Tra gennaio e maggio, l’invio di petrolio russo negli Stati Uniti è quasi raddoppiat, a 17,43 milioni di barili, un record dall’agosto 2013. Anton Polatovich, analista di BKS Broker, affermava che nel complesso le quote del mercato energetico di Washington erano ben spiegate da fattori geopolitici. Pertanto, dopo le sanzioni al Venezuela, gli Stati Uniti persero l’opportunità di acquistare petrolio pesante in grandi quantità, rivolgendosi a Mosca per un aiuto nella gestione delle raffinerie, secondo l’esperto. A gennaio, Washington emise restrizioni contro la maggiore compagnia petrolifera venezuelana, PDVSA. In totale, gli statunitensi bloccavano 7 miliardi di beni dell’azienda e alla fine dell’anno il deficit della PDVSA dovrebbe raggiungere gli 11 miliardi. Da fine maggio, gli Stati Uniti interruppero completamente l’acquisto di petrolio da Caracas. “Alcune raffinerie statunitensi dedite al petrolio alto contenuto di zolfo venezuelano rimasero senza materie prime dopo le azioni del governo nordamericano. Al fine di compensare le perdite fu deciso di acquistare petrolio degli Urali dalle caratteristiche simili, portando ad un aumento delle importazioni di petrolio russo negli Stati Uniti”, affermava Evgenij Udilov, capo del Dipartimento di petrolio e gas dell’Istituto commerciale e d’investimento Feniks. Gli analisti spiegano la necessità di importazioni russe col fatto che il petrolio di scisto estratto negli Stati Uniti è leggero e non adatto alla produzione di certi tipi di combustibili e prodotti chimici. Secondo Dmitrij Inogorodskij, esperto del Centro finanziario internazionale, il petrolio pesante consente di ottenere olio combustibile, bitume e altre sostanze necessarie per asfalto, pneumatici o riscaldamento di locali industriali. Secondo Anton Pokatovich, gli Stati Uniti non possono avviare rapidamente una propria produzione di idrocarburi pesanti. Di conseguenza, le importazioni di petrolio russo negli Stati Uniti potrebbero aumentare ulteriormente nei prossimi anni.