Mi hanno sempre affascinato gli spruzzi del mare che si infrange sul muretto del Melecon e la storia di un popolo, descritto come fiero e dignitoso, che ha lottato contro l’imperialismo statunitense.
E così, per festeggiare il 40esimo anniversario di matrimonio, ho deciso insieme a mio marito, di andare a visitare la capitale di Cuba dopo un breve soggiorno sulle spiagge.
Il Melecon l’ho percorso, una domenica mattina, per un lungo tratto, circa 5 chilometri, dal quartiere Avedado all’Avana Vecchia. Più che una passeggiata è, eccezion fatta dell’ultima parte più frequentata, un percorso ad ostacoli disseminato di tombini aperti di dimensioni anche ragguardevoli, di voragini più o meno profonde, di lunghi tratti sconnessi in cui dell’asfalto resta un lontano ricordo.
Dall’altra parte della strada, cantieri che hanno tutta l’aria di essere fermi, propongono dai loro cartelloni progetti di grattacieli dalle architetture avveniristiche mentre si alternano sul lungomare edifici , che pur ostentando una loro originaria bellezza sono vittime di un profondo degrado dovuto ad una prolungata trascuratezza, e costruzioni minimali nate solo per dare ricovero, prive di qualsiasi testimonianza di amore verso di esse e di vita al loro interno, tranne che per poveri panni stesi penzolanti da finestre senza infissi che si affacciano sul mare come occhi perennemente spalancati.
L’Avana vecchia ripete lo stesso copione, tra marciapiedi dissestati o quasi interamente sbriciolati, buche e ruscelletti dovuti a perdite d’acqua dalla rete idrica (nella casa particular che ci ha ospitati l’acqua scendeva dal rubinetto in un sottilissimo filo) si possono ancora trovare, tra edifici cadenti ornati da matasse inestricabili di fili elettrici, scorci affascinanti con case in stile coloniale ben conservate, che spesso ospitano piccoli musei, mostre o librerie, viuzze pulite e aiuole con panchine.
Decine di minuscoli negozietti vendono gli stessi identici articoli, alcuni si improvvisano venditori esponendo una manciata di questi sui gradini delle strette e ripide scale negli ingressi, senza portoni, di palazzine fatiscenti.
Da turisti ci siamo sentiti un po’ fuori luogo e visti solamente come una macchinetta sputasoldi. Ogni pochi metri trovi chi ti vuole proporre dove andare a mangiare, a comprare sigari, chi ti propone taxi, cocotaxi, bicitaxi. Taxisti che mentre guidano attirano l’attenzione di chi cammina per strada suonando, praticamente in continuazione, il clacson dando vita a vere e proprie jam session.
Il tutto immerso nella luce abbacinante del sole caraibico, nel fumo dei tubi di scappamento di eroici veicoli che sfidano il tempo, in odori pungenti di urina e fognature, nelle note di musica che a un certo punto smetti di chiederti da dove provenga perché sembra far parte dell’aria che respiri.
Fuori città le immancabili baraccopoli stanno a testimoniare, insieme a chi ti ferma per strada per chiedere soldi, che L’Avana, in fondo, non è dissimile da tutte le altre capitali del mondo.
Fuori dal centro le auto che percorrono le strade diventano sempre più rare per lasciare posto a bus (cinesi) che trasferiscono turisti, a scooter, camioncini che trasportano persone, biciclette, carretti trainati da un cavallo.
In città svettano grattacieli di 20 piani, e anche più, che ospitano hotel, ma anche cliniche ospedaliere, ognuna dedicata ad una branca specialistica. Università e Casa degli Studenti sono imponenti.
Le fermate dei vecchi bus che arrancano faticosamente sono sempre affollatissime.
A parte alcune zone, come ad esempio la bellissima Avenida del Paseo e alcune parti della città vecchia, le strade non godono propriamente di un servizio di nettezza urbana.
Quello che viene citato dalle guide come “centro commerciale” è in realtà una anonima costruzione di architettura “moderna” con all’interno una salita vagamente elicoidale, dalla cui pavimentazione mancano alcuni piastroni, che porta ad un piano dove si trovano un negozio di articoli elettronici, uno di articoli per la casa – la maggior parte ancora imballati negli scatoloni impilati al centro del locale – , uno di abbigliamento, una pelletteria ed una profumeria. Nel bar mi dicono che si suoni musica jazz cubana.
Ma agli Avanensi sembra importare poco, specialmente ai giovani concentrati sui loro smartphone e sulla cura del loro aspetto, delle contraddizioni di questa città che vede Mercedes ultimo modello sfrecciare accanto a vecchie Lada, villette ben curate accanto a palazzine diroccate, preferiscono non pensarci stordendosi di alcool e musica, quasi ad impedire di svegliarsi da un sogno, quel sogno di giustizia sociale per cui ha dato la vita il celebrato Comandante Che Guevara, quel sogno con cui Castro ha vinto un braccio di ferro contro l’imperialismo statunitense facendo pagare il prezzo di quella vittoria al popolo cubano – lui non ha sofferto delle privazioni causate dall’embargo- , quel sogno che, a quanto pare, a Cuba non si è realizzato.
Fiorella Susy Fogli