Energie egizie

Le celle solari del futuro potranno ispirarsi alla Piramide di Cheope, a Giza, che è stata studiata con i metodi della fisica attuale. Dalle ricerche è emerso che riesce a concentrare l’energia elettromagnetica, e precisamente le onde radio, sia nelle camere interne sia nella base. Si potrebbero così progettare nanoparticelle ispirate alla struttura di questo edificio che siano in grado di riprodurre un effetto analogo nel campo dell’ottica, da utilizzare per ottenere celle solari più efficienti. Lo indica la ricerca pubblicata sul Journal of Applied Physics e condotta dai fisici della Itmo University a San Pietroburgo e del tedesco Laser Zentrum di Hannover.

Per Tullio Scopigno, fisico dell’Università Sapienza di Roma, l’applicazione prospettata dai ricercatori è interessante “ma questo studio va preso con cautela, in quanto basato su modelli matematici non ancora supportati da evidenze sperimentali”. I ricercatori hanno condotto lo studio perché interessati alla struttura della della tomba del faraone Cheope dal punto di vista fisico. In particolare hanno voluto vedere come le onde radio si distribuiscono nella sua complessa struttura.

Per farlo hanno ipotizzato che non ci siano cavità sconosciute e che il materiale calcareo da costruzione sia uniformemente distribuito. Sulla base di queste ipotesi è stata messa a punto una simulazione matematica e si è visto che la Grande Piramide può concentrare le onde radio nelle sue camere interne e sotto la base, un po’ come una parabola.

Questo avviene, rileva Scopigno, perché “la lunghezza d’onda delle onde radio, compresa 200 e 600 metri, è in un certo rapporto rispetto alle dimensioni della piramide”. Ciò significa che per avere lo stesso effetto con altri tipi di radiazioni che hanno lunghezze d’onda diverse, come la luce, sono necessarie strutture di dimensioni diverse, precisamente occorrono dispositivi in miniatura. Ecco perché i ricercatori prevedono di progettare nanoparticelle, ossia delle dimensioni di qualche milionesimo di millimetro, e a forma di piramide,  in grado di riprodurre effetti simili nel campo ottico, da usare nelle celle solari.

 

Arte di Stato

L’architettura fu uno degli strumenti più importanti del progetto politico del fascismo. Agli edifici pubblici, in particolare, venne assegnata una funzione monumentale, nel quadro di un sistema di dominio composto da burocrazie di servizio e da clientele sociali. Il rapporto assiduo e di routine con il servizio pubblico (nei palazzi delle poste, negli uffici statali, nelle sedi INFPS e INA) assunse una dimensione solenne in spazi imponenti arricchiti da numerose forme di “arte di Stato”. Le ampie finestrature, le grandi vetrate, che caratterizzavano soprattutto le Case del Fascio e del Balilla intendevano rappresentare l’immagine della piena integrazione del fascismo nella vita sociale. Dall’esame degli edifici funzionali emerge, infine, la dimensione intensiva, di massa, particolarmente evidente nelle strutture dedicate all’infanzia: asili e colonie elioterapiche. Le misure tridimensionali di refettori, ricreatori e aule richiamavano una funzione pedagogica tesa a infondere i primordiali concetti della disciplina militare.

La politica architettonica costituisce uno dei più duraturi successi del fascismo, forse addirittura il più importante. Lo confermano la qualità delle costruzioni progettate e realizzate in quegli anni, le capacità professionali di molti dei suoi protagonisti, il disegno, sostanzialmente riuscito, di Mussolini e del fascismo di parlare ai contemporanei e ai posteri attraverso l’architettura. Indubbiamente la sopravvivenza di queste architetture, segni di un progetto interrotto di totalitarizzazione della società, pone ipoteche anche sulla memoria delle generazioni future. Come è stato notato, “molti italiani tornano a subire una rinnovata fascinazione per le città e i palazzi ‘costruiti dal duce’, che li introduce verso un giudizio tendenzialmente assolutorio nei confronti di un passato, in parte defascistizzato”[11].

http://rivista.clionet.it/vol1/dossier/architetture_tra_le_due_guerre/de-maria-interno-pubblico-nella-citta-del-fascismo

Avanti a tutta velocità

Sono appena finiti  i tradizionali festeggiamenti con cui le anime pie si illudono che qualcosa cambi in meglio semplicemente girando un foglio di calendario ed ecco, fresca fresca, una lettera del 2 gennaio 2015 (a riprova che il pubblico impiego, quando vuole funziona!) in cui si chiedono lumi all’amministrazione comunale di Vicenza riguardo a  Sito UNESCO “Vicenza e le Ville del Palladio nel Veneto” – Attraversamento del territorio vicentino della linea ferroviaria Alta Velocità/Alta Capacità Verona-Padova,  dopo che una missiva della prof. Francesca Leder, docente dell’Università di Ferrara e membro di OUT – osservatorio urbano-territoriale Vicenza, aveva segnalato il 30 dicembre scorso all’UNESCO la forte preoccupazione destata dal progetto ferroviario promosso dal Comune di Vicenza, dalla Camera di Commercio e sostenuto dal Ministero delle Infrastrutture.

Ulteriori spiegazioni e i documenti originali al link:

http://contropiano.org/ambiente/item/28395-una-tav-anche-sotto-le-ville-palladiane-venete