“Un caso sospetto di coronavirus a scuola impone la chiamata immediata alla centrale operativa del 118, il triage telefonico, l’invio di un mezzo di soccorso dedicato e il test rapido. In classe durante le lezioni gli studenti si proteggeranno con la visiera para-droplets e indosseranno la mascherina solo quando il distanziamento sarà impossibile.
[…]
Quando l’equipaggio del 118 arriva a scuola provvede, nella stanza dedicata al temporaneo isolamento dei casi sospetti, alla rilevazione dei segni vitali, alla valutazione clinica complessiva del soggetto (eventualmente inclusiva di ecografia polmonare) ed alla effettuazione di test rapido molecolare mediante tampone naso-faringeo. Se non si dispone di tecnologia in grado di effettuare diagnosi in loco, il tampone viene portato nel laboratorio dell’asl competente con obbligo di risposta entro 120 minuti. In caso di riscontro positivo alla infezione, il 118 provvederà ad accompagnare in condizioni di elevato biocontenimento, la persona positiva al proprio domicilio se asintomatico o paucisintomatico (nel caso di uno studente eventualmente insieme con il genitore) o al trasporto protetto in ospedale Covid se è sintomatico «maggiore».
Dai precedenti articoli sulla riforma dell’insegnamento dell’educazione civica nonchè dalla secretazione degli atti sulla pandemia è evidente che il sistema scolastico si farà garante della corretta informazione e della repressione di chi non si adegua.
Con la riforma che introduce la nuova educazione civica obbligatoria (legge 20 agosto 2019 n. 92) è stato ufficialmente creato uno straordinario ulteriore veicolo di propaganda. Sfruttando una etichetta familiare associata nel comune sentire a un significato buono e a un insegnamento edificante si introdurrà, di fatto, tutto il pacchetto di dogmi del vangelo globalista.
La nuova materia scolastica condivide solo il nome di battesimo con la vecchia educazione civica che era abbinata alla storia e riguardava i rudimenti del diritto costituzionale (forma di governo, poteri dello Stato, organi istituzionali): quel contenitore sarà riempito di tutt’altro contenuto, e si materializzerà in un polpettone ad alta carica ideologica.
Quanto all’insegnamento della Costituzione, dal ministero ci spiegano che «l’obiettivo sarà quello di fornire a studentesse e studenti (rigorosamente così declinati) gli strumenti per conoscere i propri diritti e doveri, di formare cittadini responsabili e attivi che partecipino pienamente e con consapevolezza alla vita civica, culturale e sociale della loro comunità». I soliti ingredienti buoni per tutte le ricette della nuova pseudo-etica mondialista. Che la Costituzione, che è una legge positiva, sia scritta in un linguaggio tecnico (com’è quello giuridico) e che la sua comprensione richieda quantomeno una conoscenza, da parte di chi la insegna, delle categorie corrispondenti, al legislatore à la page, quello che verga capolavori come la “buona scuola”, non passa nemmeno per la testa. Per lui la Costituzione è un simpatico manualetto delle giovani marmotte, buono per tutte le età e per tutte le stagioni.
Quanto invece allo sviluppo sostenibile, «alunne e alunni (rigorosamente così declinati) saranno formati su educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio, tenendo conto degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU. Rientreranno in questo asse anche l’educazione alla salute, la tutela dei beni comuni, principi di protezione civile».
Tutto ruota, appunto, intorno a quella Agenda ONU 2030sullo sviluppo sostenibile alla quale i vari fu ministri della fu pubblica istruzione si sono tutti votati con inusitato trasporto. Già la signora Fedeli – che ora siede nel CdA della Fondazione Agnelli e da lì può continuare con profitto la sua opera su quella scuola da lei non troppo frequentata – aveva stanziato qualche centinaio di milioni di euro per il potenziamento della educazione alla cittadinanza globale all’interno della Agenda 2030, statuendo con solennità degna del tema che «l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite impegna tutte e tutti (rigorosamente così declinati) a correggere la rotta dello sviluppo […] Ci impegna a farlo non in un orizzonte nazionale, ma in un’ottica globale. Ci ricorda che, ben prima di essere cittadine e cittadini (rigorosamente così declinati) di una nazione, siamo cittadine e cittadini (ancora) del mondo. Questo investimento è un passo importante verso l’obiettivo di fare del sistema di istruzione uno dei principali agenti di cambiamento per la realizzazione degli obiettivi della Agenda 2030».
Quanto infine alla«cittadinanza digitale», la locuzione parla da sé.
Quella di cui sopra, dunque, sarà la desolante cornice che connoterà insegnamenti e apprendimenti nella scuola che verrà, per ogni suo ordine e grado, ovvero dai tre anni in su, secondo la nota filosofia del Life Long Learning (cioè TreeLLLe). E sarà una nuova autostrada di accesso per una pletora di «esperti» esterni, personaggi senza arte né parte ma organici al sistema, a libro paga del contribuente, con licenza di entrare nelle classi e pontificare la propria «esperienza» rapinando ore alle materie curricolari (insegnanti, vi va bene così?).
L’emergenza sanitaria oggi è il pretesto per consolidare un impianto già steso da decenni grazie a un’opera sistematica di annientamento culturale e di demolizione identitaria e per renderlo coercitivo, senza via di scampo, attraverso un nuovo potente ricatto sociale e terapeutico.
La domanda stessa è sbagliata: non c’è nessuno per cui votare. Il punto è che non abbiamo una classe dirigente. Meglio: la società italiana non sa e non vuole darsi una classe dirigente; essa esiste, ma la società non la riconosce quando la vede, e non la vota. Io stesso mi sono illuso che questa inedita alleanza 5Stelle e Lega potesse esprimere una classe dirigente: i 5 Stelle palesemente non sanno nemmeno cos’è, quindi non hanno fatto “selezione delle elites” – e Salvini palesemente non è all’altezza intellettuale che la crisi post-moderna esige e i trucchi sporchi che i poteri costituiti stanno giocandoci; anche se ce lo dobbiamo tenere caro, perché se sparisce lui, vanno al potere i puri e semplici collaborazionisti e traditori.
Se mi chiedo come va formata una classe dirigente – ossia responsabile verso la comunità (la patria) e insieme all’altezza culturale dei tempi – mi vengono in mente esempi della storia di grandi popoli.
Pietro il Grande (1672-1725) si accorse che la Russia non aveva una classe dirigente all’altezza dei tempi, e brutalmente impose l’occidentalizzazione, deformando forse per sempre l’anima russa. E soprattutto negli aspetti tecnologici, avendo sperimentato che l’arretratezza russa portava sconfitte militari: non a caso Toynbee lo definì “homo occidentalis mechanicus neobarbarus”. Ma trasformò i boiardi in una burocrazia militare e nazionale.
E nei suoi viaggi tra Amsterdam e Londra e Vienna, onnivoro e insaziabile volle vedere e studiare la zecca di Londra, gli ospedali, l’università; matematica e anatomia e chimica, strategia e (soprattutto) nautica militare: è celebre il fatto che lavorò in incognito, operaio fra gli operai, in un cantiere navale olandese: operazione che i dirigenti grillini desiderosi di “decrescita felice” farebbero bene ad imitare, e la Confindustria ad offrire loro in una serie di visite guidate alle superstiti industrie del Nord – per metterli al corrente delle complessità che ignorano.
Gli olandesi hanno elevato un monumento allo zar operaio navale.
Il Giappone si accorse, dopo l’intervento delle cannoniere dell’ammiraglio Perry (1853), che per mantenersi indipendente e sovrano doveva imparare dall’Occidente come farsi armi moderne, una base industriale, e non solo; anche armi culturali e giuridiche. “L’antico ordine sociale venne rovesciato e si elaborò un nuovo diritto, che aprì la strada alla costituzione di un’organizzazione capitalistica della produzione. Le corporazioni furono soppresse nel 1868. I samurai furono autorizzati a dedicarsi alle attività commerciali, i contadini venivano trasformati in proprietari. I samurai furono dapprima presi a carico dallo Stato”.
Centinaia di giovani nobili furono spediti all’estero con l’ordine di apprendere non solo le tecniche, dalle industrie alle ferrovie, ma le istituzioni e il diritto commerciale dell’Europa; essi dovevano farsi imprenditori – imprenditori-guerrieri, patrioti.
Allo stesso modo, la Turchia per diventare moderna andò a scuola della Prussia. E in Italia? Mi basti citare il ministro dell’Istruzione Giovanni Gentile: il suo liceo classico – con la sua severità che faceva da selezione e sbarramento al facilismo italiota – mirava coscientemente a creare una classe dirigente capace di “imparare ad imparare” ed assumersi le responsabilità verso una nazione di cui (attraverso il latino e il greco) conosceva la profondità e il prestigio storico. Chi parla di studi “umanistici” non sa quello che dice: tutti i tecnici e scienziati, da Marconi ad Italo Balbo a Fermi o Federico Caffè, vengono da “studi classici”. Le scuole tecniche sono utili anzi necessarie, ma semplicemente non a formare una classe dirigente.
Va detto che il papa emerito Benedetto XVI ha cercato di porre qualche rimedio, fondando nel 2012 la Pontificia Academia Latinitatis, la cui missione è favorire “la conoscenza e lo studio della lingua e della letteratura latina, sia classica sia patristica, medievale e umanistica, in particolare presso le istituzioni formative cattoliche, nelle quali sia i seminaristi che i sacerdoti sono formati e istruiti, nonché promuove nei diversi ambiti l’uso del latino, sia come lingua scritta, sia parlata”. Senza contare il motu proprio Summorum Pontificum sulla “messa in latino”, che nonostante la diffusione popolare trova un’assurda avversione da parte di vescovi e clero diocesano.
L’avversione al latino è diffusa anche nella società incivile. Ci ritroviamo tentativi, ormai in procinto di andare in porto, di sopprimere il liceo classico, mentre si inventano cosiddetti licei scientifici senza latino. Per lo meno non li chiamino licei. E si vergognino pure. La classe politica si sa, è quello che è. Non possiamo pretendere che riconoscano il valore di qualcosa che non immaginano (qualche luce nel buio c’è, vedi recente tentativo dell’onorevole Frassinetti in commissione cultura al riguardo) e dunque lo studio dei classici finirà appannaggio di ristrette Accademie elitarie. Con buona pace dell’ascensore sociale. L’ascensore può anche scendere, d’altronde.
L’istruzione, secondo lo spirito contemporaneo, deve essere solo utile. Gli studenti devono studiare in inglese, neanche in italiano, non sia mai. Il risultato non è altro che una lezione frontale impoverita, condita da ridicolaggine. Recentemente mi ritrovavo in treno vicino a studenti che studiavano in inglese. Stando attento mi sono accorto che studiavano diritto costituzionale italiano. In albionico. E i licei dove si studia letteratura italiana in inglese chi li ha partoriti? Tutto già visto, intendiamoci, attraverso i secoli. Già il Salsicciaio di Aristofane, nei Cavalieri, faceva il verso ai tecnocrati (che oggi sono pure esteromani).
La scuola deve essere solo utile per trovare lavoro. Lavoro, che peraltro non c’è, quindi potremmo quasi concludere che la scuola non serve, dunque chiudiamola come diceva Prezzolini, ma vabbé, non esageriamo. Dunque troviamo un’occupazione a questi benedetti figliuoli, mandiamoli a fare i programmatori.
Consiglio numero uno di un certo numero di esperti del settore, per diventare buoni programmatori. Fare versioni di latino. Programmare in un qualsiasi linguaggio (C, Java… decidete voi) è un’operazione logica identica alla traduzione dal latino. Oibò. Mi prendi per il naso? No mio caro, anche fare gli integrali è operazione simile. Ordunque pensare latino e pensare matematico è la stessa cosa?
Andiamo avanti. Il latino non serve, dicono lorsignori. Costa fatica diciamo, noi. Bisogna chinare la gobba. Diceva il buon Gramsci che si deve insegnare il latino, assieme al greco, per insegnare alla gente come studiare e come elevarsi. “Se si vogliono allevare anche degli studiosi, occorre incominciare da lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno”. Qui forse casca l’asino. Il popolo deve essere bue, per portare il giogo.
Nella Chiesa qualcuno prova a salvare la situazione, recuperando liturgie e testi della tradizione, con grave fatica e scorno, poiché ad oggi sembra che l’ignoranza sia motivo di vanto dalla più piccola parrocchia alla più grande diocesi (d’altronde, meglio non aprire il vaso di Pandora parlando dei pessimi e improvvisati chitarristi che mal sopportano “l’esibizione” dei professori d’organo) e dunque dimostrare di non sapere niente diventa motivo di promozione. http://www.barbadillo.it/75963-la-riflessione-dalla-scuola-alla-chiesa-chi-ha-tradito-il-latino-ha-tradito-se-stesso/
Allora provate a proporre la riforma della scuola, che palesemente occorre: il ristabilimento della disciplina, la polizia che arresta il ragazzo che osa tirare il cestino o un preservativo su un insegnante, o intimidirlo in modo subdolo , perché i professori hanno lo status di pubblici ufficiali; provate a proporre durezza dei programmi e severità e bocciature; provate a proporre – ad esempio – l’uniforme scolastica, essenziale per insegnare ai ragazzi “l’uguaglianza di fronte alla legge”, perché nega le diversità basate sul reddito, il lusso del vestiario, la moda costosa, essenziale elemento educativo vigente in tutti i paesi ambiziosi di civiltà.
Provate, e vedete cosa succede. Ve lo dico io: Repubblica, l’Espresso, Il Manifesto, le tv progressiste, RadioRAi 3, i grandi intellettuali alla Saviano, i talk shows più avanzati, sarebbero tutti mobilitati contro “l’autoritarismo” scolastico, e il “bigottismo”, l’insopportabile “peso sociale” che si vuole esercitare sui “nostri figli”. Persino gli insegnanti sarebbero contro la divisa scolastica, perché sono progressisti anche loro. Insomma è impossibile rettificare queste patologie.
La conclusione è: occorre fare la secessione. La secessione dai genitori del Liceo Virgilio. Una secessione difficile perché non ha confini geografici certi, e i mascalzoni con cui non vogliamo avere a che fare sono accanto a noi, più spesso sopra di noi, e educano al male coi loro cattivi esempi, le loro leggi e normative “permissive” che riducono le nostre scuole a agenzie diseducative, e i nostri figli a farabutti sporcaccioni e ameboidi, senza cultura e senza testa.
Per il momento la secessione la dobbiamo fare dentro di noi. Prendo qui un’idea dell’economista e sociologo Charles Sannat, che ho avuto occasione di citare: un padre di famiglia rivoltato dal sistema che esiste anche in Francia.
“La risposta è in noi. Ciascuno di noi in quanto genitore:
Io rifiuto che la vacuità sia l’orizzonte educativo insuperabile per i miei figli.
Io rifiuto la mediocrità per i miei figli.
Io rifiuto la mancanza di ambizione per i miei figli.
Io rifiuto questa società della incultura crassa per i miei figli.
Io rifiuto questo assurdo e mortifero, il politicamente corretto, per la crescita dei miei figli.
Io rifiuto i metodi di lettura inefficaci per i miei figli.
Io rifiuto di lobotomizzare i miei figli davanti a degli schermi video ed emissioni fatte per trasformare coloro che amo di più in cervelli disponibili per la pubblicità delle grandi marche.
Io rifiuto che i miei figli siano merceologizzati, abbrutiti, cretinificati e assoggettati al totalitarismo mercantile.
Io rifiuto tutto ciò, perché tutto ciò è la facilità.
Educare dei figli, accompagnarli con amore a divenire adulti compiuti e responsabili così come cittadini di valore, questo esige tempo e sforzo e soprattutto coraggio e costanza, ossia il contrario dei valori che questo sistema assurdo tenta con tutti i mezzi di far entrare nelle nostre teste”.
Non è che “tenta”: riesce a farci suoi, con la pressione sociale dei peggiori dirigenti che l’Italia abbia mai avuto. A parte ciò, questo decalogo “io rifiuto”, se lo ripetano i padri e le madri ancora coscienti, che non vogliono confondersi coi genitori del Virgilio. E’ la lotta di liberazione che occorre, e deve partire da dentro di noi. Come sapete benissimo, ci vuole il coraggio. quello che ci manca, per lo più.
Il Collettivo dell’Occupazione dei Figli di Papà faceva pagare il biglietto agli studenti: 5 euro.
Scrivevamo l’11 luglio del 2010:
La “manovra finanziaria” attualmente in discussione contiene alcune norme sull’aumento dell’età pensionabile che sono state da più parti oggetto di critiche e obiezioni. Pare sia mancata però la più ovvia di queste possibili obiezioni, e cioè che c’entrassero le pensioni con una manovra finanziaria, dal momento che la spesa previdenziale non ha nulla a che vedere con la spesa pubblica, poiché dipende interamente dai contributi versati dai lavoratori sulla loro busta paga. Inoltre l’avanzo di bilancio dell’INPS nel 2009 è stato di sette miliardi (sì, miliardi) e novecentosessantuno milioni di euro. Ognuno può condurre un piccolo sondaggio personale per rendersi conto di quante persone siano a conoscenza dell’attivo di bilancio dell’INPS, che pure costituirebbe un dato ufficiale.
Le teorie socio-economiche “complesse” crollano di fronte all’evidenza delle menzogne istituzionalizzate su cui il sistema si fonda, e di fronte alla constatazione che gli attivi di bilancio dell’INPS sono trattati dai giornalisti quasi come un segreto di Stato, senza il bisogno di alcuna “legge bavaglio”. Dato che la notizia degli attivi di bilancio dell’INPS, sebbene data di sfuggita e subito seppellita, potrebbe comunque diffondersi, il sistema della propaganda è pronto a fuorviare nuovamente l’opinione pubblica narrandole di una popolazione anziana di pensionati in continuo aumento, a fronte di una popolazione di giovani lavoratori in calo costante. Da qui, secondo il luogo comune, deriverebbe il “pericolo per i futuri conti dell’INPS”. Si tratta di una campagna propagandistica che fomenta l’odio tra le generazioni, per di più sulla base di pretesti infondati.
In realtà i bilanci dell’INPS si presentano floridi non solo per il presente, ma anche per il futuro, dato che i lavoratori immigrati – che, al contrario di ciò che si fa credere, sono in grande maggioranza regolari – versano mensilmente contributi pensionistici senza alcuna prospettiva che questi un domani diventino per loro una pensione di anzianità; e ciò per il semplice motivo che gli immigrati tendono per lo più, dopo qualche anno, a ritornare al proprio Paese, dando l’addio ai contributi già versati alla Previdenza italiana. I contributi pensionistici dei lavoratori immigrati si configurano perciò come una vera e propria tassa sull’immigrazione, di cui l’INPS costituisce l’esattore. Allora si potrebbe dire che i pensionati italiani attualmente parassitano il lavoro degli immigrati? Nemmeno questo si può dire, dato che il surplus di cui l’INPS dispone va oggi a finanziare le imprese private. Costituisce infatti una pratica abituale degli imprenditori il mettere ciclicamente in Cassa Integrazione Guadagni – quindi a carico della Previdenza – una parte dei propri lavoratori, per poi mantenere i livelli produttivi ricorrendo agli straordinari, che beneficiano tra l’altro di un regime fiscale agevolato. La pratica di mettere in Cassa Integrazione una parte dei dipendenti per poi sfruttare maggiormente con gli straordinari i lavoratori rimasti in azienda, sarebbe illegale, ma i governi non solo si guardano bene dal sanzionarla, ma addirittura la premiano con sgravi fiscali. I contributi previdenziali quindi sono usati per contribuire all’abbassamento ulteriore del costo del lavoro per le imprese: il solito assistenzialismo per ricchi. Gli slogan fiabeschi sul capitalismo e sul mercato coprono perciò una realtà molto più squallida, che vede i mitici e celebrati “imprenditori” sempre pronti a rubare nel piattino del cieco. L’individualismo avventuroso dell’imprenditore si rivela un altro falso propagandistico, una leggenda dietro la quale l’associazionismo imprenditoriale si esprime come una vera e propria forma di criminalità organizzata dei colletti bianchi; una criminalità che è ovviamente allevata e protetta dai governi.
C’è infatti un legame diretto e consequenziale tra il terrorismo governativo sulle pensioni e la privatizzazione/precarizzazione del Pubblico Impiego. Il pretestuoso terrorismo governativo sulle pensioni ottiene un effetto piuttosto evidente, apparentemente contraddittorio, che è quello di incentivare la scelta di pensionamento anticipato da parte di molti lavoratori, intimoriti dalla prospettiva di perdere diritti acquisiti; infatti gli stessi governi terroristi poi mettono regolarmente a disposizione “finestre” pensionistiche in cui i lavoratori possano infilarsi. Gli organici del Pubblico Impiego tendono perciò a spopolarsi, ed i governi possono appaltare funzioni e servizi a ditte private, che usano per la maggior parte lavoro precario.
Uno dei settori del Pubblico Impiego in cui il prepensionamento viene più incentivato è la Scuola, ciò in vista della sostituzione del corpo insegnante dipendente dallo Stato con una nuova leva di insegnanti assunti direttamente dal Dirigente Scolastico, il quale diventerebbe il “manager” (in realtà boss/feudatario) non più di un istituto pubblico, ma di una fondazione mista pubblico/privato. Il ruolo degli insegnanti è stato abolito nel 1993, sostituito con la dizione ” insegnante a tempo indeterminato”, ma, secondo i piani, nell’arco di qualche anno, anche l’insegnante dipendente dallo Stato dovrebbe diventare un ricordo. Lo scopo non è solo quello di abolire una “libertà di insegnamento” che, probabilmente, non è mai esistita, ma di trasformare le Scuole ex pubbliche in enti appaltatori anche per ciò che concerne il loro principale servizio, cioè l’insegnamento; infatti già si parla di agenzie private che si occupino di “formare” e fornire i docenti. Gli insegnanti che attualmente accettano di infilarsi nelle varie “finestre” pensionistiche, non valutano il fatto che l’INPS rimarrà un ente pubblico solo sin quando sarà necessario per compiere questa liquidazione del personale del Pubblico Impiego. Ma non appena l’operazione sarà completata, anche la privatizzazione dell’ente previdenziale sarà posta all’ordine del giorno, secondo quanto hanno già ordinato il Fondo Monetario Internazionale e la sua agenzia di propaganda e psico-guerra, cioè l’OCSE. A chiunque è evidente che un INPS trasformato in una SPA, non sarebbe in grado di assicurare l’erogazione delle pensioni; anzi, non sarebbe neppure più tenuto a farlo.
Quindi oggi la Previdenza serve a finanziare direttamente le imprese, ed al tempo stesso a favorire le ristrutturazioni in senso privatistico del Pubblico Impiego. In termini più diretti si può dire che le imprese private rubano il denaro della Previdenza, per servirsene anche per preparare ulteriori furti in un altro settore, quello della spesa pubblica. Se si considera che l’INPS, nonostante la pioggia di denaro che già riserva alle imprese, riesce anche ad avere un grosso attivo di bilancio, si capisce perfettamente il motivo per cui la privatizzazione della Previdenza venga ritenuta una tappa ineludibile nell’avanzata della Civiltà Occidentale.
Il ministro Poletti proponeva in un convegno di ridurre ad un solo mese le vacanze scolastiche, ma si può fare di meglio e risparmiare anche il costo degli insegnanti per sei mesi:
“Nel Paese in cui la discoccupazione giovanile è in media del 40%, con punte nel sud Italia che raggiungono il 70%, l’Emilia Romagna è, come sempre, all’avanguardia.
Questa volta a far da protagonista sono la Lamborghini e la Ducati, che hanno aderito al progetto DESI, inaugurato ieri dal ministro all’Istruzione Giannini.
Cos’è DESI? Dual Education System Italy. Un progetto realizzato dal gruppo Audi Wolkswagen in collaborazione con il Miur (il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca), la Regione Emilia Romagna, e gli istituti tecnici Fioravanti e Aldini Valeriani.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione per il ritorno al medioevo in tema di politiche del lavoro, istruzione e progresso sociale. DESI infatti prevede lo sconvolgimento dei programmi scolastici, con 6 mesi di lezioni teoriche in classe, e poi… altri 6 mesi di pratica in fabbrica, davanti alle linee di montaggio, seguiti dai “tutor aziendali”.
Ma la strategia per la “lotta alle discriminazioni” sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, per il biennio 2014-2015, è ancora più ambiziosa: per comprendere come, anche in questo caso, il tema della discriminazione sia del tutto secondario, basta leggere i primi tre punti della strategia in materia di educazione scolastica. Stando alle linee guida, la formazione sui temi Lgbt, rivolta a studenti, insegnanti e personale scolastico (compresi i bidelli!), dovrà riguardare, prima di tutto “lo sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente, l’educazione affettivo-sessuale (!)” e la “conoscenza delle nuove realtà familiari”.
Non solo si prevede l’accreditamento delle associazioni Lgbt presso il Ministero, in qualità di “enti di formazione” (?), ma “la valorizzazione dell’expertise (!) delle associazioni Lgbt in merito alla formazione e sensibilizzazione dei docenti, degli studenti e delle famiglie”. Si propone l’integrazione delle materie “antidiscriminatorie” nei curricula scolastici “con un particolare focus sui temi Lgbt”, la “predisposizione della modulistica scolastica amministrativa e didattica in chiave di inclusione sociale, rispettosa delle nuove realtà familiari, costituite anche da genitori omosessuali”, e infine l’ “arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche Lgbt e sulle nuove realtà familiari, di laboratori di lettura e di un glossario dei termini Lgbt che consenta un uso appropriato del linguaggio”.
A tutto questo, si aggiunga che la macchina della propaganda gender si sta muovendo anche a livello legislativo, e quindi non solo amministrativo: all’inizio del 2015, infatti, è stato depositato presso il Senato della Repubblica un disegno di legge dal titolo “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”, sottoscritto da 40 senatori. Attenzione: tale disegno di legge si propone non soltanto di eliminare dai libri di testo delle scuole i cosiddetti “stereotipi di genere”, ma anche di promuovere l’adozione di una “strategia condivisa”, in collaborazione con le amministrazioni locali, i servizi socio-sanitari, gli altri soggetti del sistema di educazione e di formazione e i centri per l’impiego, a favore della prospettiva di genere nel piano di percorsi e di servizi che accompagnano il minore. In tal senso è fatto riferimento, tra l’altro, alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 12 marzo 2013 che ha affermato che un’educazione basata sul riconoscimento della parità è la strada da percorrere per il superamento degli “stereotipi di genere”.
L’ARS, in previsione delle prove INVALSI che si svolgeranno il 6/7 maggio (elementari) e il 13 maggio (superiori) INVITA I GENITORI A NON MANDARE A SCUOLA I PROPRI FIGLI E I DOCENTI AD ADERIRE ALLO SCIOPERO indetto per l’occasione da alcune sigle sindacali
Se è vero che gli allievi definiti DSA e BES sono esonerati dai test INVALSI, c’è da chiedersi quale credibilità possano avere tali risultati, considerando che in molte classi queste categorie sono la maggioranza…
World Map, showing Failed States according to the “Failed States Index 2010”
Come si vede dalla cartina Canada, Australia e stati Scandinavi sono gli unici che si possono chiamare “Stati”, secondo una valutazione basata su 12 indicatori di “vulnerabilità dello stato” – quattro sociali, due economici e sei politici. Gli indicatori non sono progettati prevedere quando gli Stati subiscono un collasso. Al contrario, essi sono destinati a misurare la vulnerabilità di crollo o di conflitto di esso. Tutti i paesi nella categoria rossa (Alert, FSI di 90 o più), arancione (Attenzione, FSI di 60 o più), o gialla (Moderato, FSI di 30 o più) manifestano alcune caratteristiche che tendono parti delle loro società e delle loro istituzioni vulnerabili al fallimento. Alcuni Stati nella zona gialla potrebbero fallire più velocemente di altri nella zona arancione o rossa. Al contrario, alcuni nella zona rossa, anche se in una situazione critica, possono manifestare alcuni segnali positivi di recupero o di lento deterioramento, dando loro il tempo di adottare strategie di attenuazione.
N.B. Non stiamo parlando qui del più banale default di bilancio (puramente finanziario), ma di indici sostanziali che riguardano noi come Italia, ma anche un gran novero di paesi (Stati Uniti compresi) che noi siamo abituati a considerare “Civili”.