di Roberto PECCHIOLI
Aria nuova alla Santa Sede. Negli stessi giorni di giugno, due eventi vedono protagonista la bimillenaria Chiesa fondata da Gesù Cristo. Nessuna spiritualità, tanto meno cura delle anime. Mentre Bergoglio riceve in Vaticano i vertici delle Sette Sorelle, i giganti dell’energia fossile come Exxon, Royal Dutch, la famiglia Rockefeller, tutti signori di assai incerta devozione ma certissimo potere, il suo collaboratore più importante, il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin è ammesso all’annuale riunione del Club Bilderberg.
L’allegra brigata si riunisce a porte chiuse e nella consueta ostentata riservatezza da ben 66 anni. Quest’anno l’onore di ospitare l’evento spetta a Torino, la città degli Agnelli. I membri del circolo sono i più cospicui rappresentanti delle oligarchie al potere: banchieri, finanzieri, azionisti e dirigenti di vertice di multinazionali, i loro maggiordomi politici e i chierici del giornalismo embedded. Gli argomenti trattati, come sempre, sono l’agenda politica, economica, culturale da imporre a gran parte del mondo. Dopo decenni, l’invito di questa loggia esclusiva, tutt’altro che versata in affari religiosi, si è esteso al ministro degli esteri vaticano.
Parolin, prelato con uso di mondo, non sfigurerà certo accanto a industriali, CEO delle maggiori entità economiche e finanziarie del pianeta, ministri ed ex ministri, influencer delle opinioni pubbliche. L’agenda dell’incontro torinese è assai fitta, i suoi temi di stringente attualità.
Discuteranno amabilmente di populismo in Europa, della sfida della disuguaglianza (da essi provocata), futuro del lavoro (flessibile, a chiamata, delocalizzato…), dell’intelligenza artificiale (dunque saranno toccati argomenti come il transumanesimo), Stati Uniti in crisi di leadership, Russia, Iran- i Satana del momento- l’Arabia Saudita, gli amiconi in palandrana seduti su miliardi di barili di petrolio. Ci sarà spazio per l’attualità, per la “post-verità”, che, nel loro lessico, significa spazzare via i dissidenti del Nuovo Ordine Mondiale, persino per il calcolo quantistico.
Il cardinale Parolin troverà alcuni connazionali italiani di prim’ordine: gli economisti liberisti di sinistra Giovanni Alesina e Mariana Mazzucato, Vittorio Colao di Vodafone (telefonia, reti di telecomunicazione, innovazione, dunque capillare capacità di controllo), una colonna del Bilderberg come Lilli Gruber, gran cerimoniera televisiva, la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo, oltre naturalmente a John Elkann, un Agnelli del ramo israelitico. Incontrerà una vecchia conoscenza dell’Unione Europa, il portoghese Barroso, diventato, guarda caso, dirigente di Goldman & Sachs: le porte girevoli del potere ex democratico. Vedrà anche l’eterno Kissinger, il ministro dell’istruzione francese (la buona scuola LGBT transalpina…) e due novizi dell’inclita compagnia, le stelle nascenti della politica spagnola Soraya Sàenz de Santamarìa e il liberalissimo Albert Rivera, stretto sodale di Macron.
L’illustre brigata riceverà la benedizione di Parolin, ma più verosimilmente, sarà essa stessa ad impartirla, a nome dei Superiori, all’uomo di Chiesa accolto in tanto consesso. Come sempre, decideranno il futuro comune in nostra assenza e contro i principi, gli interessi, la volontà del popolo bue, che accuseranno di populismo e di non credere abbastanza alle loro verità. Si impegneranno attivamente contro di noi: lo dimostra l’agenda ufficiale, integrata come sempre da libere discussioni molto, molto riservate. La Chiesa potrà rinverdire i fasti del passato, tornare sulla scena politica degli arcana imperii. Secondo lo schema di Vilfredo Pareto, probabilmente è considerata un “residuo” di cui tenere conto e da utilizzare, sfruttandone la crisi, in ossequio alla “persistenza degli aggregati”.
Resta una domanda: che cosa c’entra la Chiesa di Gesù Cristo e il popolo di Dio con il Club Bilderberg, i suoi fini e le sue azioni, la sua prassi elitaria, il suo sentimento oligarchico, l’indifferenza per la gente che vive e veste panni, la distanza incommensurabile da qualunque tradizione spirituale e tensione morale. La neo Chiesa entra nel Tempio dei nemici di sempre, probabilmente dalla porta di servizio. Vedremo le conseguenze, ma qualunque parola uscirà dalla bocca del cardinale Parolin durante le sessioni del club, per ogni impegno che prenderà, ricordi la chiarezza che Gesù, il fondatore della Chiesa di cui è un così alto dignitario, pretese dagli uomini di Dio: “sia il vostro parlare sì sì, no no. Il di più vien dal Maligno”. Pericolosa, sulfurea compagnia quella del Bilderberg, Eminenza. Meglio no, no.
https://www.maurizioblondet.it/vaticano-ammesso-al-club-bilderberg/
Gli ideologi del liberismo globale hanno privatizzato la creazione monetaria, abolito ogni separazione tra banche speculative e banche commerciali; costruito un mercato unico senza paratie che circoscriva il contagio speculativo e le crisi, un Titanic che hanno voluto privo di compartimenti stagni, di dazi, di controllo sulle fughe di capitali, di ordine monetario, perché li vedevano come penalizzanti per i lucri. Il risultato è che una decisione della Federal Reserve mette nei guai l’India e l’Indonesia, fa affondare la Turchia, diffonde il caos nei mercati emergenti e dissangua l’Europa.
E’ la globalizzazione, ragazzi.
Successe qualcosa di simile negli anni ’20 e ’30. Gli Stati Uniti, durante la grande guerra (1914-18) erano i fornitori di tutti i materiali per gli alleati impegnati nel conflitto, Londra, Parigi, Roma, e quindi ne erano diventati i grandi creditori. Fort Knox traboccava dunque di tonnellate di lingotti affluiti dai paesi debitori. Come normale conseguenza del Gold Standard, si sarebbe prodotta una montagna di dollari-carta, con conseguente inflazione in Usa. La Federal Reserve e i grandi banchieri americani impedirono questo esito, esportando quei capitali di troppo.
Il capitale americano, poco remunerato in patria, cercò nel mondo retribuzioni più alte. Le trovò in Germania, il grande paese industriale sconfitto. Nel 1925, quando il tasso di sconto della Fed era del 3 %, in Germania era del 10%. Il denaro a prestito, che in America era pagato il 4%, in Germania era compensato l’8%, il doppio. In più, i salari tedeschi erano bassi, e i salari bassi stimolano investimenti industriali. Il capitale americano finaniò il più impressionante rammodernamento dell’apparato industriale tedesco, la riorganizzazione del sistema ferroviario, una immensa bolla edilizia. Nei pochi anni della Repubblica di Weimar (1919-1933) il lusso, i fiumi di champagne, le donnine allegre, tripudio di transex nei locali notturni berlinesi, insomma “la cultura” dell’edonismo che conosciamo, ebbe la sua prima edizione. In quegli stessi anni, milioni di tedeschi dalle campagne furono risucchiati nelle città, come operai. Berlino passò da 2 a 6 milioni di abitanti. Abitanti i cui bassi salari erano falcidiati dal caro-affitti e dal rincaro dei generi alimentari.
Cosa avviene quando il capitale è retribuito a scapito del lavoro? Quella che il capitalismo chiama “sovrapproduzione”: merci sempre più abbondati trovano sempre meno acquirenti, perché le masse non hanno potere d’acquisto.
Anche allora, la dirigenza tedesca adottò, come terapia, la deflazione. Lo ha descritto Bruno Heilig, un giornalista ebreo che nel ’38 scampò ai nazisti con la fuga. “Ogni segno di crisi fu scongiurato comprimendo i salari e licenziando lavoratori”; sostituiti da macchinari, che aumentavano la “produttività”. Ma “per ogni lavoratore licenziato, era anche un consumatore che spariva”. Nel 1931, invece di aumentare i salari, si prese la misura disperata di ridurre la produzione di merci. Ma per gli industriali, “tasse, ammortamenti, affitti, gli interessi sul debito, ossia i costi fissi, divisi su un numero minore di beni, aumentarono in proporzione inversa sui profitti calanti, fino a divorarli”. Industrie fallirono a catena.
Frattanto la crisi del ’29 aveva prosciugati il flusso dei capitali facili americani. La banche tedesche cominciarono a fallire, perché gli imprenditori non pagavano più i debiti (oggi si parla di non performing loans). La Angela Merkel o Schauble dell’epoca si chiamava Heinrich Bruning, cancelliere cattolico, allievo modello del capitalismo liberista: “Decretò una riduzione generale dei salari, che furono tagliati del 15%”, raccontò Heilig.
La logica dietro questa crudele follia era: riducendo il potere d’acquisto dei lavoratori, anche i prezzi avrebbero finito per ridursi. Anche allora, il prezzo della riduzione alla fame dei lavoratori non parve indegno di essere pagato, come oggi dei greci.
Il Merkel dell’epoca (/http://www.ticinolive.ch/2013/12/04/heinrich-bruning-lausterity-e-la-scalata-al-potere-del-nazismo/)
Contrariamente a quel che credono gli pseudo-economisti della Rai, non fu l’iper-inflazione a portare Hitler al potere. Quella era avvenuta nei primi anni ’20. Fu la deflazione di Bruning. Il numero dei deputati nazisti salì da 8 a 107. Nel gennaio ’33, Hitler salì al potere e operò quel miracolo economico che ho descritto nel mio saggio “Schiavi delle Banche”. Qui da noi, i populisti sono arrivati forse troppo tardi e deboli.
L’articolo MANCANO I DOLLARI! E’ la globalizzazione, ragazzi proviene da Blondet & Friends.
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