“E così – scrive Rimbert – la Germania diventa al giro del millennio il primo partner commerciale di Polonia, repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria. Per Berlino, rappresentano un retro-paese di 64 milioni di abitanti, trasformato in piattaforma di produzione de-localizzata. Certo anche italiani, francesi e britannici profittano di questo commercio asimmetrico, ma in misura minore. Audi e Mercedes affollerebbero meno le strade di New York e Pechino se il loro pezzo con comprendesse anche i bassi salari polacchi e ungheresi”. Un vantaggio enormemente aumentato dall’introduzione dell’euro: che per la Germania significa esportare in moneta svalutata del 20% (rispetto all’ipotetico marco) mentre per l’Italia e la Francia significa dover esportare con moneta sopravvalutata del 15-18%.
Le industrie esportatrici italiane ce la fanno ancora egregiamente (meglio di quelle francesi…), ma ovviamente a margini tremendamente assottigliati. Il che non permette di creare più posti di lavoro qui.
Ricordiamo che in Europa ci sono 24 milioni di europei in età di lavoro, che lavoro non trovano: e 18 milioni sono nella zona euro.
Anche potenza agricola nel grande spazio slavo (il sogno di Hitler)
Non basta ancora. Non solo l’industria tedesca, ma anche l’agricoltura germanica, storicamente deficitaria, è stata favorita in modo incredibile dall’integrazione dell’Est: la grandi fattorie (ex kolchoz), braccia abbondanti e qualificate, e soprattutto spazio agricolo per allevamento estensivo. Così Ungheria e Romania hanno creato un export di “carne di manzo tedesca” che mai prima era esistito (perché credete che i tedeschi abbiano inventato il wurstel di cascami di maiale affumicati?): la vulnerabilità alimentare in caso di guerra era stato l’assillo di Federico il Grande, di Bismarck come del Terzo Reich, e il motivo della storica paura-invidia verso la Francia imperiale e potenza agricola. Ed ecco che l’agricoltura “tedesca”, supera quella francese, ed esporta in Europa filetti e quarti di mandrie allevate in Romania, dove non si è guardato troppo per il sottile alle norme igieniche eurocratiche. “E’ come se l’intera produzione agricola spagnola fosse passata sotto bandiera francese”.
In breve: è stato a causa di questa riserva di manodopera di lavoratori e consumatori potenziali che i sindacati tedeschi hanno accettato le famose leggi Hartz coi loro minijob e fluidificazione del mercato del lavoro (flex-security); anche perché il costo degli alimentari è oggi basso in Germania e i sottopagati da minijob, comunque, mangiano.
Guardiamo la mappa della UE reale, cui non abbiamo prestato abbastanza attenzione, illusi da una UE ideale che non esiste. A nord-est, i Paesi Bassi, principale piattaforma logistica dell’industria renana, Belgio e Danimarca hanno nel grande vicino il primo sbocco commerciale (e senza dazi, siamo in Europa!); a sud l’Austria, anch’essa integrata alle catene produttive tedesche. Ma si tratta comunque di paesi sviluppati moderni, con loro eccellenze a forte valore aggiunto, servizi avanzati come assicurazioni e finanza. Quanto all’Est, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria sono legate in posizione subalterna, semi-coloniale, a Berlino.
Vi ricorda qualcosa questa mappa? Si tratta del Lebensraum, il “grande spazio vitale” (vitale in senso biologico) di cui la potenza tedesca aveva assolutamente bisogno per non soffocare: Hitler lo perseguì con la conquista militare e il lavoro forzato slavo, fallendo. Adesso la “democratica” federale Germania, battendosi il petto per le sue colpe belliche, lo ha realizzato di nuovo con la collaborazione della cosiddetta “Europa Unita”. Senza nemmeno rendersene conto, impolitica com’è – e continuando a governare il suo “nuovo Reich” e il suo Lebensraum con la mentalità da bottegaio provinciale, corto ed egoista, che è la sua falla psico-politica apparentemente inevitabile.