Era la prova che Pansa aveva colto nel segno, proprio un piemontese allievo di gran sacerdoti dell’antifascismo “azionista” torinese come Alessandro Galante Garrone. Di più: Pansa fu con Scalfari tra i fondatori dell’organo della sinistra progressista borghese La Repubblica, il giornale del giuramento antifascista e delle porte sbarrate a chiunque non condividesse la vulgata dell’Italia ufficiale, “laica, democratica, antifascista”, come recitava la litania lauretana di lorsignori e lorcompagni.
Quei libri, quel sangue dei vinti finalmente ammesso e lavato, sono la prova non solo della falsità storica su cui si è fondata l’Italia del dopo 1945, sconfitta ma vincitrice, bombardata e occupata ma felice, sino a festeggiare, unica nazione al mondo, una sconfitta rovinosa riconfigurata, con un atto di sorprendente acrobazia, in liberazione da un governo, anno zero, la tabula rasa da cui riscrivere una nuova Storia. Il re repubblicano era sempre stato nudo, ma perché finalmente lo si cominciasse ad ammettere, ci volle un giornalista ormai pensionato, che forse voleva pagare il suo personalissimo debito con la verità. Non cambiò opinione, lo spigoloso monferrino: non è diventato fascista in vecchiaia, né ha rinnegato le sue idee. Semplicemente, ha detto e dimostrato a voce alta, prove alla mano, ciò che molti sapevano e neppure sussurravano.
Quel terribile periodo della guerra civile, tra torti e ragioni, eroismi e vigliaccherie, generosità ed assassinio di fratelli, non fu la fulgida lotta di un popolo di prodi contro una cricca criminale, ma un confronto tremendo, un carico di odio reciproco dal quale, a guerra finita, la nazione avrebbe dovuto uscire chiedendosi scusa, perdono per il male, il rancore, il dolore. In una guerra civile, non ci sono santi e demoni, ma parti in lotta senza esclusione di colpi. Per questo le ferite devono essere curate in fretta o diventano cancrena. Da noi, la cancrena è ancora in corso: antifascisti in assenza di fascismo scorrazzano per le strade, occupano gli schermi televisivi e pontificano con la mano sul cuore. Anticomunisti in assenza di comunismo hanno minore visibilità, ma raccontano a se stessi una storia esaurita da trent’anni.
E’ un dramma civile e nazionale dalle colpe antiche. Giampaolo Pansa è stato probabilmente la personalità che, con le armi che aveva, la sua penna acuminata, la sua coscienza di uomo libero, più ha fatto, negli ultimi vent’anni, per sgombrare il campo da macerie vecchie e marcite, da narrazioni di parte, lavorando a quella ricomposizione degli spiriti che è la premessa per una storia condivisa. E’ significativo che il suo apporta esca da quello stesso mondo che ha tanto lavorato per gettare sale sulle ferite, per torcere vicende, storie ed avvenimenti in una narrazione di cui pretendeva l’esclusiva e che ha posto a fondamento di una storia nazionale falsa. Hanno nascosto non solo la guerra civile, i fascisti della RSI con i suoi seicentomila militi, i suoi morti, ma anche l’esercito del Sud, i bombardamenti dei “liberatori”, il ruolo della mafia, il ruolo preponderante, pressoché esclusivo, degli eserciti stranieri alleati nell’esito della guerra.
Occorreva azzerare il passato, tutto il passato, non solo quello in camicia nera. Non funziona così: erede della sua storia, anche della più controversa, è sempre un popolo intero. Per questo, i confronti civili lasciano ferite tanto profonde, se non si cerca di cicatrizzarle in un nuovo inizio. C’è voluto un fondatore del giornale più inserito nel potere, più vicino all’ufficialità culturale e storica di 70 anni di storia italiana per squarciare il velo e mostrare, finalmente, le ferite nascoste, le verità mai dette, i dolori, le umiliazioni e il lungo esilio di una parte non piccola del nostro popolo.
A Genova, nel cimitero di Staglieno, un sacrario collettivo accoglie i resti di circa 1.500 morti della parte che “aveva torto”. Recuperati con pazienza e coraggio da donne e uomini animati da pietà e non da vendetta, sono testimoni silenziosi di una tragedia davanti alla quale vale solo il rispetto. Una vedova di guerra ci raccontò la sua emozione davanti ai resti di una giovanissima ausiliaria, una ragazza della classe 1924, uccisa a bruciapelo con un colpo alla nuca. Della sua vita erano rimaste poche ossa, i documenti, un pettine e una spazzola per capelli, muti testimoni della grazia giovanile di una vita spezzata.
A quella sconosciuta ci sentiamo di dedicare un saluto, come a qualunque uomo o donna morto per un’idea coltivata in buona fede. Strano davvero che agli italiani brava gente sia stato necessario tanto tempo, tanto odio, tanto dolore, per accogliere il racconto di Giampaolo Pansa, l’avversario che abbiamo imparato a rispettare. Quali siano state le sue ragioni, le sue idee e la sua vita, che la terra sia lieve a Giampaolo Pansa, testimone della storia, testimone della verità per un’Italia che non dimentichi più nulla e rispetti tutti i suoi figli.
L’articolo PANSA, LA VERITA’ E LA STORIA proviene da Blondet & Friends.