Il tentativo di spazzare via il ceto medio, abbondantemente incoraggiato dai governi degli ultimi quindici anni, quasi tutti a guida Pd, va avanti a grandi passi. Ma il massimo è costituito da una apparente contraddizione: chi lavora, chi ha la fortuna di farlo, lavora sempre di più pur guadagnando meno. Il 50,6 per cento dei lavoratori interpellati, afferma che negli ultimi anni si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità. Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, 4 milioni che lavorano di domenica e nei giorni festivi, 4,1 milioni che lavorano da casa oltre l’orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni che lavorano oltre l’orario senza il pagamento degli straordinari.
Il tutto con un prezzo da pagare, anche in termini psicofisici: 5,3 milioni di lavoratori dipendenti provano i sintomi dello stress (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione), 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo, 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a se stessi (per gli hobby, lo svago, il riposo). Dati impensabili solo venti anni fa. L’ammonimento di Pound – “il tempo non è denaro, ma quasi tutto il resto” – sbatte nel capitalismo selvaggio e sempre più disumano del XXI secolo. I cui effetti, le cui storture passano quasi sottotraccia, quasi come un normale prezzo da pagare per lavorare, anche grazie a un sindacato ormai totalmente incapace di rappresentare le istanze del mondo del lavoro. E la glebalizzazione, per dirla con una riuscita espressione di Diego Fusaro, è servita.
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