L’8 settembre 1943, con la logica premessa del 25 luglio, segna il ritorno alle Italie anteriori al 1861, coi loro particolarismi e i loro egoismi, e soprattutto con le loro classi dirigenti ben decise a reggersi in sella a qualsiasi costo, anche al prezzo del tradimento più ignominioso, accettando il ruolo sub-coloniale di chi governa, ma solo di nome, per conto di un potere estraneo, senza alcun riguardo per l’interesse effettivo del proprio popolo. La fuga di Pescara di Badoglio e Vittorio Emanuele III è la rappresentazione plastica di tale divorzio fra la classe dirigente e il popolo: l’una preoccupata solo di se stessa, l’altro abbandonato al peggiore dei destini.
Questa premessa e necessaria per capire come siamo arrivati alla situazione attuale. La Repubblica del 1946 nasce su un colossale inganno e una sistematica mistificazione, per nascondere a tutti, ma specialmente al popolo italiano, che l’Italia ha perso la sua sovranità, e più precisamente che la sua classe dirigente l’ha venduta in cambio del privilegio di restare formalmente al potere, ma in conto terzi. Perciò, da quel momento, è stata fatta una capillare e incessante opera di falsificazione della storia: i peggiori sono diventati i migliori, e viceversa. Nel campo della cultura, per esempio, i più servi, i più invidiosi e meschini, come Benedetto Croce, sono assurti alla gloria dei libri di testo, e celebrati come grandi personaggi; i più fieri e originali, come Giovanni Gentile per la filosofia e Gioacchino Volpe per la storia, sono stati condannati alla damnatio memoriae o, nel migliore dei casi, all’oblio, perché avrebbero dato ombra ai vincitori. La stessa cosa è avvenuto nella politica, nella pubblica amministrazione, nella magistratura, nell’impresa statale, nella ricerca scientifica, ecc. Quelli che potevano vantare un pedigree antifascista, magari raffazzonato all’ultimo momento, sono passati a ruoli dirigenti; quelli che non hanno voluto rinnegare il loro passato fascista sono stati emarginati o esclusi. Per non parlare dell’ambito governativo.
Togliatti, che prendeva ordini direttamente da Stalin e se ne fregava sia dei comunisti rifugiatisi in URSS durante il fascismo, sia dei soldati dell’ARMIR caduti prigionieri, è assurto al rango di grande statista; i partigiani comunisti, ladri, assassini e stupratori, promossi a eroi senza macchia e senza paura, con tanto di canzoncina pseudo patriottica, Bella ciao, da insegnare ai bambini nelle scuole; e le vittime di quei massacri, di quegli stupri, coperte di disprezzo e storicamente condannate senza appello. Silenzio di tomba, poi, sulle foibe e sul dramma dei profughi giuliani (è curioso: oggi che i profughi, anzi i falsi profughi, sono africani, quella stessa sinistra che allora accoglieva a sputi e parolacce gli istriani, i fiumani e i dalmati, oggi predica il dovere dell’accoglienza e dell’inclusione ad ogni costo). È stata una selezione all’incontrario: il servilismo al posto del merito, l’obbedienza canina al posto della indipendenza di pensiero e di azione. E così l’Italia si è trovato a essere governata da due poteri: uno apparente, la sua classe dirigente sempre più inefficiente, corrotta e ferocemente egoista, e uno reale, il potere politico e finanziario dei vincitori, che di quella classe dirigente si è servito, carezzandola nei suoi peggiori difetti e nei suoi vizi storici, per tenere l’Italia costantemente legata alla catena e con la museruola.
Bisogna pur dire, a questo punto, che nonostante il suo peccato d’origine, nel complesso la classe dirigente italiana si è sforzata, per due o tre decenni, di recuperare spazi di manovra, se non proprio di sovranità, in modo da tornare a svolgere una funzione utile non solo a se stessa, ma alla nazione: sempre però da parte di outsider e non di personaggi radicati nelle istituzioni, gente come Mattei, ad esempio, e non come Andreatta, tanto per fare un paio di esempi, l’uno in positivo, l’altro in negativo. Questi margini di autonomia guadagnati assai faticosamente e dietro l’apparente sottomissione al potere effettivo, si sono però gradualmente ristretti nel corso del tempo; la classe dirigente si è stancata di condurre questa politica del doppio binario e a un certo punto, forse anche dopo aver visto che chi non si piegava del tutto al potere effettivo, finiva male, in un modo o nell’altro (vedi i diversi casi di Moro e di Craxi), è tornata allo stile di Badoglio e alla tradizione dell’8 settembre: tutti a casa, e ciascuno per sé.
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