In un certo senso il femminismo da essere avanguardia di qualcosa di nuovo, si è trasformato in retroguardia reazionaria rispetto all’eguaglianza sociale, anche se non mancano segnali di frattura rispetto a questa linea da parte delle donne più intelligenti. Non è certo un caso che se guardiamo alla spaventosa disuguaglianza di reddito che si è creata nell’ultimo ventennio si vede come la frattura reddituale sia molto più accentuata nelle donne.
Ciò che ho da dire oggi si riduce a sei foto messe in fila come un’inquietante e inaspettata processione perché senza che se ne avesse il sentore o il sospetto è accaduto che ai vertici del complesso militar industriale americano, che vive di guerre e di morte, siano oggi sei donne, 4 a capo delle maggiori industrie belliche statunitensi e due dall’altra parte del tavolo, la prima come supremo acquirente del Pentagono, la seconda come gestore dell’arsenale nucleare. Ciò che colpisce è che questa situazione venga esaltata e presentata dalla pubblicistica americana come un successo del movimento femminista che è riuscito a penetrare le ultime e più sorvegliate roccaforti del machismo, ma senza tuttavia rinunciare allo slogan della “diversità” affinché la folla politicamente corretta possa sentirsi bene con se stessa e non farsi venire qualche dubbio.
Tutto questo si traduce in una sorta di caricatura del liberalismo americano, della parte…
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