Mi duole il mio Paese che non vede la rovina dei suoi giovani, sempre più precari della vita, carichi di pasticche, alcool e droga, spesso deboli e capricciosi, specchio fedele dei modelli imposti dalla comunicazione dominante, vittime di mille modelli negativi. Mi fa male l’abbandono degli anziani, il cinismo, la competitività litigiosa di un popolo che si è lasciato dividere, gli uni contro gli altri, risse da ballatoio, linguaggio da suburra, demolizione di tutto quanto ci univa, a cominciare dalla lingua imbastardita, fino alla fede comune tradita dai suoi custodi. Dolgono le città desertificate in favore di orribili periferie fatte di alveari, cubi e parallelepipedi, la grande bellezza, l’estetica, essenza di un popolo, sacrificata alla bruttezza, allo sfregio, al kitsch che avanza dappertutto. Sapemmo creare Venezia, Roma, Firenze, mille paesi e città armoniose e diverse, un territorio modellato dalla sapienza millenaria. Adesso, siamo riusciti a rendere orribili i paesaggi più belli del mondo.
Inventammo le università e oggi un’ignoranza di ritorno, tremenda perché soddisfatta di sé, pervade milioni di persone, abilissime peraltro a maneggiare gli idoli del tempo, telecomandi, smartphone, computer. Mi fa male un paese che fondò ovunque lazzaretti e ospedali attraverso la pietà popolare, lo slancio delle istituzioni religiose e la generosità di non pochi potenti, ma costringe i malati dell’orgoglioso Terzo Millennio a ore e ore di attesa su scomode barelle negli inferni metropolitani dal sarcastico nome di Pronto Soccorso.