Carissimi schiavi e fieri di esserlo “non possiamo pretendere che le cose cambino, se facciamo sempre le stesse cose“[cit. Albert Einstein].
Categoria: Società
Un patto per l’austerità perpetua
Un patto per l’austerità perpetua
La ratifica del Trattato di stabilità fiscale condurrà a una forma di austerità perpetua e a un restringimento mortale della democrazia in Europa. Proponiamo da MicroMega online un capitolo da “Cosa salverà l’Europa. Critiche e proposte per un’economia diversa” a cura di B. Coriat, T. Coutrot, D. Lang e H. Sterdyniak (gli autori del “Manifesto degli economisti sgomenti“) , in questi giorni in libreria per Minimum Fax.
Geopolitica
l paese africano del Mali è improvvisamente assurto all’onore delle cronache quando, l’11 gennaio scorso, la Francia ha deciso di lanciarvi una campagna militare a sostegno del governo di Bamako contro i ribelli islamisti del Nord. Parigi ha incassato il sostegno morale dei quattordici membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ora sta raccogliendo anche quello pratico d’alcuni Stati africani e della NATO. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata e quello della Difesa ammiraglio Giampaolo di Paola hanno annunciato che pure l’Italia darà il suo contributo, per ora sotto forma di «sostegno logistico» alle operazioni francesi.
Riflessioni pre-elettorali
Dal Blog di Carlo Bertani riproduciamo e condividiamo:
Guardate bene questa foto: chi ritrae? No, non è un contadino kirghizo e nemmeno un meccanico ecuadoriano: è il Presidente della Repubblica dell’Uruguay e la foto non è datata – ossia quando ancora era un signor nessuno – bensì è recente. Vale a dire quando già era il Presidente José Alberto Mujica Cordano – questo è il suo nome – che è quasi sconosciuto in Europa: vedremo il perché.
(1) Leggi: http://www.linkiesta.it/presidente-uruguay-guadagna-800-euro-al-mese
http://carlobertani.blogspot.com/2013/02/bienvenido-presidente.html
Come si fabbrica l’opinione pubblica
di Pierre Bourdieu*
Da un lato, una situazione economica e sociale inedita. Dall’altro, un dibattito pubblico mutilato, ridotto all’alternativa tra austerità di destra e rigore di sinistra. Come si definisce lo spazio dei discorsi ufficiali, per quale prodigio l’opinione di una minoranza si trasforma in «opinione pubblica»? È ciò che spiega il sociologo Pierre Bourdieu in questo corso sullo Stato tenuto nel 1990 al Collège de France e pubblicato questo mese. (Le Monde Diplomatique)
Penso che la definizione esplicita in una società che si pretende democratica, e cioè che l’opinione ufficiale è l’opinione di tutti, nasconda una definizione latente, e cioè che l’opinione pubblica è l’opinione di quelli che sono degni di avere un’opinione. C’è una sorta di definizione censuaria dell’opinione pubblica come opinione illuminata, opinione degna di questo nome. La logica delle commissioni ufficiali è quella di creare un gruppo in grado di dare tutti i segnali esterni, socialmente riconosciuti e riconoscibili, della sua capacità di esprimere l’opinione degna di essere espressa, e nelle forme convenienti.
Uno dei criteri taciti più importanti nella selezione dei membri della commissione, in particolare del suo presidente, è l’intuizione, da parte di chi è incaricato della composizione della commissione, che la persona in questione conosca le regole tacite dell’universo burocratico e le riconosca: in altre parole, qualcuno che sappia giocare il gioco della commissione in maniera appropriata, quella che va oltre le regole del gioco, che lo legittima; non si è mai così tanto nel gioco come quando si va oltre.
In ogni gioco, ci sono regole e fair-play. A proposito dell’uomo cabilo §, o del mondo intellettuale, avevo utilizzato questa formula: l’eccellenza, nella maggior parte delle società, è l’arte di giocare con la regola del gioco, facendo di questo gioco con la regola del gioco un omaggio supremo al gioco. Il trasgressore controllato è la vera antitesi dell’eretico. Il gruppo dominante coopta i suoi membri su indizi minimi di comportamento, che sono l’arte di rispettare la regola del gioco fin nelle trasgressioni regolate della regola del gioco: la buona creanza, il contegno. È la celebre frase di Chamfort: «Il grande vicario può sorridere a una battuta contro la religione, il vescovo può riderne apertamente, il cardinale metterci del suo (1).»Più si sale nella gerarchia delle eccellenze, più si può giocare con la regola del gioco, ma ex officio, a partire da una posizione che sia tale da eliminare ogni dubbio. L’humour anticlericale di un cardinale è squisitamente clericale.
L’opinione pubblica è sempre una specie di realtà doppia. È quella cosa che non si può non invocare quando si vuole legiferare in campi non organizzati. Quando si dice «C’è un vuoto giuridico» (espressione straordinaria), a proposito dell’eutanasia o dei bimbi-provetta, si convocano delle persone, che si metteranno a lavorare con tutta la loro autorità. Dominique Memmi (2) descrive un comitato di etica [sulla procreazione artificiale], la sua composizione con gente disparata – psicologi, sociologi, donne, femministe, arcivescovi, rabbini, scienziati, ecc. – che hanno il compito di trasformare una somma di idioletti (3) etici in un discorso universale che colmerà un vuoto giuridico, cioè darà una soluzione ufficiale a un problema difficile che turba la società – legalizzare le madri portatrici, ad esempio. Se si lavora in questo genere di situazione, si deve invocare un’opinione pubblica.
In questo contesto, si capisce molto bene la funzione affidata ai sondaggi. Dire «i sondaggi sono con noi», è come dire «Dio è con noi» in un altro contesto. Ma la storia dei sondaggi è seccante, perché a volte l’opinione illuminata è contro la pena di morte, mentre i sondaggi sono piuttosto a favore. Che fare? Si fa una commissione. La commissione costituisce un’opinione pubblica illuminata che tradurrà l’opinione illuminata in opinione legittima in nome dell’opinione pubblica – che magari dice il contrario o non pensa proprio niente (come succede su molti argomenti). Una delle proprietà dei sondaggi consiste nel porre alla gente problemi che non si pone, nel suggerire risposte a problemi che non si è posta, quindi nell’imporre risposte. Non è questione di cercare vie traverse nella costituzione dei campioni, è il fatto di imporre a tutti problemi che sono sentiti dall’opinione illuminata e, per questa via, di proporre risposte generali a problemi sentiti solo da alcuni, quindi di dare risposte illuminate in quanto le si è generate con la domanda: si è dato vita a problemi che per la gente non esistevano, mentre la domanda era quale fosse il loro problema.
Vi tradurrò un testo di Alexander Mackinnon del 1828, tratto da un libro di Peel su Herbert Spencer (4). Mackinnon definisce l’opinione pubblica, ne dà la definizione che sarebbe ufficiale se non fosse inconfessabile in una società democratica. Quando si parla di opinione pubblica, si gioca sempre un doppio gioco tra la definizione confessabile (l’opinione di tutti) e l’opinione autorizzata ed efficiente che è ottenuta come sotto-insieme ristretto dell’opinione pubblica democraticamente definita: «È l’opinione, a proposito di un qualsivoglia argomento di cui si parli, espressa dalle persone più informate, più intelligenti e più morali della comunità. Essa viene gradualmente diffusa e adottata da tutte le persone dotate di una certa istruzione e di un sentire adeguato a uno Stato civilizzato». La verità dei dominanti diventa quella di tutti. Mettere in scena l’autorità che autorizza a parlare.
Negli anni 1880, si diceva apertamente all’Assemblea nazionale ciò che la sociologia ha dovuto riscoprire, e cioè che il sistema scolastico doveva espellere i figli delle classi più sfavorite. All’inizio si poneva la questione, che poi si è del tutto risolta in quanto il sistema scolastico si è messo a fare, senza esplicita richiesta, ciò che ci si aspettava da lui. Quindi, nessun bisogno di parlarne. L’interesse del ritorno sulla genesi è molto importante perché, nella fase iniziale, si rintracciano dibattiti in cui vengono espresse a chiare lettere cose che, in seguito, possono sembrare provocazioni dei sociologi.
Il riproduttore dell’autorità sa produrre – nel senso etimologico del termine: producere significa «portare alla luce» –, teatralizzandolo, qualcosa che non esiste (nel senso di sensibile, di visibile), e nel nome del quale parla. Deve produrre ciò in nome di cui ha il diritto di produrre. Non può non teatralizzare, non dare forma, non fare miracoli. Il miracolo più comune, per un creatore verbale, è il miracolo verbale, il successo retorico; deve produrre la messinscena di ciò che autorizza il suo dire, in altre parole dell’autorità in nome della quale è autorizzato a parlare. Ritrovo la definizione della prosopopea che cercavo prima: «Figura retorica attraverso la quale si fa parlare e agire una persona che viene evocata, un assente, un morto, un animale, una cosa personificata». E nel dizionario, che è sempre uno strumento formidabile, si trova questa frase di Baudelaire a proposito della poesia: «Maneggiare sapientemente una lingua, vuol dire praticare una specie di stregoneria evocatrice».
I chierici, quelli che manipolano una lingua sapiente come i giuristi e i poeti, devono mettere in scena il referente immaginario in nome del quale parlano e che parlando producono nelle forme; devono fare esistere quello che esprimono e ciò in nome di cui si esprimono. Devono insieme produrre un discorso e produrre la fiducia nell’universalità del loro discorso attraverso la produzione sensibile (nel senso di evocazione degli spiriti, dei fantasmi – lo Stato è un fantasma…) di questa cosa che sarà garante di ciò che fanno: «la nazione», «i lavoratori», «il popolo», «il segreto di Stato», «la sicurezza nazionale», «la domanda sociale», ecc. Percy Schramm ha mostrato come le cerimonie di consacrazione fossero il transfert, nell’ordine politico, delle cerimonie religiose (5). Se il cerimoniale religioso può trasferirsi così facilmente nelle cerimonie politiche, attraverso le cerimonie della consacrazione, è perché si tratta, nei due casi, di far credere che c’è un fondamento al discorso, il quale appare autofondante, legittimo, universale solo in quanto c’è la teatralizzazione – nel senso di evocazione magica, di stregoneria – del gruppo unito e consenziente al discorso che lo unisce. Da cui il cerimoniale giuridico.
Lo storico inglese E. P. Thompson ha insistito sul ruolo della teatralizzazione giuridica nel XVIII secolo inglese – le parrucche, ecc. –, che non si può comprendere completamente se non si vede che non si tratta di un semplice apparato, nel senso di Pascal, che verrebbe ad aggiungersi: è parte costitutiva dell’atto giuridico (6). Parlare forense in giacca e cravatta è rischioso: si rischia di perdere lo sfarzo del discorso. Si parla sempre di riformare il linguaggio giuridico senza mai farlo, perché è l’ultimo indumento: i re nudi non sono più carismatici. Ufficialità, o malafede collettiva.
Una delle dimensioni molto importanti della teatralizzazione è la teatralizzazione dell’interesse per l’interesse generale; è la teatralizzazione della convinzione dell’interesse per l’universale, del disinteresse dell’uomo politico – teatralizzazione della fede del prete, della convinzione dell’uomo politico, della sua fiducia in ciò che fa. Se la teatralizzazione della convinzione fa parte delle condizioni tacite dell’esercizio della professione di chierico – se un professore di filosofia deve aver l’aria di credere alla filosofia –, è perché è l’omaggio fondamentale del personaggio ufficiale all’autorità; è ciò che bisogna concedere all’autorità per essere un’autorità: bisogna concedere il disinteresse, la fiducia nell’autorità, per essere un vero personaggio ufficiale. Il disinteresse non è una virtù secondaria: è la virtù politica di tutti i mandatari. Le scappatelle dei preti, gli scandali politici sono il crollo di questa specie di fede politica nella quale tutti sono in malafede, la fede essendo una sorta di malafede collettiva, in senso sartriano: un gioco nel quale tutti mentono a se stessi e agli altri sapendo che anche quelli mentono a se stessi. È questa l’autorità…
note:
* Sociologo (1930-2002). Testo estratto da Sur l’Etat. Cours au Collège de France 1989-1992, Raisons d’Agir-Seuil, Parigi, 2012, in uscita il 5 gennaio.
(1) Nicolas de Chamfort, Maximes et pensées, Parigi, 1795.
(2) Dominique Memmi, «Savants et maîtres à penser. La fabrication d’une morale de la procréation artificielle», Actes de la recherche en sciences sociales, n° 76-77, Parigi, 1989, p. 82-103.
(3) Dal greco idios, «particolare»: discorso particolare.
(4) John David Yeadon Peel, Herbert Spencer. The Evolution of a Sociologist, Heinemann, Londra, 1971. William Alexander Mackinnon (1789-1870) ebbe una lunga carriera come membro del Parlamento britannico.
(5) Percy Ernst Schramm, Der König von Frankreich. Das Wesen der Monarchie von 9 zum 16. Jahrhundert. Ein Kapital aus der Geschichte des abendländischen Staates (due volumi), H. Böhlaus Nachfolger, Weimar, 1939.
(6) Edward Palmer Thompson, «Patrician society, plebeian culture», Journal of Social History, vol. 7, n° 4, Berkeley (California),1974, p. 382-405. (Traduzione di G. P.)
§ cabilo = dialetto berbero ?
Giannino & C.
Vorrei iniziare il mese di febbraio con una breve nota (meno male, dirà qualcuno) sull’Università. I liberisti alla Zingales & soci amano raccontarci la fiaba delle Università americane come modello da imitare. Ci vengono a raccontare sciocchezzai a proposito di come da quelle parti l’Università funzioni. Non sto dicendo che l’Università americana non funzioni, sto dicendo che funziona benissimo per una classe di abbienti e, come tale, perpetua al 90% la stessa classe dirigente che può permettersela.
Dunque per farvi capire bene di che livello è la fuffa liberista vi copio incollo il punto del “manifesto” di “Fermare il declino” a proposito dell’Università: “Ridare alla scuola e all’università il ruolo, perso da tempo, di volani dell’emancipazione socio-economica delle nuove generazioni. Non si tratta di spendere di meno, occorre anzi trovare le risorse per spendere di più in educazione e ricerca. Però, prima di aggiungere benzina nel motore di una macchina che non funziona, occorre farla funzionare bene. Questo significa spendere meglio e più efficacemente le risorse già disponibili. Vanno pertanto introdotti cambiamenti sistemici: la concorrenza fra istituzioni scolastiche e la selezione meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle linee guida di un rinnovato sistema educativo.Va abolito il valore legale del titolo di studio”.
Vorrei farvi notare che la “concorrenza tra istituzioni scolastiche” e la “selezione meritocratica” si ottengono creando un sistema nel quale – esattamente come nelle Università americane – ogni istituzione universitaria si va a comprare sul mercato i docenti. Quell’Università che ha più soldi offre stipendi più alti e si accaparra i docenti ritenuti “migliori”. In questo sistema a seconda dei fondi disponibili le Università diventano di serie A o di Serie B. Ma come fanno le Università americane a rastrellare denaro? La favoletta liberista è che le Università acquistano fondi dalle donazioni di privati e dalla cooperazione con l’industria o lo Stato. Il che è vero ma non così vero come sembrerebbe perché le Università americane – come ovunque – hanno nelle tasse degli studenti (tecnicamente non sono tasse ovviamente, ma il pagamento per frequentare) il loro vero e principale strumento di sussistenza. E siccome gli studenti sono in un sistema liberistico, devono pagare: più è prestigiosa l’Università, più costa. Ho scelto di mostrarvi quanto costa un anno alla Cornell University, prestigiosa ma non la più prestigiosa. La prima colonna riguarda i non residenti nello Stato di New York, la seconda i residenti:
All Students | NY State Resident | Non-NY State Resident | |
Tuition and student activities fee |
$27,273 |
$43,413 |
|
Housing |
$8,112 |
$8,112 |
|
Dining |
$5,566 |
$5,566 |
|
Books and supplies* |
$820 |
$820 |
|
Personal and misc. expenses |
$1,680 |
$1,680 |
|
TOTAL |
$43,451 |
$59,591 |
La cosa che si nota subito è che in questo costo è conteggiato il vitto e l’alloggio. Il nostro studente per un anno non mangia e non dorme a casa, perciò se volete proprio essere rigorosissimi non considerate questa una perdita secca: a casa mamma e papà non spenderanno i soldini per sfamare il pargolo. Ma se anche togliete questa somma e vi volete limitare al dato base rimaniamo nella migliore delle ipotesi a più di 27.000 dollari e nella peggiore delle ipotesi a 43.000 dollari l’anno. Ammettiamo che il nostro studente rimanga tre anni (sarebbe meglio quattro, ma va bene tre), la sua famiglia spenderà tra gli 81.000 e i 129.000 dollari. Sì certo dollari non euro. A spanne con un cambio euro/dollaro pari a 1,30 a 1 significa un minimo di 62.000 e un massimo di 99.000 euro. E sto parlando solo della “retta base”. Se vole aggiungere tutto il resto divertitevi.
Questo è il costo del sistema liberista. Ma Zingales, Giannino e tutta la gang liberista ci potrebbe dire: “ci sono sconti ai meno abbienti!”. Vero, alla Cornell ci dicono che: “Families with a total family income of less than $60,000, and total assets of less than $100,000 (including primary home equity), will have no parent contribution“. Il che significa che se guadagnate meno di 46.000 euro all’anno come nucleo familiare, ossia meno di 3846 euro medi al mese e non avete proprietà che superino il valore di circa 77.000 euro. potete mandare gratis il vostro figliolo promettente alla Cornell. A dire il vero del tutto gratis no ma diciamo, come si evince da un esempio sul sito della Cornell, a circa il doppio del costo medio delle università italiane. Va bene direte voi.
Va bene? Non vi illuderete che tutti quelli che hanno i requisiti saranno accettati vero? Si fa una domanda e si spera di essere ammessi. Ignoro ogni anno quanti studenti entrino alla Cornell senza pagare ma, state certi, che non entrano tutti quelli che lo chiedono. Insomma un po’ di meritocrazia, perbacco!
La reale meritocrazia di questo modello universitario sono i soldi. Più siete ricchi più potrete studiare, più potrete studiare più vi si aprirà una carriera. Che il figlio dell’operaio della Ford abbia le stesse possibilità di frequentare l’università del figlio di un operaio italiano, è solo fuffa liberista. Il futuro di un mercato universitario come lo sognano quelli di “Fermare il declino” è questo. E’ stato già notato da un ottimo blogger che ha affrontato questo stesso argomento, che nell’Università di Chicago si spende di più, l’Università dove insegna Zingales.
Questo futuro vi può piacere o non piacere. Il punto non è questo, il punto è che non potete ignorarlo. In altre parole, questo è cosa c’è dietro la vaghezza dei proclami di “Fermare il Declino”. Pensate che l’Università italiana sia riformabile e che debba comunque garantire la massima istruzione possibile? Bene. Il modello di Zingales e sodali, mettetevelo in mente non va nella direzione di assicurare a tutti l’istruzione universitaria. E’ un modello di élite, punto.
GS su, tutti gli altri giù
di Sergio Di Cori Modigliani
Non fatevi incantare: piangono lacrime di crisi quando in realtà, sottobanco, realizzano giganteschi profitti sulla pelle di noi tutti.
Sembra una notizia inventata da Maurizio Crozza, quando parla dei sogni di Flavio Briatore “al top” e invece è la realtà.
Ascoltando la radio (Gr2-rai) nella specifica sezione relativa allo stato dell’economia, alcuni esponenti della cupola mediatica davano notizie positive, sulla ripresa già iniziata, sul fatto che bisogna andare a guardare gli aspetti positivi del mercato perché la ripresa è già iniziata e finalmente si vede la luce in fondo al tunnel e tornano i profitti e la voglia di imprendere. Non solo. Oltre alla ripresa dell’economia c’è anche il rilancio dello sviluppo e dell’occupazione. Ma che bella notizia, mi sono detto.
Alla richiesta di un esempio specifico che potesse illuminarci sulla via di pensieri positivi, il cronista ha risposto citando almeno cinque aziende che a Milano stanno assumendo a pieno ritmo, con pimpante allegria dei lavoratori.
E’ vero.
Andando a controllare, però, si dà il caso che tali aziende risultino essere delle società finanziarie che appartengono alla multinazionale Goldman Sachs perché –è sempre il nostro baldo cronista rai a spiegarcelo- “come spiegava stamattina il collega Corrado Poggi su Il Sole 24 ore, sono stati resi noti i conti di Goldman Sachs e il risultato per il 2012 è stato davvero sorprendente, superiore a ogni migliore attesa: ben 53% superiore alle attese per un utile al netto delle tasse di quasi 10 miliardi di euro. Basti pensare che le azioni al 31 dicembre del 2011 valevano 1,84 $ e al 31 dicembre 2012, invece, toccavano i 5,60 $. Stanno assumendo e a Milano e in diversi centri della Lombardia apriranno nei prossimi sei mesi ben dieci nuovi uffici. E’ un segno dell’ottimismo che si sta diffondendo sui mercati”. Ma che meraviglia!
Grazie a queste notizie, le borse di tutto il mondo vanno in negativo.
Il cronista rai deve essere rimasto sorpreso, ma non pensiamo si sia interrogato sul perché il suo personale ottimismo non sia stato condiviso dai cosiddetti “mercati”. Da Tokyo a Londra, da Francoforte a Parigi, via Milano, la borsa capisce che la ripresa è molto lontana, e che a dettar legge sono sempre e soltanto loro: i colossi della finanza in guerra contro l’economia che produce merci, lavoro, occupazione, espansione.
Soltanto in Italia, Goldman Sachs (avvalendosi della trasversale consulenza di Corrado Passera, Mario Monti, Romano Prodi, Giuliano Amato ed Enrico Letta) ha realizzato nel 2012 un profitto netto di 2,2 miliardi di euro.
Tradotto vuol dire che per loro non c’è crisi, anzi. Va tutto benissimo e bisogna impedire a tutti i costi che si verifichi il benché minimo cambiamento.
Certo, ciò che la Rai non spiega (e neppure il Sole 24 ore) è che il prezzo da pagare per tali profitti corre su un binario parallelo; su una rotaia la finanza gongola, sull’altra rotaia l’economia che produce merci e servizi crolla.
Questa è la vera campagna elettorale.
Il resto sono chiacchiere.
Vista la proliferazione di simboli, gagliardetti e curiosi nomi delle liste civiche, ci aggiungiamo anche “distintivo” perché viene naturale la citazione dal film di Brian de Palma “Gli intoccabili” dove Al Capone urla a squarciagola all’ufficiale del FBI “sei solo chiacchiere e distintivo”. (ve lo ricordate? Erano Robert De Niro e Kevin Kostner).
E’ ciò che sono le nostre mummie.
Fingono un agone che non esiste, un’opposizione falsa, un antagonismo inesistente.
Berlusconi, Bersani, Monti, Casini, Fini sono “obbligati” a garantire ai colossi della finanza che, in un qualche modo, saranno in grado di fare un governo che seguiterà a produrre tali profitti.
Volete capire la vera posta in gioco in questa campagna elettorale?
Andate a leggere i dati sulla finanza operativa in Italia, e chi li garantisce nel nostro paese, e capirete come stanno le cose, conti alla mano.
Intervistato alla tivvù nipponica, ieri il presidente di Goldman Sachs ha dichiarato “il 2012 è stato l’anno migliore dal 1980, le cose si stanno mettendo davvero molto bene e siamo grandiosamente ottimisti per il 2013”. La borsa di Tokyo ha reagito con una flessione pari al -2,56%. Tradotto in linguaggio accessibile vuol dire che hanno in cantiere la prosecuzione di un rigore e di una austerità ancora più perfida e non hanno nessuna intenzione di fare nulla e hanno già un piano predisposto per far contrarre ancora di più l’economia; chi è quotato in borsa (come azienda che produce merci) lo sa, lo capisce e quindi tutti vendono e le borse vanno giù.
Sono chiacchiere e distintivo, tutto qui.
Siamo ormai arrivati al trionfo del paradosso: ci spiegano alla radio di stato che la crisi non esiste e che va tutto bene.
Pensateci e riflettete.
Non fatevi ingannare dalla facile demagogia elettorale: non mandate in parlamento i bastardi che rappresentano i giochi della finanza: vi svuoteranno le tasche. A sinistra ci penserà il PD, a destra il PDL e al centro l’Udc & co. Questa è la ragione per la quale Berlusconi sta facendo campagna per invitare a votare o lui o Bersani. E’ uguale.
Ecco, qui di seguito, il lancio sul sito online de Il Sole 24 ore ripreso dalla rai
Goldman Sachs: utili IV trim a 2,89 mld, ricavi a 9,24 mld (RCO)
Risultati migliori delle attese (Il Sole 24 Ore Radiocor) – Milano, 16 gen – Goldman Sachs ha riportato per il quarto trimestre del 2012 un utile netto pari a 2,89 miliardi di dollari, o 5,60 dollari ad azione contro 1,84 un anno fa, a fronte di un giro d’affari salito del 53% a 9,24 miliardi. I profitti per l’intero anno sono invece piu’ che raddoppiati a quota 7,3 miliardi. I risultati sono migliori delle attese degli analisti. Nel trimestre il giro d’affari delle attivita’ di investment banking e’ cresciuto del 64% mentre il totale degli asset sotto gestione e’ salito a quota 939 miliardi alla data del 31 dicembre. Il capitale Tier 1 e’ invece salito alla fine del trimestre a quota 16,7%, ben oltre i requisiti di Basilea
Le spese operative invece nel trimestre si sono attestate a quota 4,92 miliardi, mentre il numero dei dipendenti era di 32,400 unita’ a fine anno ma nel 2013 sono previste nuove assunzioni.
Corrado Poggi per Il Sole 24 Ore
c.poggi@ilsole24ore.com
No comment.
Chi vota i signori della finanza è un idiota, un masochista o un irresponsabile.
Sarebbe ora che la gente si desse una smossa e cominciasse a svegliarsi.
Non è vero nulla ciò che vi raccontano.
Ciò che vale per davvero sono le cifre e i conti fatti con il pallottoliere.
L’Italia è diventato un paradiso per i colossi della finanza e quindi gli squali ci si stanno buttando a pesce.
Dipende da noi evitarlo, quantomeno contenere la loro bulimìa.
Non votateli più.
Mandiamoli tutti a casa e non cadiamo nella trappola consueta di destra e sinistra, di fasci e falce e martello, di laici e credenti. E’ un teatro loro.
Se votate per Bersani o per Berlusconi o per Monti o per chiunque si appoggia a loro ed è un loro alleato, voi, consciamente o inconsciamente, state semplicemente aumentando la quantità di potenziali profitti della finanza sciacalla e strozzina.
Ma ci vuole davvero tanto a capirlo?
Più chiaro di così.
fonte: Libero Pensiero
Oltre l’austerità
“Oltre l’austerità” è in primo luogo un libro di denuncia delle politiche folli che in Europa e in Italia porteranno inevitabilmente – e in proporzioni sconosciute da generazioni – ad alti livelli di disoccupazione, crollo degli standard di consumo e dei servizi sociali e degrado delle nostre comunità. E’ un passato che tristemente ritorna. Chi porti la responsabilità politica di questo, se la Merkel, o Monti (e con lui le forze che lo sostengono), oppure ancora i gruppi dirigenti della sinistra radicale europea, in gran parte superficiali e disinteressati ai temi reali, non è nostro compito dire. Così come non vogliamo giudicare quante responsabilità per essere giunti a questo punto vadano attribuite agli ignominiosi governi Berlusconi, oppure ai governi ulivisti di centrosinistra, che dell’unificazione monetaria europea hanno fatto la propria bandiera subordinando a essa gli obiettivi della piena occupazione e di una più equa distribuzione del reddito e aprendo così la strada al ciclico ritorno del Cavaliere.
Il nostro proposito è stato di smentire le sciocchezze in nome delle quali si chiedono sacrifici, in particolare che spesa e debiti pubblici siano causa ultima della crisi, e di mostrare come questi sacrifici a nulla porteranno tranne che a un avvitamento verso il basso della crisi in una spirale di cui non si vede la fine. Interessi nazionali, voglia di farla finita con sindacati e stato sociale, una totale assenza di lungimiranza politica e anche tanta ignoranza spiegano tutto questo.
Non il processo d’integrazione politica ed economica europeo viene messo sotto accusa nel libro – anzi riteniamo che il volume sia profondamente europeista – bensì il processo di unificazione monetaria. Quest’ultimo è stato progettato e si è dispiegato male. Ma non casualmente. Da parte dei governi italiani esso è stato interpretato come strumento di disciplina sindacale e sociale. In questo gioco i tedeschi hanno vinto, e noi abbiamo perso. Ora la crisi costituisce una nuova e più ghiotta occasione per perseguire il medesimo obiettivo.
Il volume nasce da un anno d’incontri, ma il gruppo non ha mai ritenuto che esso dovesse avere una tesi precostituita. Al di là di alcune differenziazioni, tuttavia, la pura disanima degli scenari che il paese ha davanti ha fatto prevalere in molti contributi l’idea che in questa unione monetaria non c’è spazio per il nostro paese, pena il suo rapido e drammatico degrado. Non è peraltro affatto escluso che l’euro non crolli da solo. Gli autori disegnano e auspicano altre soluzioni, del tutto possibili, che potrebbero garantire crescita, occupazione e sviluppo ecologicamente sostenibile all’Europa, contribuendo alla stabilità dell’economia globale. Ci pare tuttavia inutile accarezzare disegni che non hanno alcuna possibilità di prevalere. Serve più coraggio per guardare le cose come stanno. Questa è la nostra denuncia. Domandiamo alle forze politiche della sinistra quali altri sacrifici ritengono il paese debba inutilmente affrontare prima di assumersi le proprie responsabilità davanti alla realtà.
Il grosso degli autori gode di solida notorietà nella comunità internazionale degli economisti eterodossi. La sintesi dei loro contributi è nell’introduzione. E’ stata un’esperienza per noi importante, in un paese in cui non solo la sinistra è disinteressata a un lavoro intellettuale di lunga lena, ma nel quale anche il dibattito accademico si è impoverito con la progressiva formazione strettamente neoclassica delle giovani generazioni di economisti e la scomparsa di scena di grandi studiosi come Paolo Sylos Labini o Federico Caffè.
Il nostro lavoro continuerà in autunno perché tante sono le questioni su cui, riteniamo, vi sia da far luce con riguardo sia al recente passato che, in questa luce, alle prospettive. Al grande maestro di molti di noi scomparso lo scorso novembre, Pierangelo Garegnani – l’allievo prediletto di Piero Sraffa – abbiamo dedicato il volume proprio per ricordare come solo dall’associazione, che egli suggeriva, di una solida ricerca teorica con un’attenta analisi empirica, economica e storico-politica, entrambe motivate da un forte senso d’impegno civile, possano scaturire risultati solidi e duraturi. Speriamo che questo volume e il nostro lavoro futuro, possa costituire strumento di studio e di agitazione politica per un popolo di sinistra desideroso di opporsi al preoccupante corso degli eventi. Esso è anche dedicato ai nostri figli e a tutti i giovani.
L’INDICE DEL VOLUME
Introduzione – S. Cesaratto e M. Pivetti
1. Le politiche economiche dell’austerità
L’austerità, gli interessi nazionali e la rimozione dello Stato – M. Pivetti
Molto rigore per nulla – G. De Vivo
2. La crisi europea come crisi di bilancia dei pagamenti e il ruolo della Germania
Il vecchio e il nuovo della crisi europea – S. Cesaratto
Le aporie del più Europa – A. Bagnai
Deutschland, Deutschland…Über Alles – M. d’Angelillo e L. Paggi
3. Austerità, BCE e il peggioramento dei conti pubblici
Sulla natura e sugli effetti del debito pubblico – R. Ciccone
La crisi dell’euro: invertire la rotta o abbandonare la nave? – G. Zezza
Le illusioni del Keynesismo antistatalista – A. Barba
La crisi economica e il ruolo della BCE – V. Maffeo
4. Austerità, salari e stato sociale
Quale spesa pubblica – A. Palumbo
Crescita e “riforma” del mercato del lavoro – A. Stirati
Politiche recessive e servizi universali: il caso della sanità – S. Gabriele
Spread: l’educazione dei greci – M. De Leo
5. Oltre l’euro dell’austerità
Un passo indietro? L’euro e la crisi del debito – S. Levrero
Una breve nota sul programma di F. Hollande e la sinistra francese – M. Lucii e F. Roà
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Matrix
di Enrico Carotenuto
Per un attimo, guardando Monti che parlava, ho avuto la sensazione di trovarmi in una scena di Matrix. No, non la trasmissione di Mentana, piuttosto il film con Keanu Reeves.
Avete presente la scena in cui Morpheus, per far comprendere a Neo di trovarsi in realtá in un mondo simulato, gli chiede:”Credi che sia aria, quella che respiri?”
In questa realtà simulata c’era questo impiegato di banca che giurava di non fare il politico, ma dettava le regole ai partiti, dicendo che saranno selezionati solo quelli che faranno come dice lui. Si lamentava delle tasse. Lui, l’uomo che in un anno ha praticamente dimezzato il reddito disponibile della classe media. Quello dei miliardi alle banche, degli F35, della TAV a tutti i costi, dei tagli a scuola e sanitá.
Li per li mi sono arrabbiato, con Monti, con Sky, col giornalista che non gli si è messo a ridere in faccia, quando diceva che l’IMU non va bene, e che non era colpa sua. Ma poi ho capito che il problema non era Monti, non era Sky, e nemmeno il giornalista, o presunto tale.
Il problema ero io!
Mi sono reso conto che una parte di me, e molti come me, nonostante gli anticorpi di vent’anni di Berlusconi, stava guardando l’intervista volendo credere che fosse vera, fatta da un vero giornalista ad un vero politico, con vere domande, su una tv indipendente.
Avevo un desiderio inconscio di ascoltare qualcosa che mi rassicurasse, che mi dicesse che la “matrix” che ci vogliono far bere, in fondo è la vera realtá.
Sono io che sbagliavo, a pensare che ci doveva essere per forza qualcosa di democratico in quella scena, nelle politiche scellerate di quell’uomo, nell’ammirazione del giornalista.
Ma non era aria quella che stavo respirando.
Quando ho realizzato che il problema ero io, la rabbia è svanita.
Anzi sono stato grato a Monti per quella messa in scena. Mi ha aiutato a svegliarmi un altro po’. E sono sicuro che ha avuto lo stesso effetto su molti altri spettatori.
Sicuramente una minoranza ancora piccola. Ma grazie a lui, da ieri, un po’ più grande.
fonte: CoscienzE in Rete
cancellare il debito
Il Fiscal Compact continua ad essere tenuto oscuro a tutti i cittadini e nessuna forza politica, in procinto di presentarsi alle prossime elezione, ci spiega la sua funzione, sminuendone la sua forza dirompente, tale, quanto quella di una moneta vincolata a un cambio fisso, che ci sta strangolando e con il passare del tempo ci porterà ad essere sempre più schiavi di questo sistema.
Il “non programma” dell’agenda Monti è tutto nella retorica di questi propositi che promettono di voler incrementare il livello d’istruzione, migliorare i servizi delle amministrazioni pubbliche, aprire l’accesso al credito delle aziende e che invece lo rende impossibile, proprio grazie ai vincoli di bilancio.
Le famiglie senza un salario adeguato non possono sopravvivere e neanche stimolare l’economia, le imprese senza credito non possono finanziarsi ed essere competitive.