La piramide rovesciata

Perché – come spiega Mike Rosman, uno psicologo che, lasciato 30 anni fa l’insegnamento alla University of Virginia ha comprato 190 acri   nello Iowa e vive di quello, ma   ha organizzato il “telefono amico” per i colleghi tentati dal suicidio –  “gli uomini dei campi   hanno una forte motivazione  a  produrre  le cose essenziali per la vita umana, alimenti, fibre, legna”.  E’ un sentimento o una responsabilità cosciente? Lo psicologo lo ha chiamato “l’imperativo agrario”. “Quando il contadino non riesce ad adempiere al suo scopo, si sente disperato.  E’ un paradosso: proprio quella qualità che fa bravo l’agricoltore, è quella che lo fa’ disperato  se fallisce”.

Ma se  questo è vero, è la definitiva imputazione di questa società a piramide  rovesciata, dove gli fa il lavoro più necessario è quello che viene meno compensato, mentre  chi guadagna miliardi ed ha “successo”,  è proprio chi più è privo del senso di responsabilità verso il prossimo; e schiaccia e depreda coloro che sentono l’imperativo di “nutrire gli altri”.    Speculatori di Wall Street e attori di Hollywood, giornalisti e banchieri e bancari,  viviamo tutti su di loro.  Senza il contadino che  produce grano e soya e non riesce a spuntare 4 dollari per il suo bushel di grano, anche lo speculatore di Wall Street e l’attrice  strapagata  – che fanno milioni –   sarebbero morti.   Eppure ciò non trattiene i banchieri e i bancari dall’applicare ai nutritori   che hanno indebitato, i “tassi di mercato”; e di raddoppiarli  alla prima difficoltà,  di sequestrare terreni e svalutarli.

Sempre, anche in passato, i contadini sono stati  oppressi dai debiti;  quelli che ho conosciuto io   ragazzino in Toscana,   fu probabilmente una delle ultime generazioni che cercavano di vivere a ciclo completo  e chiuso, non consumavano carburante, il fertilizzante era il letame delle loro bestie.  Non gli mancava il  cibo  (anche se i vecchi ricordavano carestie, quando “passava di qui la linea gotica”, e un neonato morì e lo seppellirono dietro il casale), ma non avevano soldi per comprare le scarpe, né il caffè  per  le puerpere. Quel poco denaro, lo guadagnavano le uova e quattro galline al mercato. Il sale era una delle  poche  necessità assolute  che compravano, e per questo il pane toscano è  sciapo. Portavano il loro grano al molino  per farne farina, e gliene lasciavano una parte per pagamento. Era una economia “primaria” nel senso più  forte ed  elementare:  sul limitare tremendo fra la vita e la fame, con la memoria stampata nei secoli,che se una gelata o una malattia rovinava  il raccolto, nessuno ti avrebbe aiutato; perché erano loro i nutritori di  tutti  gli altri. Gli ultimi, e tuttavia i primi. La prima e l’ultima linea.

Chi si è accaparrata la loro aumentata produttività

 

Quell’agricoltura era “arretrata”, ovvio. Mai nessuna categoria  di lavoratori ha   aumentato    tanto prodigiosamente la produttività come  la loro: dopo che per secoli il 90% di un popolo era impiegato nell’agricoltura,  ancora  nel 1931 in Italia il 46,8 per cento era impiegato nel settore primario, quello che sfama; nel 1961 erano   ancora agricoltori il 29 per cento della popolazione attiva; nel 2007, sono scesi sotto  il 3,9 –  che è la quota mondiale  di popolazione agricola nei paesi  avanzati. E ora il 4% produce  enormemente di più di  quel che produceva il 90, o anche  il 46% che faticava con l’aratro a metà del ‘900.

Settore primario: agricoltura e miniere. Secondario: industria. Terziario: servizi

Secondo l’ideologia dell’economia di mercato che si pretende etica,   tanto “recupero di  produttività” dovrebbe premiare i lavoratori, andare a loro in buona parte come reddito, di benessere.  Stranamente, invece, sono stati altri ad accaparrarsi la produttività recuperata: dalle banche indebitatrici  ai miliardari di Wall Street  (o di Montepaschi, o di Sorgenia, o Mediaset)  che, senza nemmeno saperlo manipolano   e sprecano capitali   che sono stati formati laggiù, nel settore primario  perché è lì che avviene l’accumulazione primaria, la formazione originaria del capitale.

Nell’agricoltura arretrata e poco produttiva, il 90% che faticava sui campi manteneva (oltre a se stesso) un 10% di re, cavalieri, religiosi e  santi nei conventi; con le offerta al Papato,  manteneva  qualche Brunelleschi, Giotto e Michelangelo. Oggi il 4% produce abbastanza per mantenere i Berlusconi e i Visco,   Boldrini e Grasso, Draghi e DeBenedetti…e  anche ciascuno di noi, che lavora  nel “terziario”, ossia nel superfluo.  Riconosciamo la nostra parte nello sfruttamento: la loro “aumentata  produttività” di agricoltori, la godiamo noi. E sapete come? Nel ribasso  del costo del  cibo. Gli alimentari costano “poco”. Costano meno che in passato.  Costano pochissimo, poi, in confronto allo smartphone che diamo ai nostri tredicenni,all’auto che cambiamo ogni tre anni; poco rispetto alle paghe dei parassiti ed oligarchi  pubblici. Pochissimo rispetto ai bitcoin e agli F-35…Tutti mantenuti da  loro, in definitiva.   Ma se  rincarano le zucchine, ne parlano i  Tg; importiamo grano dall’Australia per pagarlo meno  –  e appena il grano dei nostri coltivatori siciliani è pronto per la messe, ecco che rrivano le navi granarie dal Canada, a rompere i prezzi  col grano che è nelle stive, magari, da anni …..  Mi domando se gli agricoltori non siano uccisi dalla nostra ingratitudine. E se noi non ci seghiamo il  proverbiale ramo.

 

Con usura nessuno ha una solida casa di pietra squadrata e liscia per istoriarne la facciata. Con usura non v’è chiesa con affreschi di paradiso harpes et luz e l’Annunciazione dell’Angelo con le aureole sbalzate. con usura nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine.  non si dipinge per tenersi arte in casa ma per vendere e vendere presto e con profitto, peccato contro natura. il tuo pane sarà staccio vieto arido come carta, senza segala né farina di grano dur  (…) 

L’articolo I COLTIVATORI SUICIDI. PER LA NOSTRA INGRATUDINE. è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.

Autore: redattorecapo

associazione culturale Araba Fenice fondata a Bondeno (FE)

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