Dietro il vertice

Naturalmente quest’articolo 11 disvela come non mai la contraddizione profonda della macchina istituzionale comunitaria europea. Gli Stati nazionali continuano a essere rilevanti appena si esce dal recinto della circolazione della moneta per entrare in quello della circolazione delle persone, contraddicendo la filosofia stessa dei sostenitori di una eurofilia che si sta sciogliendo come neve al sole appena incontra il paradigma della diversità. Ma il grande protagonista di questo consiglio è stata l’Italia. Nello stesso giorno in cui si emanava quel comunicato, Enrico Letta veniva citato in un lungo articolo del Financial Times dedicato al conflitto franco-tedesco che sottintendeva lo scontro europeo sui migranti. Enrico Letta sosteneva che l’Europa era in difficoltà nel raggiungimento di un accordo su tale questione perché nell’Europa medesima si era venuta a creare (traduco liberamente dall’inglese ma non dal francese) “una situazione all’italienne”, ossia una confusione e una crisi tale che offriva al medesimo l’occasione di rendere manifesto tutto il suo patriottismo.

Invece è proprio l’Italia a uscire vittoriosa da questo conflitto. Ed è l’Italia del governo Conte che ha dimostrato che ciò che si è raggiunto a Bruxelles, ieri, si sarebbe potuto raggiungere anche prima, se buona parte della nostra classe politica italiana non parlasse in italiano pensando contemporaneamente in francese o in tedesco. I mass-media controllati dalla borghesia compradora, dipendente dalle istituzioni europee e dai due Stati che lottano per controllarle, sicuramente insisteranno oggi (io scrivo il giorno 29), sul fatto che l’Italia esce sconfitta perché i cosiddetti centri di accoglienza sono sottoposti alla volontarietà degli stati componenti l’Unione. Ma questo non è un fallimento del governo Conte, semmai è la dimostrazione che questo governo ha cominciato a porre un problema politico che non è risolvibile oggi, perché l’unico punto archetipale su cui si fonda il costrutto dell’Ue è economicistico, fondato non su un potere stabile, ma fortemente instabile a seconda che prevalgano interessi francesi o interessi tedeschi o — come accadde con la nomina di Draghi alla Bce — interessi statunitensi, preoccupati, questi ultimi, per la crescita della potenza tedesca e per il neogaullismo francese o ancora, come sta accadendo oggi, interessi britannici, attraverso il ruolo che l’Olanda e le città anseatiche della Germania esercitano sulle istituzioni europee.

Ciò che conta è che si è iniziata una discussione sul trattato di Dublino e il fatto che non si sia trovato un accordo sulla sua riforma non deve nascondere che se ne discute e che il problema è reale ed è cruciale e il fatto che non si riesca subito a riformarlo, quel trattato, disvela a tutti quanto sia inesistente la cosiddetta cultura europea e quanto sia inesistente la immaginifica “condivisione di sovranità”, che non esiste per nulla.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2018/6/30/DIETRO-IL-VERTICE-UE-Usa-e-Italia-preparano-un-altra-Europa/828247/

Jacques Attali

di  Ilaria Bifarini Conosciuto come l’eminenza grigia della politica francese dai tempi di Mitterand e noto per il suo ultraeuropeismo, Jacques Attali è l’uomo che ha scoperto Macron, presentandolo al presidente Hollande del quale è diventato consigliere. A lui viene attribuita la paternità di una frase molto esplicativa sul sentimento elitarista : “Ma cosa crede, la plebaglia europea: che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?”. Meno nota è invece un’altra affermazione dell’illustre economista, professore, finanziere e a lungo consigliere di fiducia dell’Eliseo: “La forma di egoismo più intelligente è l’altruismo”. La filantropia, questo vezzo umanitarista che sembra contagiare gli uomini di maggiore successo, non ha risparmiato Jacques Attali, che nel 1998 fonda l’associazione no profit Planet Finance. Certo, il nome tradisce un po’ da subito quello che dovrebbe essere il fine umanitario di questa organizzazione che opera in 60 Paesi e offre servizi e consulenze di tipo finanziario, microfinanza per l’esattezza. Finita nell’occhio del ciclone per il trattamento economico “schiavistico” riservato agli stagisti cui si richiedevano requisiti di prim’ordine, la società cambia nome e diventa Positive Planet, evocando nel nome la positività del modello economico di cui si fa portatrice. Tra i suoi obiettivi ci sono “l’inclusione economica, sociale e ambientale in tutto il mondo in modo sostenibile ed equo.” Come? Rendendo possibile l’accesso ai servizi finanziari da parte dei Paesi più poveri. La sua mission è infatti quella di “combattere la povertà attraverso lo sviluppo della microfinanza.” Per realizzarla si serve di otto unità specializzate, compresa un’agenzia di rating di microfinanza. L’organizzazione è così efficiente da aver ricevuto un premio per l’80a migliore ONG del mondo secondo il Global Journal nel 2013. Nello stesso anno ha realizzato un fatturato (chiffre d’affaires) di 2 251 000,00 €. Gli organi societari annoverano nomi di grande peso sul piano politico ed economico mondiale. Da Jacques Delors al ministro degli Affari esteri dell’Oman, passando per partner di colossi della consulenza come Ernst & Young e Bain, fino al presidente di Microsoft International. Dulcis in fundo, il cofondatore di questa ramificatissima Ong è il bengalese Muhammad Yunus, il padre del microcredito moderno. Grazie all’appoggio di illustri sostenitori, come i Clinton e Bill Gates e con il sostegno della stessa Banca Mondiale, nei primi anni Ottanta creò in Bangladesh la Grameen Bank, un istituto finanziario che concedeva denaro alle persone più indigenti, impossibilitate ad avere accesso al credito. Come già riscontrato in uno studio condotto sulla Cambogia, in cui analizzando la frequenza e le modalità di emigrazione della popolazione è emersa una correlazione diretta tra espansione del microcredito e aumento dei flussi migratori verso l’estero, anche qui i prestiti concessi si tramutarono in un incentivo all’emigrazione per la popolazione locale. Il Bangladesh è infatti paese di origine di circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia (oltre 10 mila nel solo 2017). Ed è proprio qui che è nato il business dei cosiddetti “migration loans”, i prestiti per finanziare i viaggi dei migranti, gestiti dalla BRAC (Bangladesh Rural Advancement Commitee), leader nel settore e la più grande ONG al mondo, che opera anche in Asia e in Africa. Microcredito e finanziarizzazione della disperazione: il caso BRAC Una commistione molto fruttuosa quella tra ONG, migranti e finanza, un vaso di Pandora ancora da scoperchiare del tutto e che ci riserverà incredibili sorprese. Fonte: Ilaria Bifarini

Il mondo cambia

di  Martin Sieff Il mondo è cambiato e nessuno nell’Occidente lo ha notato. L’India e il Pakistan si sono uniti alla Shanghai Cooperation Organization. L’Organizzazione, a 17 anni dalla sua fondazione avvenuta il 15 giugno 2001, si è tranquillamente affermata come la principale alleanza e raggruppamento di nazioni in tutta l’Eurasia. Ora la stessa si è espansa da sei a otto paesi, due dei nuovi membri sono le gigantesche potenze regionali con armi nucleari dell’Asia meridionale, India, con una popolazione di 1.324 miliardi e il Pakistan, con 193,2 milioni di persone (entrambe nel 2016). In altre parole, la popolazione combinata delle potenze facenti parte dello SCO, che già erano di oltre 1,5 miliardi di persone, è praticamente raddoppiata in un colpo solo. Le conseguenze globali a lungo termine di questo sviluppo sono enormi. È probabile che dimostrerà il singolo fattore più importante per assicurare la pace e rimuovere la minaccia della guerra nucleare sull’Asia meridionale e dal 20% della razza umana. Ora questa Organizzazione raggruppa la popolazione totale del mondo nelle otto nazioni SCO al 40% del totale , inclusa una delle due più potenti nazioni con armi termonucleari (Russia) e altre tre potenze nucleari (Cina, India e Pakistan). Questo sviluppo è un trionfo diplomatico soprattutto per Mosca. La Russia ha cercato per decenni di facilitare l’ingresso del suo stretto alleato strategico di lunga data, l’India, nell’ombrello dello SCO. Questa visione è stata chiaramente articolata da una delle più grandi menti strategiche della Russia del 20 ° secolo, l’ex premier e ministro degli Esteri Yevgeny Primakov, morto nel 2015. In passato la Cina ha bloccato, ma con fermezza, l’adesione dell’India, ma con il Pakistan, l’alleato cinese si è unito a allo stesso tempo, l’influenza di Pechino e Mosca si è armonizzata. La mossa non può che rafforzare il ruolo già dominante della Russia nella diplomazia e nella sicurezza nazionale del continente asiatico. Sia per Pechino che per Delhi, la strada per buone relazioni tra di loro e la risoluzione di questioni come la condivisione delle risorse idriche dell’Himalaya e gli investimenti nello sviluppo economico dell’Africa attraversano ora Mosca. Il presidente Vladimir Putin è nella posizione ideale per essere l’interlocutore regolare tra le due nazioni giganti dell’Asia. La mossa deve anche essere vista come la reazione più significativa dell’India alla crescente volatilità e imprevedibilità degli Stati Uniti nell’arena globale. A Washington e nell’Europa occidentale, è di moda e di fatto inevitabilmente riflessivo che questo fattore è interamente attribuito al presidente Donald Trump. Ma in realtà questa allarmante tendenza risale almeno al bombardamento del Kosovo da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati NATO nel 1998, sfidando la mancanza di sanzioni nel diritto internazionale per qualsiasi azione del genere in quel momento, anche perché altri membri chiave del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si era opposto. Da allora, sotto quattro presidenti successivi, l’appetito degli Stati Uniti per imprevedibili interventi militari in tutto il mondo – solitamente pasticciati e senza limiti – ha inflitto sofferenza e instabilità a un’ampia gamma di nazioni, principalmente in Medio Oriente (Iraq, Siria, Libia e Yemen) ma anche in Eurasia (Ucraina) e Asia meridionale (Afghanistan)

https://www.controinformazione.info/il-mondo-si-e-trasformato-ma-pochi-in-occidente-lo-hanno-compreso/

Italia disarmata

La Cancelliera aveva preparato in combutta con Macron il solito patto prefabbricato a danno dell’Italia sui migranti; Conte ha protestato  – non ci sono abituati – e lei ha subito “accantonato” la bozza.  Possiamo ammirare nei tedeschi una virtù che non li conoscevamo, un levantinismo da far vergognare qualunque venditore di tappeti falsi nel suk di Qwetta. Il tappeto era bucato? Niente male, lo ritiriamo,  eccone un altro…

Ma ne verrà proposto un altro peggio.  Il disprezzo e peggio con cui  nelle capitali del Nord sono abituati a trattare l’Italia è palpabile e visibile ogni giorno di più,  le  navi di ONG battenti bandiere piratesche ormai fanno provocazioni come, che so, dei giovani teppisti olandesi ubriachi possono fare a un vecchio mendicante invalido; sicuri dell’impunità internazionale. La bozza di Merkel e Macron che essi ritenevano l’italiano avrebbe accettato, si riferiva ai “movimenti secondari”, ossia a scaricarci in Italia i migranti  che sono arrivati in Germania  ma sono stati registrati come primo approdo da noi. Serviva a rabbonire il ministro dell’interno Seehofer e a salvare  la cancelliera dalla crisi di governo  accontentando  il “Salvini bavarese”   che vuole appunto scaricarci i profughi.

Il rifiuto italiano produrrà un effetto che David Carretta, giornalista  presso la UE   per radio radicale per  Il Foglio,  esultante,prevede : “Così l’amico di Salvini, Horst Seehofer, il 10 luglio si attiverà per escludere Italia da Schengen: respingimenti al confine in Germania -> Austria impone controlli alla frontiera e respingimenti al Brennero”.

Esultante, e delirante perché per il godimento di odio e di fazione, egli non si avvede che sta descrivendo, né più né meno, l’esplosione della “Unione Europea”  a cui tanto tiene. Un ministro dell’Interno  bavarese  “esclude l’Italia da Schengen”?  Così, di suo arbitrio? E’ una violazione  unilaterale  dei trattati europei . Ma (come nota un twitter Musso), se “Berlino viola Schengen, ottimo. Ora possiamo violare Maastricht?”.

Allora liberi tutti. Lo sgretolamento dell’Europa nell’ostilità e nel disordine fra insulti e deliri, è tragico: ma non è certo responsabilità solo di “Salvini”, come proclamano i faziosi anti-italiani in Italia: qui il delirio  di Macron e la disonestà levantina della Merkel  si uniscono all’odio che  il governo spagnolo sente il dovere di tributare al nuovo governo di Roma.

Un comunicato congiunto franco-tedesco ha appena raccomandato che le banche della UE  riducano  la loro massa di crediti andati a male (non performing loans) al 5 per cento di quelli che hanno adesso; ciò che obbligherebbe le  banche italianes a svendere in fretta per 10 ciò che può rendere 30. Un’altra misura gratuitamente  anti-italiana.

Il governo tedesco ha riconosciuto di aver lucrato 2,9 miliardi dalla crisi della Grecia.

E   Weidmann della Bundesbank che si è rifatto vivo,  per invocare ancora una volta i mercati ad esigere più alti interessi sul debito pubblico italiano:  la misura che precipiterebbe la  bancarotta e l’espulsione dell’Italia dall’euro,  che sarebbe però, nella catastrofe, una dolorosa liberazione –  di cui  la Germania avrebbe solo da soffrire, a vendere le sue MErcedes con una moneta rivalutata del 30 per cento.

Uno dei motivi della rabbia delirante e incontenibile di Macron è che il governo italiano vorrebbe stabilire centro di selezione di “Migranti”in Libia, e in quella parte della Libia che la Francia sta prendendosi, appoggiando militarmente il generale Haftar  per mettere le mani sulla “mezzaluna petrolifera”.

Haftar infatti avanza ed  ha annunciato nelle prime ore del 21 giugno di aver perso il controllo di Ras Januf e Al Sidra, porti  petroliferi della mezzaluna.

Ma, mi messaggia un amico, sapete cosa? “Sono dieci giorni che gli Usa bombardano le zone francesi in Libia”.  Alleati involontari?

 

https://www.maurizioblondet.it/macron-puo-solo-mandare-le-truppe-al-confine/

Il “deep state” de noantri

Può darsi che il lettore si domandi – d’accordo, ma questo discorso cosa c’entra con la direttiva generale che nei governi di sinistra ha sancito l’immunità degli zingari da ogni persecuzione e da ogni pena? C’entra più di quanto si creda. Ricordate chi era il direttore generale dell’Ufficio Anti-Discriminazione Razziale  (UNAR) presso il Dipartimento Pari Opportunità? Che si occupa anche  delle “discriminazioni” di cui soffrirebbero i ROM?

Il direttore generale.

Era Francesco Spano, l’uomo dal cappottino arancione scoperto dalle Jene a dare contributi ad una “associazione culturale” di incontri gay.  Quando venne fuori la piccante storia, il sindacato DirStat precisò in un comunicato stampa: “Il dottor Francesco Spano non è un direttore generale di  ruolo, bensì uno dei tanti dirigenti esterni ed estranei alla  pubblica amministrazione nominati dalla politica di Renzi”.

E  descriveva la carriera del giovane di belle speranze ma nessuna esperienza Spano, così: “Ha trovato come suo nume tutelare niente meno che  Giuliano Amato, che lo ha “segnalato” alla Melandri, che lo ha  nominato segretario generale del MAXXI, e poi lo ha “segnalato” a Renzi che”, che a suo volta lo ha messo alla direzione in cui lo hanno scoperto le Jene, “scavalcando numerosi dirigenti di ruolo della presidenza del Consiglio”. 

“Con la riforma Madia viene eliminata ogni possibilità, per i dirigenti pubblici, di difendersi da qualunque arbitrio della politica”, scrive Arcangelo D’Ambrosio, dirigente  statale in pensione e sindacalista Dirstat “..  E denuncia che “da almeno 15 anni”,i vertici dirigenziali alla Presidenza del Consiglio (il ministero dei ministeri, si può dire) , i dipartimenti e gli uffici più importanti sono appannaggio di un ristretto gruppo di dirigenti pubblici che fanno capo ad  ASTRID”.

Cosa è l’ASTRID, sigla per Associazione  per le ricerche sulla riforma delle istituzioni democratiche e sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche”?, E’ la lobby, scrive D’Ambrosio,  “fondata da Franco Bassanini e Giuliano Amato, che da anni esprime la classe dirigente della più importante amministrazione pubblica italiana”,  la Presidenza del Consiglio come super-ministero “che dovrebbe coadiuvare il premier e coordinare l’attività dei vari ministeri”.

Dunque, il primo ministro Conte deve affidarsi ad uno strumento burocratico, padrone delle vere leve del potere, che è in mano a raccomandati di Giuliano Amato e Franco Bassanini, i due dei ex machina delle sinistre inamovibili. Ma che  gente è? Vediamo. Il sindacalista pensionato ci spiega che all’ASTRID  – ossia lo scivolo di lancio per le dirigenze ministeriali –  c’è “Giulio Napolitano, figlio del presidente Giorgio Napolitano” ed ex fidanzato della Madia; c’è “Bernardo Giorgio Mattarella, figlio dell’attuale presidente della repubblica Mattarella”  e probabile estensore tecnico della riforma Madia;  Claudio De Vincenti,  uomo di fiducia di  Renzi e Gentiloni di cui è  stato ministro “per la coesione  terroriale e Mezzogiorno”,   ma soprattutto “Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, a cui dunque spetta la parola finale sulle nomine dirigenziali a Palazzo Chigi”.  Eccetera eccetera. Allego in fondo il comunicato di D’Ambrosio per vedere altri nomi eccellenti di figli imbucati, amici degli  amici,  fidanzate e compagni di partito PD che sono a livello dirigenziale, inamovibili, e che dovrebbero collaborare col primo ministro “del cambiamento” e gli altri ministri “sovranisti, populisti”, e indicati da Mentana, da Repubblica e da l’Espresso  come razzisti ed emuli dei nazisti.

Il Deep State de noantri, non meno pericoloso di quello americano.

https://www.maurizioblondet.it/non-e-colpa-degli-zingari-ma-del-deep-state-de-noantri/

Navi Pirata

Cercherò di fare una riflessione esclusivamente tecnico-giuridica di diritto internazionale di cui sono stato Professore Ordinario nell’Università.
1. Le navi che solcano i mari battono una Bandiera. La Bandiera non è una cosa meramente folkloristica o di colore. La Bandiera della nave rende riconoscibile lo Stato di riferimento della nave nei cui Registri navali essa è iscritta (nei registri è indicata anche la proprietà pubblica o privata).
2. La nave è giuridicamente una “comunità viaggiante” o, in altri termini, una “proiezione mobile” dello Stato di riferimento. In base al diritto internazionale la nave, fuori dalle acque territoriali di un altro Stato, è considerata “territorio” dello Stato della Bandiera.
Dunque, sulla nave in mare alto si applicano le leggi, tutte le leggi, anche quelle penali, dello Stato della Bandiera.
3. Il famoso Regolamento UE di Dublino prevede che dei cosiddetti “profughi” (in realtà, deportati) debba farsi carico lo Stato con il quale essi per prima vengono in contatto. A cominciare dalle eventuali richieste di asilo politico.
4. Non si vede allora quale sia la ragione per la quale una nave battente Bandiera, per esempio, tedesca, spagnola o francese, debba – d’intesa con gli scafisti – raccogliere i cosiddetti profughi appena fuori le acque territoriali libiche e poi scaricarli in Italia quando la competenza e l’obbligo è, come detto, dello Stato della Bandiera.
5. Da ultimo è emerso che due navi battenti Bandiera olandese e con il solito carico di merce umana, non si connettano giuridicamente al Regno di Olanda e né figurino su quei registri navali, come dichiarato dalle Autorità olandesi.
Allora, giuridicamente, si tratta di “navi pirata” le quali non sono solo quelle che battono la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate (come nei romanzi di Emilio Salgari).
6. Ne deriva il diritto/dovere di ogni Stato di impedirne la libera navigazione, il sequestro della nave e l’arresto del Comandante e dell’equipaggio.
Molti dei cosiddetti “profughi” cominciano a protestare pubblicamente denunciando di essere stati deportati in Italia contro la loro volontà. Si è in presenza, dunque, di una nuova e inedita tratta di schiavi, di un disgustoso e veramente vomitevole schiavismo consumato anche con la complicità della UE, che offende la coscienza umana e che va combattuto con ogni mezzo.

Augusto Sinagra
Professore ordinario di diritto delle Comunità europee presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Avvocato patrocinante davanti alle Magistrature Superiori, in Italia ed alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a Strasburgo.

Fratellanza slava

Dal 18 al 29 giugno, la città portuale russa sul Mar Nero di Novorossijsk ospiterà le memorabili manovre “Fratellanza Slava-2018”, a cui parteciperanno paracadutisti provenienti da Russia, Bielorussia e Serbia. In queste manovre, la Russia sarà rappresentata da un battaglione di truppe aviotrasportate con più di 700 soldati, oltre a aerei di prima linea e dell’esercito, difese aeree ed aerei da trasporto militare. Queste unità provengono dal Distretto Militare Meridionale della Russia, che di recente ha svolte proprie manovre al confine con l’Ucraina. Da allora fu annunciato che le esercitazioni saranno le prime che testeranno nuovi mezzi e sistemi d’arma in servizio nelle unità aviotrasportate. Parteciperanno 250 paracadutisti bielorussi. La manovre si svolgono per il quarto anno. Furono per prima tenute in Serbia, poi in Russia, e poi nel 2017 nel poligono bielorusso di Brestskij, ed ora di nuovo in Russia. La particolarità di esse è che i soldati russi, bielorussi e serbi formano unità miste, formando così plotoni o compagnie coi militari di tutti e tre gli Stati.
Le operazioni bielorusse-russo-serbe, in particolare nelle esercitazioni antiterrorismo, verranno elaborate nel corso di queste esercitazioni. Inoltre, queste esercitazioni si svolgono nel campo di addestramento di Raevskij, nella regione di Krasnodar, la cui fase più attiva si terrà dal 26 al 28 giugno. Il territorio di Krasnodar fa parte del Distretto Militare Meridionale che, proprio di recente, dal 5 all’8 giugno, ospitava le esercitazioni tattiche interessanti tutte le forze terrestri, aeree e marine in ciò che era definibile “avvertimento all’Ucraina”. Superficialmente era una mera coincidenza, dato che la Fratellanza Slava fu pianificata molto tempo prima. Le manovre ad alta intensità in tutti i distretti militari della Russia sono familiari. Dopo il lungo declino dell’esercito russo, la prontezza al combattimento fu ripristinata, ed ora viene testata frequentemente. La componente più importante di questo processo sono le manovre ai vari livelli e le prove operative al combattimento.
Fratellanza Slava consente di risolvere diversi compiti interconnessi nella cooperazione militare e nella politica dei Paesi slavi ortodossi. Bielorussia e Serbia sono i più stretti alleati della Russia, e loro popoli sono fraterni. Pertanto, la Russia vuole condividere con essi la ricca esperienza nelle operazioni dei paracadutisti, sviluppatesi nei combattimenti reali. La Russia ebbe successo nella creazione di nuovo materiale militare per le truppe aviotrasportate, le cui capacità s’illustreranno in queste esercitazioni insieme agli alleati bielorussi e serbi. In base al contesto della dichiarazione del Ministero della Difesa russo, anche i paracadutisti bielorussi e serbi parteciperanno a queste manovre. O per lo meno le osserveranno da vicino e familiarizzeranno con la nuova tecnologia. Non meno significativa è l’opportunità di dimostrare la cooperazione militare con la Russia, particolarmente importante per la Serbia circondata da un ambiente complesso e largamente ostile. Se su questioni politiche i tre Paesi slavi ortodossi hanno delle contraddizioni, a volte nette (come le dispute periodiche tra Russia e Bielorussia), poi nelle relazioni militari godono di una comprensione molto più strette. Le manovre regolari rafforzano questa fratellanza militare che nelle circostanze geopolitiche contemporanee è cruciale.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

http://aurorasito.altervista.org/?p=872

Scaricabarile

Conoscendo le difficoltà degli italiani nel gestire tale situazione, la Francia aveva colto la palla al balzo per ripristinare la frontiera e accusare al contempo l’Italia di non fare il proprio dovere e di non rispettare l’Accordo di Schengen. Un accordo che prevede la libera circolazione all’interno dei Paesi che vi aderiscono ma l’obbligo di vigilare sui confini esterni. Per l’Italia significa, letteralmente, bloccare l’immigrazione illegale proveniente dal Mediterraneo. Non è un caso che la stessa UE abbia più volte «bacchettato» il nostro Paese.Nulla è cambiato con l’insediamento del nuovo Presidente Emmanuel Macron, che ha continuato a perseguire la tecnica dello scaricabarile contro l’Italia. Come spiegò lo stesso Macron nel luglio 2017, «per affrontare le crisi migratorie bisogna condurre in maniera coordinata in Europa un’azione efficace e umana che ci permetta di accogliere i rifugiati politici che corrono un rischio reale perché fa parte dei nostri valori, senza però confonderli con i migranti economici e senza abbandonare l’indispensabile mantenimento delle nostre frontiere». Medesima strategia nei confronti del nostro Paese è stata adottata dalla Germania, come ammesso di recente la stessa cancelliera Angela Merkel. «Parte dell’insicurezza in Italia ha la sua origine proprio dal fatto che gli italiani, dopo il crollo della Libia, si sono sentiti lasciati soli, nel compito di accogliere così tanti migranti». Dopo aver aperto le porte a quasi un milione di profughi altamente qualificati, la stessa Germania, potenza egemonica commerciale europea, decise nel 2015 di chiudere i propri confini. Nella formazione dell’ultimo governo tedesco, inoltre, si è trovato un accordo che prevede un tetto massimo di 200mila richiedenti asilo accolti ogni anno per motivi umanitari. Inoltre i profughi potranno in futuro essere alloggiati in centri ad hoc in attesa che le pratiche vengano completate (mentre oggi vengono suddivisi in diversi punti d’appoggio in tutto il Paese). La scelta iniziale di aprire i confini fu comunque una scelta precisa e consapevole scelta di Angela Merkel e non, come nel caso del nostro Paese, una costrizione dettata dall’emergenza e dalle contingenze. Nonostante la ferocia propaganda liberal della sinistra italiana sulle ultime vicende inerenti l’Aquarius, anche il Pd, quando è stato al governo, ha adottato una sua politica di contenimento dell’immigrazione di massa. Sicuramente meno efficace di quella che potrebbe essere la strategia di Salvini poiché frenata dagli impulsi faslamente moralisti e «umanitari» di quell’elettorato. Ma è comunque un fatto che l’ex Ministro dell’Interno Marco Minniti abbia tentato di frenare l’immigrazione. Con minacce anche molto dure, come questa: Come spiega l’Ansa del 29 giugno 2017: «Negare l’accesso ai porti del nostro Paese alle navi cariche di migranti che battono bandiera non italiana. Il governo alza la voce con l’Europa, al culmine di un esodo infinito dalla Libia che negli ultimi giorni ha riversato sulle nostre coste oltre 12mila uomini, donne e bambini: “I Paesi Ue la smettano di girare la faccia dall’altra parte, perché questo non è più sostenibile – attacca il premier Paolo Gentiloni -. Possiamo parlare delle soluzioni, delle preoccupazioni, ma voglio ricordare che c’è un Paese intero che si sta mobilitando per gestire questa emergenza, per governare i flussi, per contrastare i trafficanti». Da questa breve cronistoria possiamo giungere a una serie di conclusioni: La retorica liberal non coincide con il comportamento realista degli Stati I governi, siano stati essi di destra o di sinistra, hanno adottato una politica di contenimento dei flussi nel corso degli anni, con strategie più o meno efficaci I Paesi europei, come la Francia e la Germania, hanno adottato la strategia dello scaricabile contro l’Italia Chi lancia ogni tipo di accuse contro l’attuale governo o tenta di modificarne la politica migratoria dimentica ciò che è stato fatto dalla stragrande maggioranza degli stati europei. Fonte: Oltre la Linea

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L’Argentina e la peste neoliberista

Forse questo avviene anche perché le difese sono poco attrezzate, poco incisive, fondate su un’antropologia astratta mentre il nemico, sia pure in maniera estremamente rozza, riesce a far sentire ciascuna vittima come al centro del mondo. Di certo qualcosa dovrà cambiare.

il Simplicissimus

crisi-argentinaE’ di questi giorni la notizia che il Fondo monetario statunitense eufemisticamente chiamato internazionale è sbarcato in Argentina imponendo una svalutazione e misure antisociali la cui entità sarà drammatica, in cambio di un prestito di 50 miliardi dollari necessario per evitare il crollo dell’economia. La cosa ha il sapore di un apologo perché il presidente Mauricio Macrì, neoliberista di ferro, è stato sventatamente eletto dagli argentini proprio per fare le politiche del Fondo monetario che ancora una volta si sono rivelate letali. Come del resto i “consigli” dati dallo stesso istituto negli anni ’90 e che portarono al default del Paese.

Grazie a questi eventi possiamo mettere chiaramente in luce una terza natura del neoliberismo oltre a quella di teorizzazione economica fallimentare e di ideologia politica dei ricchi: ovvero l’uso imperialista di tale dottrina per subentrare nel controllo effettivo dei Paesi. Non si tratta certo una novità perché stesse cose…

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Moderati e mitragliati

E bisogna che il governo si ritiri dal Trattato di Velsen, per prevenire che, in caso di caduta del governo e di sommosse popolari più o meno spontanee, ci arrivi la polizia militare antisommossa Eurogendfor a reprimere e a instaurare la dittatura degli usurai stranieri.

 

Se Lega e Stelle indugeranno invece a metà del guado senza spiegare chiaramente ciò che è l’Unione Europea, che interessi serve e che scopo ha, fingendo che essa sia rinegoziabile e riformabile, che possa diventare “democratica” anziché autocratica, allora quei medesimi interessi li faranno fuori con attacchi mediatici, giudiziari e finanziari – come hanno fatto fuori tutti coloro che cercarono di portare avanti una politica di interesse nazionale italiano: Mattei, Moro, Craxi.

La loro chance – ripeto – sta nel delegittimare prima di essere delegittimati e poi rottamati. Se continueranno a lungo a fare i moderati per farsi accettare, sono fritti. O attaccano l’UE e l’Euro, e fanno la storia; oppure si allineano per le poltrone.

Scoprire i giochi significa iniziare a spiegare l’opinione pubblica quello a cui L’Europa è servita – ad esempio raccontando, come ha fatto D’Alema, che la Banca Centrale Europea prestava i soldi allo  0,75% ai banchieri francesi e tedeschi i quali a loro volta usavano quel denaro per comprare i titoli del debito pubblico greco che pagavano il 15% di interesse e corrompevano i governanti greci affinché facessero debito pubblico anche per comprare prodotti tedeschi come le navi da guerra, e poi quando la Grecia non ce l’ha più fatta a pagare gli interessi usurari, l’Unione Europea ha imposto all’Italia e ad altri paesi di prestare soldi alla Grecia a un tasso inferiore a quello a cui li prendevano prestito – ma non per aiutare la Grecia ma per far realizzare ai predetti banchieri i loro incassi usurari, anziché arrestarli (modelli analoghi sono stati applicati a Spagna, Portogallo, Irlanda). Questo è quello che ha fatto innanzitutto Monti tassando i beni immobili e facendone crollare il valore di circa un terzo, cioè di circa 2000 miliardi, che sono stati distrutti come patrimonio nazionale; e per far questo egli era stato messo a Palazzo Chigi e nominato senatore a vita.

Bisogna far capire alla gente che l’UE è una costruzione progettata e realizzata dagli usurai per realizzare una usura radicale fino al totale svuotamento dei risparmi e degli assets dei paesi sottomessi. Per questo non è riformabile e non ha senso negoziare per riformarla, se non forse al fine di far emergere più visibilmente la sua non riformabilità.

estratto da http://marcodellaluna.info/sito/2018/06/08/3850/

Il Vaticano ammesso al club Bilderberg

di Roberto PECCHIOLI

Aria nuova alla Santa Sede. Negli stessi giorni di giugno, due eventi vedono protagonista la bimillenaria Chiesa fondata da Gesù Cristo. Nessuna spiritualità, tanto meno cura delle anime. Mentre Bergoglio riceve in Vaticano i vertici delle Sette Sorelle, i giganti dell’energia fossile come Exxon, Royal Dutch, la famiglia Rockefeller, tutti signori di assai incerta devozione ma certissimo potere, il suo collaboratore più importante, il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin è ammesso all’annuale riunione del Club Bilderberg.

L’allegra brigata si riunisce a porte chiuse e nella consueta ostentata riservatezza da ben 66 anni. Quest’anno l’onore di ospitare l’evento spetta a Torino, la città degli Agnelli. I membri del circolo sono i più cospicui rappresentanti delle oligarchie al potere: banchieri, finanzieri, azionisti e dirigenti di vertice di multinazionali, i loro maggiordomi politici e i chierici del giornalismo embedded. Gli argomenti trattati, come sempre, sono l’agenda politica, economica, culturale da imporre a gran parte del mondo.  Dopo decenni, l’invito di questa loggia esclusiva, tutt’altro che versata in affari religiosi, si è esteso al ministro degli esteri vaticano.

Parolin, prelato con uso di mondo, non sfigurerà certo accanto a industriali, CEO delle maggiori entità economiche e finanziarie del pianeta, ministri ed ex ministri, influencer delle opinioni pubbliche. L’agenda dell’incontro torinese è assai fitta, i suoi temi di stringente attualità.

Discuteranno amabilmente di populismo in Europa, della sfida della disuguaglianza (da essi provocata), futuro del lavoro (flessibile, a chiamata, delocalizzato…), dell’intelligenza artificiale (dunque saranno toccati argomenti come il transumanesimo), Stati Uniti in crisi di leadership, Russia, Iran- i Satana del momento- l’Arabia Saudita, gli amiconi in palandrana seduti su miliardi di barili di petrolio. Ci sarà spazio per l’attualità, per la “post-verità”, che, nel loro lessico, significa spazzare via i dissidenti del Nuovo Ordine Mondiale, persino per il calcolo quantistico.

Il cardinale Parolin troverà alcuni connazionali italiani di prim’ordine: gli economisti liberisti di sinistra Giovanni Alesina e Mariana Mazzucato, Vittorio Colao di Vodafone (telefonia, reti di telecomunicazione, innovazione, dunque capillare capacità di controllo), una colonna del Bilderberg come Lilli Gruber, gran cerimoniera televisiva, la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo, oltre naturalmente a John Elkann, un Agnelli del ramo israelitico. Incontrerà una vecchia conoscenza dell’Unione Europa, il portoghese Barroso, diventato, guarda caso, dirigente di Goldman & Sachs: le porte girevoli del potere ex democratico. Vedrà anche l’eterno Kissinger, il ministro dell’istruzione francese (la buona scuola LGBT transalpina…) e due novizi dell’inclita compagnia, le stelle nascenti della politica spagnola Soraya Sàenz de Santamarìa e il liberalissimo Albert Rivera, stretto sodale di Macron.

L’illustre brigata riceverà la benedizione di Parolin, ma più verosimilmente, sarà essa stessa ad impartirla, a nome dei Superiori, all’uomo di Chiesa accolto in tanto consesso. Come sempre, decideranno il futuro comune in nostra assenza e contro i principi, gli interessi, la volontà del popolo bue, che accuseranno di populismo e di non credere abbastanza alle loro verità. Si impegneranno attivamente contro di noi:  lo dimostra l’agenda ufficiale, integrata come sempre da libere discussioni molto, molto riservate. La Chiesa potrà rinverdire i fasti del passato, tornare sulla scena politica degli arcana imperii. Secondo lo schema di Vilfredo Pareto, probabilmente è considerata un “residuo” di cui tenere conto e da utilizzare, sfruttandone la crisi, in ossequio alla “persistenza degli aggregati”.

Resta una domanda: che cosa c’entra la Chiesa di Gesù Cristo e il popolo di Dio con il Club Bilderberg, i suoi fini e le sue azioni, la sua prassi elitaria, il suo sentimento oligarchico, l’indifferenza per la gente che vive e veste panni, la distanza incommensurabile da qualunque tradizione spirituale e tensione morale. La neo Chiesa entra nel Tempio dei nemici di sempre, probabilmente dalla porta di servizio. Vedremo le conseguenze, ma qualunque parola uscirà dalla bocca del cardinale Parolin durante le sessioni del club, per ogni impegno che prenderà, ricordi la chiarezza che Gesù, il fondatore della Chiesa di cui è un così alto dignitario, pretese dagli uomini di Dio: “sia il vostro parlare sì sì, no no. Il di più vien dal Maligno”. Pericolosa, sulfurea compagnia quella del Bilderberg, Eminenza. Meglio no, no.

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