La glebalizzazione è servita!

Il tentativo di spazzare via il ceto medio, abbondantemente incoraggiato dai governi degli ultimi quindici anni, quasi tutti a guida Pd, va avanti a grandi passi. Ma il massimo è costituito da una apparente contraddizione: chi lavora, chi ha la fortuna di farlo, lavora sempre di più pur guadagnando meno. Il 50,6 per cento dei lavoratori interpellati, afferma che negli ultimi anni si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità. Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, 4 milioni che lavorano di domenica e nei giorni festivi, 4,1 milioni che lavorano da casa oltre l’orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni che lavorano oltre l’orario senza il pagamento degli straordinari.

Il tutto con un prezzo da pagare, anche in termini psicofisici: 5,3 milioni di lavoratori dipendenti provano i sintomi dello stress (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione), 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo, 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a se stessi (per gli hobby, lo svago, il riposo). Dati impensabili solo venti anni fa. L’ammonimento di Pound – “il tempo non è denaro, ma quasi tutto il resto” – sbatte nel capitalismo selvaggio e sempre più disumano del XXI secolo. I cui effetti, le cui storture passano quasi sottotraccia, quasi come un normale prezzo da pagare per lavorare, anche grazie a un sindacato ormai totalmente incapace di rappresentare le istanze del mondo del lavoro. E la glebalizzazione, per dirla con una riuscita espressione di Diego Fusaro, è servita.

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61569

Francia e privatizzazioni

Alla fine della seconda guerra mondiale, i servizi pubblici hanno ricevuto una spinta decisiva grazie alla paradossale alleanza tra le ali opposte della Resistenza francese, i comunisti e i gollisti. Il generale Charles de Gaulle, sebbene anticomunista, era il tipo di conservatore (vedi Bismarck) che capisce che la forza e l’unità di una nazione dipendono da un minimo di giustizia sociale. Nonostante l’opposizione aperta su molte questioni, gollisti e comunisti riuniti in un Consiglio nazionale unificato della Resistenza, che nel marzo 1944, adottarono un programma che richiedeva un’economia mista che unisce la libera impresa con la nazionalizzazione strategica e programmi di sicurezza sociale e diritti sindacali. Questo programma di giustizia sociale aveva gettato le basi per uno sviluppo economico straordinario, chiamato ” The Thirties of Glorious Thirty Years of Peace and Prosperity”. L’economia mista francese ha funzionato meglio del comunismo burocratico o del capitalismo proficuo in termini di libertà, uguaglianza e benessere umano. Nel marzo 1944, adottò un programma che chiedeva un’economia mista che combina la libera impresa con le nazionalizzazioni strategiche, così come i programmi di sicurezza sociale e i diritti sindacali. Questo programma di giustizia sociale aveva gettato le basi per uno sviluppo economico straordinario, chiamato The Thirties of Glorious Thirty Years of Peace and Prosperity. . È più difficile costruire qualcosa che demolirlo. Il colpo di stato neoliberista della Thatcher in Gran Bretagna ha prodotto la condanna a morte per i servizi pubblici statali e l’inizio dei giorni disonorevoli: la campagna persistente, ideologica e istituzionale, per distruggere lo stato sociale, i salari e per ridurre i benefici e, infine, per trasferire tutto il potere di decisione ai movimenti del capitale finanziario. Questo è chiamato neoliberalismo o globalizzazione. Questa controrivoluzione neoliberista colpì la Francia nei primi anni della presidenza del presidente socialista François Mitterrand, facendo sì che il suo governo cambiasse la sua politica e facendo rompere la sua alleanza del “programma comune” con i comunisti. Per nascondere il suo cambiamento anti-sociale, il Partito Socialista aveva cambiato il suo corso d’azione e ha optato per l’ “anti-razzismo” e la “costruzione dell’Europa” (cioè l’Unione Europea), presentato come il nuovo orizzonte del “progresso”. La preoccupazione dei lavoratori di mantenere il tenore di vita raggiunto negli ultimi decenni è stata descritta come “reazionaria”, in opposizione al nuovo concetto di competizione globale senza frontiere, definito quello il “progresso”. In realtà, la “costruzione europea” significava, in Francia come in Italia, in Spagna e negli altri paesi, la decostruzione sistematica della sovranità degli Stati membri, con la conseguente distruzione dei sistemi di protezione sociale rinforzati da sentimenti nazionali di solidarietà per i quali non v’è alcun sostituto nell’astrazione del mito chiamato “Europa”. Gradualmente, l’Europa è stata privata delle sue protezioni sociali e si ‘ aperta ai capricci di Goldman Sachs, della Gande Finanza e algli investitori internazionali dall’Arabia Saudita al Qatar.

https://www.controinformazione.info/la-tragedia-dei-ferrovieri-in-francia-il-significato-profondo-degli-scioperi-di-questi-giorni/

Assumete profughi!

Trento, 14 set – Non assumete italiani, preferite i profughi. Il messaggio agli imprenditori della Valsugana è arrivato forte e chiaro da parte di una coop che l’accoglienza dei migranti per conto della provincia autonoma di Trento. La Cinformi, infatti, secondo quanto riporta La Voce del Trentino che riferisce la testimonianza di un imprenditore a cui è toccata la pressione della cooperativa, contatta direttamente le aziende locali per fare in modo che inseriscano i loro profughi insistendo perché abbiano la precedenza sugli italiani. L’offerta che la coop fa agli imprenditori è allettante, una di quelle che quando viene proposta a lavoratori italiani spesso costringe il candidato a rifiutare perché non permette il sostentamento: uno stage gratuito per il primo mese e poi 400 euro al mese. Tutte le spese burocratiche sono a carico della cooperativa. Il datore di lavoro deve solo quindi formalizzare il contratto all’immigrato. Ma se l’imprenditore obietta che in questo modo vengono penalizzati quanti si affannano per trovare un lavoro la solerte cooperativa taglia corto e dice “la ricontatteremo”. Poi il nulla. Se una persona deve pagare affitto, bollette e le altre spese varie, con 400 euro mensili è impossibile arrivare a fine mese. Diverso è il caso se la proposta viene fatta a chi di spese non ne ha, né di vitto né di alloggio, come è il caso dei profughi accolti dalle varie cooperative, che ricevono soldi pubblici per il mantenimento di queste “risorse”. Inoltre le ore che la cooperativa chiede vengano lavorate sono 40 alla settimana, cioè un tempo pieno a tutti gli effetti. E dopo sei mesi il contratto di lavoro dovrà diventare a tempo indeterminato. Una prassi, quella della Cinformi, che è finita al centro di una interrogazione da parte di un consigliere provinciale, Claudio Civettini di “Civica Trentina”, che ha chiesto alla giunta trentina di sinistra di fare chiarezza, avanzando l’ipotesi di sistemi contributivi facilitati per quanto riguarda l’assunzione a qualsiasi titolo di profughi o presunti tali. Anna Pedri Fonte: Il Primato Nazionale Nota:  Se qualcuno nutriva ancora dei dubbi circa l’importante funzione delle migrazioni di massa nel fornire mano d’opera di riserva a basso costo per le grandi imprese e per le varie mafie, queste notizie confermano quanto da molto tempo andiamo sostenendo. Questo spiega in parte i grandi interessi che sono dietro le centrali che sospingono e promuovono le masse dei migranti verso l’Italia.

https://www.controinformazione.info/trento-assumete-profughi-non-italiani-la-coop-fa-pressioni-sugli-imprenditori/

Il corporativismo

*“Intervista sul corporativismo: la via sociale oltre la crisi dei vecchi modelli” di Gaetano Rasi. A cura di Mario Bozzi Sentieri Casa Editrice Eclettica, euro 16

In realtà il libro non è solo un testo economico-costituzionale perché – così come è intitolato – riporta una lunga intervista su quell’argomento rilasciata dal prof. Gaetano Rasi poco prima della sua recente scomparsa. Rasi era la persona più qualificata per rispondere alle precise domande ed ai quesiti sul tema posti dall’autore: egli infatti è stato sempre un cultore del sistema politico ed economico corporativo fin dalla sua giovinezza. Fu educato dal prof. Ernesto Massi, ideatore in Italia della geopolitica, geografo, matematico e politico organizzatore del gruppo di “Nazione Sociale”, teorico del corporativismo; s’impegnò attivamente nella politica nel Movimento Sociale Italiano divenendo dirigente nazionale e deputato; è stato cofondatore, insieme con Diano Brocchi che fu segretario generale aggiunto della Cisnal, della “Rivista di Studi Corporativi”; ha organizzato l’Assemblea Nazionale Corporativa indetta dal Msi nel 1974; è stato direttore dell’Istituto di Studi Corporativi.

Bozzi Sentieri fa precedere questa “Intervista sul Corporativismo” da un ampio e completo excursus storico della materia che inizia dall’epoca romana e dal medioevo, si sofferma  sullo scioglimento delle corporazioni di arti e mestieri da parte della rivoluzione borghese francese del 1789, esamina le proposte per un nuovo corporativismo enunciate nell’ottocento da studiosi di origine cattolica, nazionalista e socialista-comunitaria, manifestate con l’enciclica papale “De rerum novarum”, con le iniziative dell’”Action Française”  e con gli scritti di Lassalle e Proudhon.

Ma il pieno sviluppo dell’idea corporativa si attuerà in Italia per effetto  delle indicazioni di nazionalisti come Corradini, le intuizioni dei sindacalisti rivoluzionari come Corridoni ed i fratelli De Ambris, l’elaborazione costituzionale della “Carta del Carnaro” di D’Annunzio a Fiume occupata. Venne poi il Fascismo a dare soluzioni organiche e costituzionali al sistema corporativo con la “Carta del Lavoro” del 1927, l’istituzione formale delle Corporazioni nel 1930, la trasformazione del Parlamento in “Camera dei Fasci e delle Corporazioni” nel 1939. Passando attraverso il Convegno di Ferrara del 1932 in cui Ugo Spirito teorizzò che la corporazione divenisse “proprietaria” delle aziende. Vi fu infine l’esperienza della Repubblica Sociale Italiana dove si tentò, con la legge sulla “socializzazione”, d’introdurre il corporativismo nelle aziende.

Nel dopoguerra, molti corporativisti – divenuti esponenti politici della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista, come Amintore Fanfani e lo stesso Ugo Spirito – cercarono di far proseguire, nel nuovo sistema democratico-parlamentare, gli aspetti positivi di quel sistema e qualche traccia si trova nella Costituzione Repubblicana, ad esempio l’istituzione del CNEL e l’articolo 46 sulla partecipazione. Ma, successivamente, per i concomitanti effetti del prevalere della partitocrazia per cui tutte le attività politiche, sociali ed economiche dovevano essere determinate dai partiti politici, del rafforzamento su base classista dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali, della divisione ideologica della Nazione indotta dalla divisione dell’Europa con la cosiddetta “guerra fredda”, ogni spunto di tipo corporativo venne meno ed anche le indicazioni della Costituzione rimasero prive di attuazione.

Vi fu una pallida imitazione dal 1993 al 2011 quando, dinanzi all’emersione di una forte crisi politica, fu attuato il metodo della “concertazione” di tipo triangolare tra le Parti Sociali ed il Governo, avviato dal governo di Carlo Azeglio Ciampi e proseguito con i governi di Silvio Berlusconi e Romano Prodi, e definito da taluni “neocorporativo”: ma l’imposizione al governo di Mario Monti, espressione del liberalismo europeista, interruppe anche quell’esperienza che pure qualche frutto positivo aveva dato.

estratto da http://www.barbadillo.it/68047-libri-intervista-sul-corporativismo-di-gaetano-rasi-e-la-via-sociale-alla-modernita/

I nuovi poveri

Der Spiegel, 14 novembre 2016

È in costante crescita il numero di cittadini europei che, nonostante abbiano un impiego a tempo pieno, sono a rischio povertà. Queste sono le conclusioni di un recente studio del “Social Justice Index 2016”, finanziato dalla Fondazione Bertelsmann. Lo scorso anno questa percentuale è salita al 7,8 per cento. Ciò significa che milioni di persone nell’UE sono sottoposte a un reale rischio di povertà, pur potendo contare su un’occupazione a tempo pieno. Tre anni fa questa percentuale era del 7,2 per cento.

Anche se alcuni paesi dell’UE stanno mostrando una lenta ripresa rispetto alle conseguenze della crisi economica e finanziaria, lo stesso non si può dire dell’impatto che i mutamenti del mercato del lavoro hanno avuto sulla vita delle persone. Sulla base di 35 criteri, i ricercatori di “Social Justice Index” analizzano ogni anno sei aree di studio, tra cui povertà, istruzione, occupazione, salute e giustizia intergenerazionale.

Secondo il documento, un cittadino europeo su quattro è alle soglie della povertà o a rischio di una qualche forma di esclusione sociale: in totale si parla di oltre 118 milioni di persone. Per i ricercatori le ragioni vanno ricercate in particolare nella crescita dei settori a basso salario.

L’aumento dei cosiddetti “lavoratori poveri”, ovvero delle persone con un’occupazione ma a rischio di povertà, preoccupa moltissimo gli autori della ricerca. “Una crescente percentuale di persone alle quali non basta un lavoro per vivere è qualcosa che mina l’intera legittimità del nostro ordine economico e sociale”, ha detto il Presidente della Fondazione, Aart De Geus.

Non è solo la povertà a essere identificata come una delle problematiche fondamentali in Germania, da parte degli autori, ma anche la scarsa permeabilità sociale prodotta dal sistema educativo. Il numero di persone che sono occupate a tempo pieno ma sulla soglia della povertà in Germania è aumentato dal 5,1% del 2009 al 7,1% del 2015. Questo pone la Germania al settimo posto in Europa, nonostante la Repubblica Federale sia la più grande potenza economica del vecchio continente. Il primo posto è occupato dalla Svezia, mentre il fanalino di coda resta la Grecia.

In particolare nell’Europa meridionale sono i giovani a rischiare di essere lasciati indietro. In UE il 27% dei minori (sotto i 18 anni) sono a rischio di povertà o esclusione sociale. In Grecia, Italia, Spagna e Portogallo addirittura un bambino su tre è a rischio di povertà.

http://vocidallestero.it/2016/12/01/der-spiegel-118-milioni-di-cittadini-europei-minacciati-dalla-poverta/

Non è un caso

Come fa giustamente notare Blondet il più recente attentatore diceva di vivere sotto Hartz IV, vale a dire l’ultimo aggiornamento delle misure della commissione tedesca sul lavoro:

L’ammontare originariamente previsto per la prestazione normale dell’ALGII secondo dichiarazioni di Peter Hartz era fissato a 511 Euro mensili e quindi largamente al di sopra del sussidio sociale. Inizialmente per gli indigenti che avevano esaurito il diritto all’indennità di disoccupazione veniva pagato un supplemento che nel primo anno di percezione della ALGII arrivava a 160 €, e nel secondo anno fino 80 €. Questo supplemento dal 1º gennaio 2011 è stato abolito completamente senza essere sostituito”.

In Italia abbiamo incassato il Job Act che non prevede sussidio alcuno (ma da noi si vive ancora in famiglia) ; oggi però è stato firmato un accordo tra governo e confindustria per inserire ” i rifugiati” nel lavoro.

Chissà cosa si urlerà da noi nel prossimo attentato “terroristico”?

L’opposizione “spettacolo”

In Francia anche oggi si sono svolte le proteste di massa contro le riforme del diritto del lavoro (la cosiddetta “la legge del Homri”) voluta dal Governo Hollande-Valls. Le proteste e scioperi continuano da circa due mesi. Nelle più grandi manifestazioni tenutesi sulle strade in tutta le principali città della Francia, hanno partecipato, secondo varie stime, da almeno 400 mila a mezzo milione di persone. Non succedeva dai tempi del ’68 parigino. Attualmente sono bloccate le più importanti aziende, i trasporti, buona parte dei servizi pubblici e persino le centrali elettriche. Il blocco delle raffinerie ha portato ad una carenza di carburante. I dipendenti in sciopero del NPP hanno bloccato le strade, sono bloccate le imprese di importanza strategica dell’industria della difesa. Si rende evidente la posizione del partito socialista contro i lavoratori All’inizio di quest’anno, il partito socialista al governo ha proposto di liberalizzare le leggi sul lavoro, in pratica una forma di “Jobs Act” alla francese: semplificare la procedura per il licenziamento dei lavoratori e costringerli a lavorare con più ore per meno salario.  Una forma di legalizzazione del lavoro precario in salsa francese. Una legge, dicono quelli del Governo, inevitabile per “essere al passo” con il mondo globalizzato. I datori di lavoro saranno ora in grado di aumentare l’orario di lavoro dei dipendenti e ridurre il pagamento degli straordinari. Il punto centrale del disegno di legge è quello di ridurre il costo del lavoro per causa della crisi economica. Si vuole nascondere Il problema paneuropeo Le proteste contro la legge anti-operaia dimostrano la crisi delle forze della sinistra in tutta Europa. Il presidente francese Francois Hollande è un tipico rappresentante della versione neo liberista della “sinistra europea”. A tal proposito, il fulcro della sua politica non è una lotta per i diritti di lavoro di classe e per la giustizia sociale, ma a favore della globalizzazione, del “progresso” e per la distruzione dei valori tradizionali (della famiglia, dell’individuo e dell’etica). Piuttosto che sostenere i diritti dei lavoratori, i socialisti francesi, come la maggior parte dei loro omologhi in Europa, si dedicano a sostenere i diritti dei i migranti, dei gay, dell’aborto libero, della educazione transgender, oltre agli interessi delle grandi imprese e dei potentati finanziari. Una tendenza comune in Europa come insegna l’esperienza italiana del PD di Renzi e soci. Durante la presidenza del Francois Hollande la disoccupazione in Francia ha raggiunto punte senza precedenti – più del dieci per cento (molto più del suo predecessore di destra – Nicolas Sarkozy, repubblicano). Ma alla fine di Gennaio Hollande è stato costretto a imporre provvedimenti di emergenza per causa della situazione economica nel paese, sullo sfondo di un grande disagio sociale in crescita. Le alternative al mondialismo neoliberista di Hollande Hollande e il Partito socialista al governo stanno rapidamente perdendo popolarità anche tra le forze di sinistra. L’incapacità di affrontare i livelli critici della disoccupazione, di difendere i diritti della classe operaia, di garantire la sicurezza del paese (gli attacchi il 13 novembre a Parigi), la totale subordinazione del Governo francese alla politica USA (sanzioni alla Russia) ed appoggio all’Arabia Saudita, tutti questi fattori mettono in dubbio la legittimità del partito socialista. Il consenso di Francois Hollande nel paese ha raggiunto un livello critico – il 14%. Tra gli esponenti della sinistra è venuto alla ribalta il leader del partito di sinistra Jean-Luc Mélenchon, che ha partecipato attivamente alle proteste. Egli sostiene l’opposizione alla legge sul lavoro per la tutela degli interessi della classe operaia francese e si è dichiarato per la revoca delle sanzioni contro la Russia ed è contro la politica pro-americana di Hollande. I rappresentanti dei liberali di sinistra, in particolare la “Nuova sinistra” e “Verdi”, che sono all’attenzione dei media, sono in realtà legati al finanziere George Soros, e stanno cercando di utilizzare le proteste a loro vantaggio. Hanno organizzato un movimento “Nuit debout” (la notte in piedi), simile a ideologia e sistema dell’organizzazione come “Occupy Wall Street”,  che sembra avere tutti i connotati di una “fake opposition”. Strategia del sistema: oscurare l’opposizione del Front National e la sua crescente popolarità (sottolineatura nostra)

Allo stesso tempo, si assiste ad un processo di “spostamento a sinistra” in campo economico, circa le regole tradizionali del Front National.  La leader del partito, Marine Le Pen, è oggi l’esponente politico più popolare del paese. Il suo rating il 30%. Dato che la probabilità di una ascesa dell’estrema sinistra è di fatto marginale, le possibilità di Mélenchon di arrivare al potere sono basse (ora la sua valutazione si trova alla pari con il presidente attuale), l’unica forza politica che può veramente proteggere gli interessi delle persone che lavorano, è il Fronte nazionale francese. Il Front National è anche l’unica forza che si batte per un cambio di paradigma della politica francese in relazione all’Unione Europea, con richiesta di uscita dal sistema euro, come anche in relazione alla politica estera del paese, con la proposta fatta dalla Le Pen di affrancare la Francia dalla subordinazione agli USA ed uscita dalla NATO. Queste posizioni sono però giudicate molto pericolose da vari analisti che prevedono la possibiltà di una coalizione di tutte le altre forze politiche, con il supporto di tutti i grandi media, per sbarrare la strada all’avanzata della Marine Le Pen ed il suo Front National. Una cosa è sicura: l’oligarchia economica che sovrintende al Governo Hollande-Valls non rimarrà inerte a guardare l’ascesa trionfale della Le Pen verso la Presidenza, proveranno tutti i marchingegni, leciti e non leciti, per fermare la sua corsa. Questo significa che si potrà assistere a campagne di diffamazione, come alla ripresa degli attentati terroristici per creare un clima di paura nell’opinione pubblica che favorisca una restaurazione dell’asse politico-economico oggi al potere.

L. Lago in http://www.controinformazione.info/la-sinistra-mondialista-in-francia-contestata-dal-popolo/

Globalizzazione

L’ offerta sensazionale è £ 5,99 per un paio di “jeggings” – leggings attillati che assomigliano ai jeans. L’etichetta parla di una “moda stile jeans”, in tessuto di cotone (77%), con elastico in vita; un solo bottone, una zip YKK, due tasche posteriori e due anteriori, cuciture senza rivetti. Niente ricami sulle tasche.

Tutto questo è importante. Ogni ulteriore dettaglio si aggiunge al prezzo del prodotto finito. La ripartizione dei costi in una fabbrica di jeans del Bangladesh pubblicata da Bloomberg nel 2013 indicava il prezzo di una cerniera a 10p, un bottone a 4p e i rivetti a 1p ciascuno. Ricamo aggiunto altri 9p, le tasche 6p e le etichette 7p. A questi margini, ogni singolo penny conta, quindi non è una sorpresa scoprire che i jeggings sono ridotti all’osso.

Ma il Boyfriend Jeans, a £ 7,99, sembra essere il vero affare: quattro tasche, più una strana piccola taschina all’interno della tasca anteriore destra (per un orologio, a quanto pare). Ha sei passanti per la cintura, cinque rivetti, tre bottoni e una zip YKK. Realizzato in cotone 100% , l’elemento più costoso del processo produttivo: da £ 2.30 a £ 2.50.

C’è anche da pagare il filo per le cuciture, che potrebbe fare al più 19p, e il prodotto finito dovrà essere lavato, quindi se stiamo cercando di fare un prezzo arriviamo probabilmente a £ 3.90.

Ora dobbiamo mettere insieme questi materiali. Fortunatamente – per l’acquirente – non è poi così costoso.

La maggior parte dei lavoratori nelle fabbriche di abbigliamento del Bangladesh sono donne e la maggior parte sono pagate al salario minimo di 5.300 taka al mese (circa £ 48). Fa 23p all’ora per otto ore, per sei giorni alla settimana. Si tratta di un quinto delle 230 £ al mese stimate dal Asia Floor Wage Alliance come il minimo necessario per un salario di sussistenza nel 2013.

Per ricavare con precisione il costo del lavoro, è necessario sapere quante paia di jeans si producono al giorno. I dati disponibili coprono una vasta gamma: la ricerca in India ha trovato dei lavoratori che in una fabbrica producevano in media 20 paia di jeans al giorno, mentre un altro studio in Tunisia ha trovato una produzione di 33 paia al giorno. Tutto dipende dalla qualità e complessità del disegno. Nel 2010 l’Institute for Global Labour and Human Rights ha esaminato il Bangladesh e ha trovato che una squadra di 25 operai sfornavano 250 paia di jeans all’ora – 10 per lavoratore, o 80 per lavoratore al giorno.

Ciò significa che il salario minimo dovrebbe stare in un range compreso tra 2p e 9p per ogni paio di jeans prodotti, che è sostanzialmente in linea con uno studio del 2011 sulla produzione di abbigliamento in Bangladesh della società di consulenza statunitense O’Rourke Group Partners, che prezzava il costo del lavoro per una polo a 8p.

O’Rourke ha posto i costi totali di fabbrica per la camicia a 41p: Bloomberg ha calcolato che i suoi jeans del Bangladesh costano 56p alla produzione, più 16p di profitto.

Arriviamo a circa 4,50 £. Ma abbiamo ancora bisogno di spedire i jeans, e non ci sono spese di magazzino e tasse portuali, quindi possiamo metterci altri 30p, arrivando fino a £ 4.80. E abbiamo ancora bisogno di trasportarli dal porto al negozio, quindi sono altri 50p. Questo ci dà £ 5.30, ma per finire c’è ancora l’IVA.

Il totale complessivo di £ 6.36 gonfierebbe il bilancio per i jeggings, ma basta usare un po’ meno materiale, ed ecco risparmiato qualche soldo sui bottoni e i rivetti. Questo renderà più veloce la lavorazione, così che scenderà un po’ il costo del lavoro. Potrebbe quasi essere possibile portarli a £ 5,99 o possono anche guidare il mercato in perdita: cosa che accade. I jeans, comunque, mostrano un profitto di £ 1.63.

Ma è qui che viene fuori il potere d’acquisto di Lidl, perché sia i jeggings che i jeans sono importati da intermediari, che vendono al supermercato – rispettivamente OWIM Gmbh, società tedesca, e Top Grade International Enterprise Ltd con sede a Hong Kong, che esportano 30 milioni di pezzi all’anno dal Bangladesh. Sia l’uno che l’altro devono subire dei tagli. Nell’esempio di Bloomberg, l’intermediario ha subito un taglio di £ 2. Qui è chiaramente fuori questione se Lidl stesso ne ricavi un utile. E questa è la realtà di un paio di jeans da £ 5.99: tutti sono spremuti, su tutta la linea.

Nota: Il costo di un paio di jeggins in euro è di circa 7,50; la retribuzione per l’operaia: 23 pence=29 centesimi di euro/ora

http://vocidallestero.it/2016/03/16/come-che-lidl-vende-i-jeans-a-5-99-facile-pagando-la-gente-23-pence-allora/

Conflitti sindacali e teoria dei giochi

L’esempio che vorrei portare alla vostra attenzione è un qualcosa successo nella città nella quale sono cresciuto, Terni, in merito all’azienda che da sola rappresenta/ava il 20% del PIL dell’Umbria.

Brevemente, la proprietà, dopo la svendita I.R.I. di Prodi, è tedesca, Thyssenkrupp, e come in ogni altro settore, la multinazionale arriva in Italia, fa i soldi fintanto che li fa, magari li fa proprio perché non investe o sposta ammortamenti o costi vari ad esercizi futuri (ma questi sono discorsi puramente contabili), e pian piano smobilizza in Italia e sposta tutto (know how, impianti e lavoro) nella nazione di origine o dove la mano d’opera costa meno. Il solito, insomma. In realtà a Terni ci si è messa anche l’Antitrust a togliere speranze all’Italia, rendendo nulla la cessione ai finlandesi Outokumpu (non entro nel merito della decisione; mi limito a constatare che è andata a vantaggio della Germania).

Per farvi un quadro generale della matrice che si stava giocando tra azienda e lavoratori vi dico solo che arriva un nuovo A.D., la Sig.ra Morselli, nota “liquidatrice di grandi Società”. La richiesta dell’azienda è licenziare 500 lavoratori e diminuire le produzioni (che porterà nel lungo periodo ad ulteriori ridimensionamenti). Ovviamente, i lavoratori fanno muro, dato che, considerando anche l’indotto, si sta scegliendo di chiudere una città, forse una regione e, dal punto di vista Italia, di comprare l’acciaio ancor di più dall’estero. La matrice può essere così riassunta:

Se ragionate come sopra, avrete un equilibrio nel riquadro D1 o, al più, nel riquadro A1 (entrambe le parti non cedono o, al più, entrambe cedono), ci saranno comunque dei licenziamenti, ma la città sarà salva, saranno salve le produzioni e il lungo periodo. Ma il gioco non è statico, si evolve. Alla collettività converrebbe porsi nel riquadro C1, e per far ciò dovrebbe intervenire lo Stato, ma lo Stato non può e non vuole, quindi si rimane nel riquadro D1. La Thyssenkrupp, dal canto suo, vorrebbe posizionarsi nel riquadro B1, per chiudere o giù di lì, e per far ciò deve “far cambiare atteggiamento ai lavoratori”, deve abbattere il muro compatto, deve renderli più adattabili alla produzione. Come si fa? Facile, ci si inventa un gioco, un gioco nel gioco, con il silenzio assenso di tutte le parti in causa, in cui la Sig.ra Morselli sta a guardare ed i giocatori sono i lavoratori, gli uni contro gli altri. Vengono offerti circa 80.000,00 € a chi accetta di andarsene volontariamente. Ma solo ai primi 350. Quindi ci saranno, nelle intenzioni dell’azienda, anche 150 persone che se ne andranno senza nulla. Per precisione, si è partiti da una cifra più alta che pian piano si è abbassata, così come è vero che la cifra era base ma poteva essere contrattata dal singolo lavoratore. Quindi dico 80.000,00 € per semplicità, ma anche qui la contrattazione “personale” è stata inserita, così come la discesa dell’offerta all’aumentare dei lavoratori che accettavano conferma che trattasi di gioco. Infatti, più lavoratori accettano, meno necessità c’è di incentivare, dato che l’incentivo ad accettare deriverà dal semplice vederlo fare agli altri, vedere la protesta smontarsi e i 350 “posti” diminuire. Questa è la matrice del nuovo gioco:

Per collegarci alla prima matrice, notiamo che l’unica combinazione del nuovo gioco che non modificherà l’equilibrio in D1 sarà il riquadro D2 (nessuno accetta gli 80.000,00 € e la protesta rimane coesa). Nel momento in cui, però, i “propensi ad accettare” accetteranno, e lo faranno perché la loro strategia dominante è accettare, la protesta si smonterà, ed automaticamente, nella prima matrice, i lavoratori passeranno dal “LOTTA” al “CEDE”, e l’equilibrio dal riquadro D1 al riquadro B1. La Thyssenkrupp ha raggiunto ciò che voleva. Il costo è stato infinitesimale rispetto al loro fatturato. Fine del gioco.

Ricapitoliamo la situazione.

C’è un’azienda che vuole licenziare 500 persone, e i mass media, un po’ per terrorizzare, un po’ a ragione a causa di “Aiuti di Stato” resi illegittimi dalla cooperativa UE e tutto ciò che sappiamo, mancanza di SOVRANITA’ POLITICA in due parole, danno per certo che comunque vada, sia che il singolo lavoratore accetti la buonauscita, sia che non lo faccia, i licenziamenti ci saranno (cioè afferma che l’equilibrio nella prima matrice è B1, non D1). Si spargono le voci, e si sa chi è “l’ultimo entrato”, c’è sempre un ultimo entrato dato che è un concetto relativo, come c’è sempre chi ha necessità, oggi in particolar modo. Quindi ci sarà chi penserà “bhè, me ne vado con 80.000,00 €, meglio di andarsene con un pugno di mosche, tanto qualcuno che li accetterà ci sarà, e di “posti” ce ne sono solo 350!”. Una cosa abominevole. E non parlo del ragionamento dell’impiegato che li accetta, ma di chi pone l’impiegato dinanzi ad una decisione talmente razionale da non credere che si stia parlando di rapporti tra colleghi, di coesione al fine di salvare la fonte di reddito della loro vita. Rompendo la coesione del mondo del lavoro, non solo i lavoratori hanno perso la battaglia, ma si è aperta un’ulteriore ferita sul fianco dell’azienda, l’ennesimo ridimensionamento; ormai la strada è irrimediabilmente in discesa, se non cambia l’Italia.

Questa si chiama teoria dei giochi, ed in questo caso è stata usata contro la collettività, a differenza di come fecero Kennedy e Krusciov, non per il perseguimento dell’efficienza paretiana, ma del mero profitto, non della cooperazione, ma della competizione, nella fattispecie tra lavoro e capitale.

Le 500 unità in meno volute si sono raggiunte grazie a pensionamenti e dirigenti sprovvisti di garanzie. Il governo, noi, da parte sua, nostra, non solo non ha vietato la “proposta indecente”, ma l’ha resa ancora più “allettante”, mettendo sul piatto 2 anni di mobilità e, come sempre e purtroppo oggi giorno, il breve periodo ha vinto sul lungo periodo, l’individualità ha vinto sulla collettività. Alla fine l’azienda è arrivata ad una diminuzione di personale maggiore di quella paventata e tanto combattuta fino al giorno della “proposta indecente”, senza licenziare nessuno, senza sembrare colonialista e con garbo, ci mancherebbe. E’ teoria dei giochi baby!

E’ andata talmente bene alla Thyssenkrupp che già si paventa una riproposizione dello stesso gioco, si partirà da una base di 120.000,00 € (è la nuova cifra di equilibrio per far cedere i lavoratori, più alta perché manca la mobilità ma non il doppio perché tanto il muro compatto non c’è più), con l’intento di dimezzare il personale dell’azienda per poi venderla meglio. Si chiama teoria dei giochi ma usata così è uno stillicidio, di gioco non ha nulla.

Mentre la Sig.ra Morselli sa sicuramente di cosa parlo, mentre la Sig.ra Guidi dovrebbe sapere di cosa parlo, i lavoratori non sanno assolutamente di cosa parlo, non è giusto.

Tutto ciò, però, è perfettamente aderente all’attuale pensiero di quale direzione debba prendere il gioco tra lavoro e capitale, ergo, verso una contrattazione sempre più personale. La storia che la nostra individualità verrà risaltata da una contrattazione strettamente privatistica è falsa, la realtà, quella che conta, è che si cambia gioco, e che il potere contrattuale dei lavoratori è irrimediabilmente annullato.

Oltre al fatto imprescindibile che in questo gioco lavoro-capitale, lo Stato dovrebbe essere il soggetto che, nel momento in cui i giocatori hanno nelle loro matrici degli equilibri di Nash non Pareto efficienti, dovrebbe intervenire, indirizzando l’equilibrio verso il riquadro migliore per la società. Oggi invece si lasciano i giocatori agire, e i giocatori, avendo una visione limitata o distorta della questione, non possono scegliere il meglio per la società. Se Nash ha vinto il premio Nobel per ciò un motivo ci sarà, precisamente l’ha vinto perché ha dimostrato che ci sono degli equilibri che sicuramente si raggiungeranno anche in giochi non cooperativi, in cui i giocatori non si parlano. Il problema è che tale nozione andrebbe usata per il benessere collettivo, perseguendo comunque e sempre la Pareto efficienza per la collettività, e non il mero Equilibrio di Nash, anche quando avvantaggia solo taluni e non la società.

Ma non è un caso se lo Stato non è intervenuto, come non è un caso che si voglia togliere potere contrattuale ai lavoratori al grido che la contrattazione tendente al personale esalterà il lavoratore stesso. Non esalterà proprio nulla, ma disintegrerà i diritti, deflazionerà il lavoro per mancanza di potere contrattuale e di organizzazione.

In merito all’organizzazione bisognerebbe scrivere un articolo apposito, ma la qualità dei sindacati come le malsane idee di “sindacato unico”, credo che contino più di mille parole per attestare l’obiettivo di annullare tale capacità organizzativa, lasciando il lavoratore solo con se stesso.

Così come bisognerebbe scrivere un articolo apposito su tutte le normative che minano il potere contrattuale dei salariati.

Per esempio, nel TTIP, c’è la clausola ISDS, che permetterà alle multinazionali di far causa agli Stati che oseranno difendere il lavoratore! Quindi, tra un po’, anche se il governo vorrà intervenire, dovrà risarcire i danni alla multinazionale, e non interverrà. E il lavoratore sarà sempre più solo con se stesso.

Per esempio, a livello di contrattazione collettiva, e dopo solito “consiglio” europeo, che tutto è tranne un pensiero da buon padre di famiglia, è qualche anno che l’orientamento sta cambiando, ponendo la contrattazione di secondo livello (quella aziendale, tra i lavoratori di un’azienda e la sua proprietà), come preponderante rispetto alla contrattazione collettiva nazionale (quella tra le parti sociali a livello nazionale). E secondo voi, per quante critiche possiamo muovere ai sindacati oggi, avrete più potere contrattuale voi da soli o un sindacato nazionale?

Evitando ulteriori esempi, ma analizzando la visione generale, notiamo che mentre la nostra Costituzione pone la Repubblica Italiana fondata sul lavoro (lato della domanda), e la proprietà privata ammessa ma con funzione sociale (lato dell’offerta), l’UE vede il lavoro come adattabile alla produzione (lato della domanda) e la proprietà pubblica da abolire perché avente funzione sociale (lato dell’offerta), anche se la scusa è la faccia negativa della medaglia, cioè “non abbastanza competitiva”. E quale miglior struttura di contrattazione tra lavoro e capitale può cavalcare l’onda dell’adattabilità alla produzione se non quella personale?

Trattati e Costituzione, finiamo sempre lì. Lavoro adattabile da un lato, Repubblica fondata sul lavoro dall’altro, sono visioni diverse. La visione è diversa perché da un lato abbiamo competizione tra i cittadini, dall’altro abbiamo cooperazione tra i cittadini. E’ UE e non Italia, è Mercato e non Stato.

Per concludere e farvi capire che, da ogni punto di vista, il risultato auspicabile rimane sempre la cooperazione, analizziamo cos’è lo Stato, non istituzione ma insieme di persone, nella teoria dei giochi. Lo Stato, al primo bivio, quello tra giochi ripetuti (si gioca per enne volte, si può collaborare) e immediati (si gioca una sola volta, chi vince vince, si è spinti alla competizione) è un gioco ripetuto.

I giochi ripetuti, a loro volta, si differenziano in giochi finiti e non finiti.

I giochi finiti, anche se reputi, hanno lo stesso equilibrio dei giochi immediati, e questo perché, se i giocatori sanno che il gioco finirà, compiranno come penultima mossa la stessa che compirebbero all’ultima (competere, è l’ultima mossa, non ha senso collaborare). Così, procedendo a ritroso, i giocatori, se hanno certezza che il gioco è finito, compiranno la stessa scelta che compirebbero se il gioco non fosse ripetuto, ma immediato.

I giochi non finiti, invece, per definizione, raggiungono il loro equilibrio Pareto efficiente quando i giocatori collaborano ed il loro stesso equilibrio è generalmente spinto verso la cooperazione. Lo Stato è un gioco ripetuto e non finito tra i cittadini. Essi dovrebbero collaborare.

Ma c’è un problema, la cooperazione dura finché c’è FIDUCIA. Il segreto per cooperare nei giochi ripetuti e non finiti è la fiducia. E come si fa a mantenere alta la fiducia tra individui che non si parlano? Sempre la stessa risposta, lo Stato, questa volta istituzione – lo Stato deve apportare e mantenere intatta tale fiducia, deve fungere da collante tra i tanti giocatori chiamati cittadini.

Stare a guardare non è un atteggiamento costruttivo. Speriamo in uno Stato che ritorni ad essere arbitro di noi stessi.

estratto da http://www.appelloalpopolo.it/?p=13667