta. Hanno rinunciato a una casa tradizionale e sono passati all’”immobiliare su ruote”. Camper, rimorchi, furgoni, pick-up e perfino una Prius recuperata e altre auto. A molti di loro rinunciare al comfort materiale ha permesso di sopravvivere, e di recuperare nel frattempo un piccolo grado di libertà e autonomia. Ma ciò non significa che la vita sulla strada sia facile.
Il mio primo incontro con un gruppo di “nuovi nomadi” è avvenuto nel 2013, nel parcheggio per camper del deserto Rose, a Fernley, in Nevada. Era abitato da appartenenti al mondo del “precariato”: lavoratori temporanei che svolgevano lavori di breve durata con stipendi bassi. I suoi cittadini erano girovaghi a tempo pieno, che dimoravano in camper o veicoli simili, anche se almeno uno di loro aveva solo una tenda in cui vivere. Molti avevano più di 60 o 70 anni, vicini o già nel mezzo della tradizionale età della pensione. La maggior parte non poteva permettersi di smettere di lavorare – o di pagare l’affitto.
Fin dal 2009, l’anno dello scoppio della bolla immobiliare, gruppi di lavoratori di questo tipo si sono spostati ogni autunno nei parcheggi per case mobili che sorgono intorno a Fernley. Molti avevano viaggiato per centinaia di chilometri – e subìto le consuete umiliazioni del controllo dei precedenti penali e del dover urinare in una tazza per il test antidroga – per avere la possibilità di guadagnare 11,5 dollari all’ora più gli straordinari lavorando in magazzini temporanei. Avevano intenzione di rimanere fino all’inizio dell’inverno, benché molte delle loro case su ruote non fossero progettate per viverci in zone a temperatura sottozero.