Lavoro offresi

E’ venuto fuori per caso (per una distrazione dei servizi di intelligence”) che l’appaltatore di servizi del Pentagono, denominato “Mission Essential” che lavora quale procacciatore di servizi professionali, ha pubblicato un annuncio per la ricerca di elementi destinati ad una “missione classificata” in Ucraina a supporto delle truppe USA e ucraine.

L’appaltatore fornisce i suoi servizi e serve principalmente clienti di intelligence e militari. Viene individuato con il ruolo ufficiale  come uno dei principali fornitori di servizi di traduzione e interpretariato del governo degli Stati Uniti.
L’annuncio di lavoro preventivo è stato pubblicato il 16 novembre ° e cerca “candidati con conoscenze linguistiche che parlino ucraino o russo per fornire servizi di interpretariato e traduzione in lingua straniera e per sostenere le operazioni di emergenza classificate a sostegno militare degli Stati Uniti in Ucraina.”

Il luogo di lavoro formale è Mykolayiv, in Ucraina. La città portuale è anche significativa, perché è qui che è in costruzione la struttura navale “logistica” degli Stati Uniti . Una base militare USA a ridosso delle frontiere russe .
La pubblicità richiede anche che i candidati siano in grado di adattarsi alla cultura e alle usanze locali, oltre alla “capacità di trattare in modo non appariscente con la popolazione locale, se necessario.” Il che significa semplicemente che l’interprete deve essere in grado di nascondere il fatto che è non un cittadino ucraino, almeno in parte.

Non sorprende che l’individuo debba essere in grado di servire in una zona di combattimento “se necessario”, oltre a essere in grado di “vivere, lavorare e viaggiare in ambienti difficili, includendo la vita e il lavoro in strutture temporanee come impone la missione”.

Continua a leggere “Lavoro offresi”

Ligio a patto

Anche i nostri padri, la generazioni di quanti nacquero intorno al 1920, entrando nell’esercito avevano giurato fedeltà al sovrano, cioè a Vittorio Emanuele III di Savoia. Il quale ricambiò quel giuramento di fedeltà nel modo che sappiamo, l’8 e il 9 settembre 1943: piantandoli in asso, senza ordini, senza istruzioni, e mettendosi in salvo, mentre li abbandonava alla cattura e alla prigionia. Qui si vede la differenza fra casa Savoia e casa Asburgo. Francesco V non abbandonò i suoi soldati; Vittorio Emanuele III lo fece. Nostro padre, molti anni dopo la fine della guerra, tornò in Iugoslavia a recuperare la sua sciabola di ufficiale, che la sua vecchia padrona di casa gli aveva amorevolmente custodito, con non lieve rischio personale, per tutto quel tempo. Ora essa è là, in un angolo della casa paterna, malinconico ricordo di una promessa di fedeltà che fu mantenuta da una parte sola: dalla parte di quelli che giurarono, ma non da parte di colui al quale il giuramento venne fatto. Di quelle vicende nostro padre parlava poco, e forse poco volentieri; tenne sempre nel suo cuore i sentimenti che suscitò in lui, ex militare di carriera, quel giuramento non rispettato da parte del sovrano.

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61244stemma

Come a Genova ai tempi del G8

Inutile accumulare prove. Il vostro cronista  (lavorava ad Avvenire) ha visto coi suoi occhi, durante il G8 di Genova  nel 2001, organizzatissimi Black Bloc scatenarsi e distruggere, perfettamente organizzati. Molti erano stranieri: come mai erano entrati a Genova, città nella quale si entra  al massimo per due strade, facilmente controllabili da un posto di blocco? Nelle vie laterali, poi, appena dietro gli scontri,  strani giovanotti in motorino che giravano, apparentemente a dare indicazioni ai Black Bloc. Alcuni di questi, poi, li ho visti parlare tranquillamente  con funzionari di polizia in borghese.

Solo 15 anni dopo  un giornalista dell’agenzia di stampa Ap.Biscom (oggi TMNews)  pubblica, sul sito  www.mafia-capitale.it., racconta che la sera prima  del 22 luglio  ha sentito un poliziotto  dire a un altro: “Fatti trovare a mezzogiorno all’angolo tra corso Buenos Aires e piazza Paolo da Novi. Arriveranno dei Black Bloc e distruggeranno la banca. Due-tre minuti al massimo. È quello il segnale dell’inizio del macello”.

http://www.affaritaliani.it/cronache/g8-genova-testimonianza-choc-black-bloc.html

Altri due anni, e il Guardian raccoglie  la testimonianza di un poliziotto inglese che quel giorno fu a Genova a “fare il Black Bloc”.

https://genova.repubblica.it/cronaca/2017/04/15/news/g8_genova_poliziotto_inglese_infiltrato_tra_i_black_bloc-163039675/

Il vostro cronista ricorda che i più sembravano  tedeschi, e non sembravano affatto  normali teppisti   saccheggiatori e  sfasciavetrine, ma squadre di commandos addestrati, organizzati, passi elastico, capelli corti,  passamontagna o maschera antigas. A dirla tutta, sembravano poliziotti anche loro.

Come  sono prevedibili. Com’è prevedibile il potere quando può contare sulla complicità di media, di magistrati, dei vertici polizieschi  (che a Genova sicuramente mandarono  uomini “speciali” da Roma, per  il famoso pestaggio alla scuola Diaz e provocare la caduta del primo governo Berlusconi).

https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/05/diaz-confermate-le-condanne-ai-25-poliziotti-interdizione-agli-alti-dirigenti/284870/

In Italia il potere vero, quello inamovibile, può sempre contare su questi apparati per difendersi da sorprese della democrazia votante. Vedremo se in Francia sarà lo stesso. Qui, poliziotti si fanno fotografare su Facebook mentre indossano i gilet gialli; di schiena per non farsi identificare, ma anche per “dare le spalle al governo”.

https://www.maurizioblondet.it/macron-ha-infiltrato-agenti-spaccatutto-nella-manifestazione-gilet-gialli/

Guerra di Crimea

Scontro navale nel Mar di Crimea.  Tre le navi della marina ucraina bloccate e catturate.
Domenica, 25 novembre, si è saputo che tre navi da guerra ucraine avevano violato il confine di stato russo. Senza sottomettersi alle legittime richieste della parte russa, le navi hanno continuato a muoversi nella direzione dello stretto di Kerch.
Come ha operato la marina russa di fronte al tentativo delle navi ucraine di entrare nelle acque territoriali della Crimea.
Secondo la marina ucraina, le navi da guerra della flotta ucraina sono state colpite e catturate dalle unità navali russe nello stretto di Kerch.

Come ha riferito il comando della Marina ucraina.
Secondo la parte ucraina, “la piccola nave blindata di artiglieria Berdyansk è stata danneggiata, una persona è stata ferita e le armi sono state utilizzate per bloccare la nave ucraina”.

Fonti ucraine riferiscono che tutte e tre le navi della marina ucraina sono state catturate, dopo l’assalto. “Secondo le informazioni operative, le piccole imbarcazioni blindate di artiglieria Berdyansk, Nikopol sono state colpite dal fuoco nemico e hanno perso la loro rotta. Il rimorchiatore Yana Kapu è stato costretto a fermarsi.
Le navi sono state catturate dalle forze speciali russe. Vi sono anche informazioni su due marinai militari ucraini feriti – questa è notizia ufficiale secondo informazioni della Marina ucraina. Gli equipaggi delle navi ucraine sono stati arrestati e le stesse navi sono state portate al traino.

Secondo le ultime informazioni dalla marina ucraina, le piccole imbarcazioni di artiglieria corazzata “Berdyansk”, “Nikopol” sono state colpite dal fuoco nemico e hanno interrotto la loro rotta. Anche il rimorchiatore di Yany Kapu è costretto a fermarsi. Le navi erano state catturate dalle forze speciali russe. Ci sono anche informazioni su due marinai ucraini feriti.

A causa degli eventi straordinari ad Azov, il presidente ucraino Poroshenko ha convocato un vertice militare.

Ricordiamo che domenica mattina due imbarcazioni di artiglieria della marina ucraina e un rimorchiatore hanno violato il confine delle acque territoriali russe e si sono dirette verso lo stretto di Kerch senza presentare correttamente una domanda di passaggio sotto il ponte. Più tardi da Berdyansk al ponte sulla Crimea sono arrivate altre due navi blindate di artiglieria della classe “Gyurza”. Di conseguenza, le imbarcazioni militari russe e una nave mercantile hanno bloccato l’accesso allo stretto e un aereo di attacco Su-25 è partito per pattugliare lo spazio aereo.

“Secondo le guardie di frontiera della Crimea del FSB, le navi ucraine hanno fatto manovre pericolose e hanno ignorato le legittime richieste della parte russa”, hanno detto i funzionari della sicurezza.

Vedi video: RT News

La parte ucraina, tuttavia, afferma di aver informato del loro arrivo e richiesto un permesso adeguato. Tuttavia, gli esperti osservano che l’Ucraina non risulta che abbia presentato il permesso alla parte russa in conformità con tutte le norme marittime applicabili, il che implicherebbe il riconoscimento dell’appartenenza della Crimea alla Russia.

Il Ministero degli Affari Esteri dell’Ucraina presumibilmente si consulta con urgenza con l’UE e con la NATO.

La portavoce russa Maria Zakharova, sulla sua pagina dei social network, ha notato che ora a Kiev, hanno iniziato provocazioni nello stretto di Kerch, “stabilendo la pace nel Donbass”. Inoltre, ha sottolineato che i metodi gangster delle autorità ucraine consistono nel fatto che iniziano prima la provocazione, poi continuano a forzare la pressione, e solo allora accusano la Russia di aggressione.

Ore 22.55
Il rappresentante ufficiale del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa, Maria Zakharova, ha parlato delle provocazioni nel Mar Nero. Secondo lei, Kiev usa metodi gangster.

“L’ultimo scontro aperto tra Russia e Ucraina nello stretto di Kerch si è quasi trasformato in un conflitto militare esattamente 15 anni fa, poi i vicini hanno discusso della proprietà dell’isola di Tuzla, lungo la quale ora passa il ponte di Crimea. Territorio ucraino L’allora presidente Kuchma aveva usato questo scontro politicamente, quando nel novembre 2004 aveva sostenuto le elezioni di Yanukovich, ma perse contro Yushchenko “, hanno aggiunto gli autori delle fonti di Crimea

Il comando della Marina russa ha comunicato che “Vi sono prove inconfutabili della preparazione e della condotta delle provocazioni di Kiev da parte della marina ucraina nel Mar Nero. Questi materiali saranno presto resi pubblici “, ha riferito in una nota.
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Ultim’ora
L’Ucraina ha iniziato un massiccio bombardamento di aree residenziali DNI (Repubblica di Donetsk)
Circa mezz’ora fa, l’Ucraina ha iniziato un massiccio bombardamento di aree residenziali della proclamata Repubblica popolare di Donetsk (DPR), riferisce RIA Novosti, citando il suo corrispondente.

Come notato, il bombardamento, è stato anche condotto da artiglieria pesante, così come altri tipi di armi.

La notizia è completata.

In precedenza, l’ FSB della Russia ha riportato prove inconfutabili della provocazione di Kiev nel Mar Nero .

Fonti: Pravda      Riafan.ru      Nation.ru

Traduzione e sintesi: Sergei Leonov

https://www.controinformazione.info/crisi-di-crimea-scontro-in-mare-tra-forze-navali-russe-e-ucraine/

Dopo la Primavera arriva l’Autunno

Dall’inizio della crisi siriana, l’apparato mediatico occidentale si è mobilitato per imporre il mito della rivolta popolare, ovvero di far credere che il conflitto siriano fosse una guerra civile interna, una insurrezione “spontanea” o una sorta “primavera araba” per richiedere la “democrazia”. Tali falsificazioni adottate di frequente dai media occidentali hanno rappresentato, sotto molti aspetti, un cospicuo successo per le grandi potenze che hanno condotto una serie di operazioni di cambio-regime (tutte con pretesti fasulli ) nella regione mediorientale e del nord Africa negli ultimi quindici anni’, dall’Iraq alla Libia, alla Siria. In passato era stata fatta una operazione analoga con la ex Yugoslavia.

In Siria questa falsificazione (le così dette “primavere arabe”) non ha però funzionato come era nei piani dell’elite di Washington e di Tel Aviv. La guerra per procura contro la Siria è emersa come fatto evidente anche ai più sprovveduti telespettatori e sono eseguite ammissioni pronunciate a mezza bocca e fatte trapelare di fronte all’evidenza dei fatti.

Il progetto strategico statunitense perseguiva l’obiettivo di rovesciare il governo di Damasco e smembrare la Siria in diversi Stati su base confessionale ed etnica. Si trattava di un progetto che rientrava nel contesto del vecchio piano di “balcanizzazione del Medio Oriente” che risale agli anni ’90 e che si iniziò ad attuare con l’invasione dell’Iraq del 2003. Un progetto che peraltro è stato apertamente rivendicato dagli esponenti dell’Amministrazione Obama e di cui si trova traccia nei documenti ufficiali del Pentagono e della DIA (Defence Intelligence Agency). Vedi : Il piano degli USA per balcanizzare la Siria

L’operazione in Siria era diretta a spezzare i legami di Damasco con Teheran, favorire la realizzazione del gasdotto con il Qatar, spezzando l’unità dell’Asse della Resistenza e favorendo il nuovo assetto regionale teorizzato dagli strateghi di Israele e degli USA, progetto che prevedeva lo smembramento della Siria e dell’Iraq facedo leva sulle divisioni settarie ed etniche della regione.
Per raggiungere questo obiettivo Washington ed i suoi alleati non hanno esitato ad adottare la mistificazione delle armi chimiche utilizzate dal regime di Bashar al-Assad, una accusa ripetuta a più riprese e sempre smentita da invesitgatori indipendenti come l’investigatrice dell’ONU Carla Del Ponte la quale affermò di essere in possesso di testimonianze di vittime secondo cui i ribelli avevano utilizzato gas sarin ( BBC 2013 ). Poi, sempre in maggio, si diffuse la notizia che le forze di sicurezza turche avevano scoperto una tanica di sarin da 2 chilogrammi in una perquisizione nelle abitazioni alcuni combattenti di Jabhat al-Nusra ( RT 2013 ). In luglio la Russia annunciò di avere le prove del fatto che i ribelli producevano da soli il proprio gas sarin ( Al Jazeera 2013 )’’.

Mentre i media occidentali ripetevano per lo più le accuse di Washington, i resoconti indipendenti continuavano a smentire tale versione. I giornalisti Dale Gavlak e Yahya Ababneh pubblicarono interviste condotte direttamente con medici, abitanti della Ghoutha, combattenti ribelli e loro famigliari nella zona della Ghoutha Orientale. Molti ritenevano che gli islamisti avessero ricevuto armi chimiche tramite il campo dell’intelligence saudita, il principe Bandar bin Sultan, e che fossero gli autori dell’attacco con i gas ( Gavlak e Ababneh 2013 ).

Il veterano giornalista nordamericano Seymour Hersh intervistò agenti dell’intelligence USA, giungendo alla conclusione che le accuse di Washington riguardo agli eventi erano state inventate. Al-Nusra sarebbe dovuta essere tra i sospettati, affermò, ma l’amministrazione ( USA ) ha selezionato una per una le informazioni dell’intelligence in modo da giustificare un attacco contro Assad ( Hersh 2013 )’’. E via con altre smentite ed altre false accuse sempre ossessivamente ripetute dai giornalisti della CNN e dalle ONG pilotate dalla CIA, come Avaaz, Human Right Watch e Amnesty International, tutti autentici “cani da guardia” dell’Imperialismo USA. Vedi: “US Lied About Syrian Chemical Attack Then Bombed Them Anyway”.

La “strategia del caos” attuata da Washington e da Tel Aviv, con il supporto dell’Arabia Saudita e delle monarchie del Golfo, mirava alla creazione di uno ‘’Stato fallimentare’’, debole e frammentato (vedi la Libia post Gheddafi). l’Asse della Resistenza (Siria-Iran-Hezbollah) ha mandato all’aria questo progetto configurando un conflitto asimmetrico fra una guerra popolare e degli eserciti artificiali composti da mercenari di variegate nazionalità, molti dei quali non arabi. Superfluo dire che la posta in gioco nel conflitto siriano era altissima: sovranità nazionale della Siria o dominio neocoloniale degli USA-Israele sulla regione.

A questo conflitto sostenuto dall’Asse della Resistenza, supportato dall’intervento russo, si è unito anche l’Iraq, consapevole della posta in gioco e compartecipe nell’interesse di opporsi ai disegni di secessione e frammentazione che riguardano anche il Governo di Baghdad.

Arrivati a questo punto il fronte dei mercenari USA-Arabia Saudita ha ceduto e non è stato più in grado di riprendere l’iniziativa di fronte alla offensiva dell’Esercito siriano, di Hezbollah e delle milizie sciite irachene che hanno preso il controllo anche della frontiera Siria-Iraq-Giordania, mandando all’aria anche il piano B di Washington che intendeva utilizzare i curdi come esercito di terra da contrapporre all’Asse della Resistenza per indebolite le forze di Damasco e di Hezbollah.

Quest’ultima mossa azzardata di Washington di fare leva sulle legittime aspirazioni curde per utilizzare l’indipendentismo curdo come una ariete contro i governi di Siria-Iran-Iraq è clamorosamente fallita sia per il deciso intervento iracheno nel Kurdistan sia per la discesa in campo della Turchia che si è frapposta al progetto di una entità curda alle sue frontiere.

estratto da https://www.controinformazione.info/lasse-della-resistenza-manda-in-frantumi-la-strategia-del-caos-di-washington-e-mette-in-crisi-lordine-globale-usa/

Il giorno della collera

ghigliott

 

Questo movimento è stato innescato dall’annuncio di un aumento dei prezzi del carburante. Tuttavia, riflette una rabbia molto più profonda e cause molto più complesse. La questione dei prezzi del carburante rimanda alla cosiddetta “compressione dei consumi” delle famiglie delle classi popolari. Quando non si hanno mezzi di trasporto alternativi e si devono fare ogni giorno decine di chilometri per andare al lavoro, ebbene sì, il costo del carburante rappresenta un pesante onere. Detto in termini economici, in questo caso non vi è alcuna elasticità del consumo rispetto al prezzo.

 

Tuttavia, un semplice aumento dei prezzi del carburante non avrebbe certamente causato una tale collera se non fosse arrivato in aggiunta ad altri aumenti e ad una pressione fiscale che le classi lavoratrici considerano eccessivamente onerosa. Le riforme fiscali realizzate lo scorso anno dal governo – tra cui la rimozione della ISF (Imposta di solidarietà sul patrimonio) – e le misure adottate dai governi precedenti – tra cui ricordiamo i 44 miliardi di sgravi fiscali del CICE (credito d’imposta per la competitività e l’occupazione) concessi alle grandi imprese in cambio della creazione di qualche posto di lavoro – sono alla base di questa rabbia. Si parla di una “esasperazione fiscale”; in certi casi ci si può arrivare. Ma qui si tratta soprattutto di un senso di ingiustizia fiscale.

A questo aggiungiamo le più che infelici osservazioni di un presidente della Repubblica il quale evidentemente non prova alcuna empatia per le classi popolari, affascinato com’è dagli “start-upper” e dalla ricchezza di coloro che, per usare la sua espressione, “si sono fatti dal nulla”. I termini estremamente dispregiativi che egli ha usato per anni contro le classi popolari sono ben noti. Non sono stati dimenticati da coloro a cui sono stati rivolti. I francesi, si dice, hanno la memoria corta. Invece hanno appena dimostrato l’esatto opposto.

Tutti questi sono stati fattori di coesione di una rivolta emersa dalle profondità della “Francia periferica”, per riprendere l’espressione del geografo Christophe Guilluy. L’odio dei rappresentanti organici della Francia “bobo” (bourgeois-bohème, corrispondente all’italiano radical-chic, ndt) segnala dove si trova la frattura.  Questa frattura, e qualcuno non se ne dispiaccia, è una frattura di classe. Gli slogan politici che abbiamo sentito non sono dovuti alla presenza di attivisti e di organizzazioni di partito, ma piuttosto al fatto che queste classi popolari identificano spontaneamente il governo e il presidente come loro nemici.

Questa rivolta è stata in gran parte non organizzata, o più esattamente auto-organizzata. È partita da iniziative individuali, e si è amplificata sui social network. Un gran numero di manifestanti del 17 novembre erano alla loro prima esperienza di manifestazione, di lotta collettiva. Questa esperienza, questa forma specifica di socializzazione è di estrema importanza. Perché imparando a coordinarsi, a parlare insieme, queste persone smettono di essere individui isolati. Diventano consapevoli della loro forza. È per questo motivo che questo movimento, eterogeneo nella sua ideologia, i cui partecipanti sono disomogenei e tra loro differenziati, è fondamentalmente un movimento sociale progressista. Perché ogni esperimento sociale che oggi permette agli individui di uscire dal loro isolamento ha un carattere progressista.

http://vocidallestero.it/2018/11/20/jacques-sapir-i-giubbotti-gialli-e-la-rabbia-delle-masse-popolari/

Conferenza di Palermo

Per l’Italia è un rompicapo: Roma sostiene con l’emirato e Ankara il governo Sarraj tenuto in ostaggio da milizie salafite e che hanno come riferimento politico nel governo e nelle istituzioni proprio i Fratelli Musulmani.

A Palermo il Qatar non ha seguito le orme della Turchia e ha tenuto un basso profilo senza fare proclami anti-Haftar: i qatarini hanno qui troppi interessi per mettere in imbarazzo il governo italiano che con il premier Conte è appena andato in viaggio d’affari anche negli Emirati, azionisti dei droni della Piaggio Aero e partner dell’Eni.

Ma è evidente che l’Emiro Al Thani non può essere soddisfatto della conferenza palermitana, tenendo conto che l’Italia è un partner di primo piano per la sua difesa e in Libia. Nel mirino dei sauditi, che li hanno obbligati anche a cambiare rotte aeree, i qatarini stanno aggirando l’embargo con il recente acquisto dall’Aga Khan del 49% della compagnia aerea sarda Meridiana, rilevata dalla Qatar Airways, che con il nome di AirItaly ha in programma piani grandiosi che potrebbero farla diventare la prima compagnia aerea italiana.

Poi ci sono le forniture di armi e il gas. L’Eni sta diversificando i suoi approvvigionamenti di gas nel Golfo con contratti negli Emirati Arabi Uniti e in Oman mentre il Qatar deve mantenere buoni rapporti con l’Iran, colpito dalle sanzioni americane, con cui spartisce lo sfruttamento di giacimenti di South Pars. Tra l’altro l’Italia sta facendo assai poco per aggirare l’embargo Usa che ha già bloccato i pagamenti bancari per le transazioni con Teheran, anche se ha ottenuto dagli Usa l’esenzione per mesi sull’import di petrolio da Teheran.

L’Emiro vuole capire da che parte stiamo in Libia e nel Golfo, visto che gli vendiamo miliardi armi. Siamo pronti a difendere l’emirato dalle monarchie del Golfo ostili? C’è da dubitarne. E Al Thani forse vuole anche sapere fino a che punto siano determinati a sostenere il governo Sarraj a Tripoli: è chiaro che il generale Haftar è in sella per far fuori gli islamisti con l’appoggio dei suoi potenti alleati.

Diciamo pure all’Emiro che, dal punto di vista strategico, questo è un viaggio inutile: il governo, come storicamente qualunque altro governo di questo Paese, vuole fare affari ma non ha nessuna intenzione di esporsi diplomaticamente e militarmente. Basta vedere cosa è accaduto nel 2011 quando abbiamo abbandonato Gheddafi al suo destino, appena sei mesi dopo aver firmato con lui contratti miliardari. Il governo risponderà che in Qatar ci sono 10mila soldati Usa nella base di Al Udeid e che questi bastano a garantire la sicurezza dell’Emirato. Anche sulla Libia gli italiani saranno evasivi, riparandosi dietro il piano dell’Onu di Ghassam Salamè, il dialogo nazionale e altre fesserie simili. Bisogna essere franchi con l’Emiro: noi delle grandi strategie ce ne laviamo le mani e preferiamo metterci allegramente alla cassa.

Alberto Negri in

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61211

Eliminare la finanza

Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista. L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.

 

Prima, però, bisogna mandare casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».

http://www.libreidee.org/2013/05/italia-potenza-scomoda-dovevamo-morire-ecco-come/

La barbarie germanica

https://wolfgangstreeck.com/2015/02/13/the-rise-of-the-european-consolidation-state/

“Se, in uno Stato in debito, e, in uno “stato di debito”, i governi hanno raggiunto un equilibrio tra le richieste rivolte loro da due costituenti  –   cittadini ( Staatsvolk ) e mercati finanziari internazionali ( Marktvolk )  –   lo stato di consolidamento risolve  il conflitto  a favore dei mercati internalizzando risolutamente il primato degli impegni finanziari-contrattuali dello stato nei confronti dei suoi creditori rispetto a qualsiasi impegno politico-pubblico nei confronti della sua cittadinanza. Lo stato di consolidamento europeo richiede disciplina collettiva in tutta l’area dell’euro: tutti i membri devono acconsentire, poiché una percezione negativa da parte dei mercati finanziari del rischio di un membro può avere ripercussioni per il resto”.

Bisognerà dunque subire questa nuova forma di barbarie tedesca, cieca ed estranea a tutto ciò che è classico, piena d’invidia per ogni forma apollinea e alleata  al più potente vizio tedesco, l’avarizia?

Ma naturalmente, non basta ancora: Oltre alla morte per inedia dei greci, alla messa  in svendita delle antichità, la  Germania (con la Francia) ha anche estratto una turpe creste, un furto  con cui si sono arricchite a spese ulteriori  della miseria di quel popolo.

Avvenne  prima che Draghi attivasse  la “stampa”, il quantitative easing,con un programma simile, chiamato SMP: “Trra maggio e giugno 2010, la Banca centrale europea ha acquistato circa 40 miliardi di euro di debito greco attraverso il programma SMP. Il punto  era che all’epoca tali obbligazioni venivano scambiate sul mercato dal 30% al 40% del loro valore nominale. In altre parole, la BCE ha acquistato un pacchetto di obbligazioni per € 30 sapendo che alla fine avrebbe ricevuto € 100.

“Da lì in poi, ogni volta che la Grecia rimborsava il suo debito pubblico, la BCE ha accumulato profitti sostanziali. Tutti i profitti ricavati dalle operazioni di politica monetaria da parte delle banche centrali nell’Eurozona vengono prima raccolti dalla BCE, che può conservare fino al 20% degli utili per costruire le proprie riserve. Ciò che rimane viene poi ridistribuito a ciascuna banca centrale nazionale in base ad una percentuale   più  o meno proporzionale aella dimensione di ciascuna economia nazionale. A loro volta, le banche centrali nazionali restituiscono parte del denaro ai rispettivi governi.   La Germania, con la Francia, le più “grosse” economie,  e insieme la BCE,  hanno lucrato dalla Grecia anche questa cresta speculativa – sui 13 miliardi. Che mai  hanno restituito.

http://www.positivemoney.eu/2018/07/ecb-smp-profits-billions-lost-for-greece/

E’ questa bassezza, questa distruzione di tutto ciò che è caro ai cuori nobili, il  lo splendido passato europeo,  questi mostri  cadaverici della barbarie osano chiamare “Europa”

Con usura

Con usura nessuno ha una solida casa
di pietra squadrata e liscia
per istoriarne la facciata,
con usura
non v’è chiesa con affreschi di paradiso

harpes et luz
e l’Annunciazione dell’Angelo 
con le aureole sbalzate,
con usura
nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
non si dipinge per tenersi arte
in casa, ma per vendere e vendere
presto e con profitto, peccato contro natura, 

Usura uccide il figlio nel ventre

Arresta il giovane corteggiatore

Ha portato il decrepito a letto, lo ha posto tra il giovane sposo

E la sua sposa….

Contra Naturam

Han portato puttane ad Eleusi.

 

 

L’articolo ATENE VENDERA’ ANCHE CENTINAIA DI SITI ARCHEOLOGICI proviene da Blondet & Friends.

Socialismo corporativo

Toniolo non è infatti un generico  assertore dei principi di sussidiarietà e solidarietà. Allievo di  Werner Sombart, l’autore de Il capitalismo moderno,  egli  è l’iniziatore  delle “Settimane Sociali”, il cui primo congresso , avvenuto a Genova nel 1892, individua – su sua  indicazione  – nella  soluzione corporativa la sola idonea a risolvere la “questione sociale”. L’idea di fondo è quella di una convergenza tra struttura sociale ed impianto statale, sia a livello territoriale che “di classe”, con un richiamo alle persone reali, viventi nelle categorie produttive, nelle famiglie, negli enti locali.

L’ordine corporativo immaginato da Toniolo è  interno al progetto di Restaurazione cristiana, in grado di riparare ai danni spirituali e materiali provocati dalla rivoluzione liberal-borghese, sulla via – egli scrive – di “…. quella politica cristiana per eccellenza, per cui da Costantino (274-337) a Clodoveo (466 ca. – 511), a Carlomagno (742-814), ai princìpi feudali e alle repubbliche guelfe d’Italia, tutti i reggitori degli Stati, accanto all’ufficio di tutelare  gli interessi della nazione, assumevano il comune dovere di difendere e promuovere gli interessi di tutta la Cristianità e della Chiesa”.

Questi insegnamenti saranno   confermati , in occasione del quarantesimo anniversario della Rerum novarum di Leone XIII (1891),   dall’enciclica Quadragesimo anno (1931), emanata da Pio XI, per il quale  il “vero e genuino ordine sociale” nasceva dalla coesione tra datori di lavoro e prestatori di lavoro, impegnati a “promuovere più che mai intensamente la cooperazione della intiera corporazione dell’arte al bene comune, cioè alla salvezza e prosperità pubblica della nazione”.

E’ giunto  il tempo per ridare nuovo slancio ad un’idea sociale messa, da decenni,  sotto silenzio, sull’onda di più facili convergenze politiche e culturali (pensiamo all’egemonia  classista e marxista subita, durante gli Anni Settanta-Ottanta dal mondo politico, sindacale e culturale di estrazione cattolica) ? Non c’è niente da inventare.  Basta tornare ai “fondamentali”. Toniolo – da questo punto di vista – offre grandi occasioni di riflessione per l’attualità, in particolare a chi continui a coltivare l’idea partecipativa, costruita sulla libera associazione dei lavoratori;  sul  lavoro e capitale anche in relazione reciproca; sul prevalere dell’etica sulle dure leggi dell’economia.

Pur nel mutare degli scenari, i grandi temi del rapporto tra etica ed economia, produzione e giustizia sociale, partecipazione e accesso alla proprietà, restano all’ordine del giorno del Sistema-Italia. Bisogna solo trovare le giuste chiavi di lettura. Toniolo ne offre certamente più d’una.

http://www.barbadillo.it/78936-il-caso-se-la-chiesa-riscopre-il-sociologo-corporativista-giuseppe-toniolo/

Red Land

Ma Norma non fu vittima solo dei partigiani slavi, come si vede nel film. Le foibe non furono solo opera dei titini. I partigiani italiani ebbero un ruolo storicamente definito e ormai abbondantemente studiato. In proposito, il commento migliore lo affidiamo alle parole della sorella di Norma, Licia Cossetto, scomparsa nel 2013 nello stesso giorno, il 5 ottobre, in cui 70 anni prima sua sorella veniva gettata viva nella foiba di Villa Surani: “Con mia sorella Norma, ricordo il nostro papà Giuseppe, infoibato anche lui, con parecchi altri miei familiari. La nostra sola colpa era quella di essere Italiani e di voler restare Italiani. Norma avrebbe potuto salvarsi qualora avesse aderito alle richieste dei suoi assassini che le proposero di restare con loro e di diventare Croata: cosa che lei respinse coraggiosamente, alla luce della sua fedeltà alla Patria. Allora, la portarono ad Antignana, la legarono ad un tavolo col filo di ferro uncinato ai polsi ed alle gambe: erano una ventina, e fecero di lei quello che volevano, torturandola ed usandole ripetute violenze. Norma chiedeva acqua e chiamava la mamma, ma nessuno si mosse a pietà. Non sarò tanto diplomatica, diversamente da altri. Ho il dente avvelenato perché lo Stato Italiano si è ricordato di noi troppo tardi. D’altro canto, la colpa è anche nostra, perché quello istriano è soprattutto un popolo laborioso e paziente, che ha scelto l’Esodo in massa tirandosi su le maniche e mettendosi a lavorare: io stessa ho insegnato per 42 anni. Nell’esilio sono stata oggetto di tanti torti, ma anche in Istria ero stata imprigionata e riempita di botte; per mia fortuna trovai un compagno di scuola che mi sottrasse ai nostri carcerieri riportandomi a casa, da dove, quella stessa notte, potei fuggire con una zia, raggiungendo a piedi Trieste con una marcia di 60 chilometri!

Ho il dente avvelenato per tanti motivi ma, come ripeto, prima di tutto per il silenzio ufficiale che ha coperto per 60 anni la nostra tragedia. E poi, chiedo a chiunque sia andato a scuola se ha mai trovato in un libro di testo una parola sulla terribile vicenda istriana: ignoranza voluta e programmata. Il 10 febbraio 2006, quando il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi mi ha consegnato la Medaglia d’Oro al Valore concessa alla memoria di Norma per il nobile comportamento davanti agli aguzzini e per il rifiuto di collaborare col nemico, e mi ha chiesto se fossi contenta, gli risposi ringraziando, ma rammentando che aspettavo da troppo tempo, senza che nessuno si fosse mai ricordato dei nostri infoibati.

Dobbiamo dire grazie alle forze armate tedesche, se a seguito della loro temporanea occupazione dell’Istria siamo riusciti a recuperare i resti di alcune vittime, ma la gran parte è ancora laggiù: io non so ancora e non saprò mai dove sia finita la maggior parte dei miei parenti scomparsi assieme a Norma. Le foibe sono custodi del nostro dramma sconosciuto.

Bisogna informare meglio, anche sulla consueta versione secondo cui il martirio istriano avrebbe avuto luogo a causa esclusiva dei partigiani slavi di Tito. In realtà, loro occuparono subito qualche centro maggiore, all’indomani dell’8 settembre 1943, ma in quelli minori furono i partigiani locali – nostri concittadini italiani! – a scatenarsi: venivano di notte a farci alzare ed a sparare sopra i letti, ed anche gli assassini di mia sorella erano compaesani comunisti, che ricordo benissimo uno per uno. Costoro hanno persino la pensione dell’INPS, compresi i superstiti del gruppo che aveva torturato ed infoibato Norma. Infatti, la legislazione italiana del dopoguerra ha stabilito che era sufficiente aver prestato servizio, sia pure per pochi giorni, in forza all’Italia, per avere diritto alla pensione: cosa tanto più paradossale, visto che a noi, invece, nulla è stato dato. Personalmente, ho ricevuto un’autentica miseria solo come indennizzo per i beni «abbandonati» e, quindi, un’ulteriore beffa.

Questa è la nostra storia, tanto tragica che non mi sento di perdonare: del resto, come è stato detto, «soltanto i morti hanno il diritto di perdonare, mentre i vivi hanno il dovere di ricordare». Questo è l’obbligo morale che lascio in eredità alla mia famiglia ed al nostro popolo”.

Annalisa Terranova

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