Mi è sorto allora il sospetto che questi intellettuali da bar Messico che scrivono su giornali liberi come La Repubblica, o Il Corriere, (e altri leccatori dei piatti di casa Agnelli) non conoscano la storia. O forse la conoscono. Ma in questo caso sono costretto a dire che questo genere di leccapiatti mi disgusta. Mi disgustano per il cinismo orrendo con cui chiamano le donne afghane a testimone della superiorità della loro democrazia. Mi disgustano per la mala fede con cui citano la liberazione dal nazismo per esaltare l’intervento armato americano. Solo cinismo e mala fede, infatti, possono far dimenticare a questi intellettuali da Bar Messico che la storia americana è una storia di orrore razzista e nazista che dura da due secoli. Ma adesso è finita, anche se quelli che scrivono sui giornali di casa Agnelli non sono in grado di capirlo, o forse preferiscono ignorarlo. E’ finita perché l’America non esiste più. Quel paese, che da due secoli garantisce nel mondo la violenza razzista e imperialista, che da due secoli fomenta guerra, ora è morto. Non ha un presidente, perché Biden è annichilito dalla vergogna e nessuno può fidarsi più di lui. Non ha alleati perché gli alleati di quel paese se la stanno filando all’inglese. Non ha un popolo perché ce ne sono due e sono in guerra. Non ha un governo perché non c’è nessuna maggioranza parlamentare. Non ha un futuro perché il suo destino manifesto è quello di dilaniarsi nella disuguaglianza, nella demenza di massa, nell’ignoranza e nella violenza armata. L’occidente è finito, cari Merlo, Ferrara, Nierenstein, Della Loggia e compagnia bella. E anche voi siete finiti, nonostante lo stipendio che vi paga la famiglia Agnelli o qualcun altro di quel genere lì.
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Il bastone USA tra le ruote della Russia (e della Cina)
Può darsi che ciò sia in relazione all’annuncio alla stampa che un contingente supplementare di truppe Usa sarà inviato in Afghanistan nel 2018, piuttosto nutrito, 6 mila uomini, che si aggiungeranno agli altri forse 15 mila già in loco. “istruttori” delle forze afghane, che non li hanno chiesti.
Cresce il sospetto che questo rafforzamento sia rivolto verso i nemici indicati come “revisionisti” nella nuova dottrina di Sicurezza Nazionale, Russia e Cina – senza dimenticare l’Iran . Il fatto che l’Afghanistan confini con questi tre paesi ne fa un centro altamente strategico di sovversione e destabilizzazione. Il paese è limitrofo a Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, nella sfera geopolitica della Russia. Ne sono anche il ventre molle, essendo governati da regimi impotenti che non controllano il loro stesso territorio, peraltro immenso ed impervio. Dopo la sconfitta in Siria, Washington può pensare di usare la carta della rivincita in Asia centrale. Può esercitare ogni tipo di pressioni sulla Russia da Sud.
Tanto più che nei prossimi mesi, fino alle elezioni che vedranno riconfermato Putin nel marzo 2018, c’è da aspettarsi un rialzo parossistico dell’ostilità anti-Mosca in Usa, e quindi anche in Europa: già abbiamo visto su “importanti giornali” italiani articoli che hanno l’aria di essere commissionati, per far grande scandalo dell’esclusione,da è parte dell’ufficio elettorale, del candidato Aleksei Navalny dalle presidenziali, per precedenti guai con la giustizia. Lo stesso tipo di esclusione, è stato notato, che è stato usato in Italia ed Europa contro Berlusconi con la legge Severino; in questo caso, nessuno ha espresso “i seri dubbi sul pluralismo politico in Italia”, mentre invece la Mogherini ha espresso “seri dubbi sul pluralismo politico in Russia” in difesa del candidato tanto caro a tutto l’Occidente.
Navalny come candidato è molto meno forte di Berlusconi, ma è anche un diplomato dello Yale World Fellows Program (insomma ha studiato a Yale con borsa di studio americana) e proprio sul sito di Yale risulta essere cofondatore del Democratic Alternative Movement, una spontanea creazione della “società civile” che ha ricevuto finanziamento dal National Endowment for Democracy, l’organo (pagato dal Congresso) delle rivoluzioni colorate all’Est e nel mondo.
Possiamo stare certi che nulla verrà lasciato intentato per rovinare le elezioni presidenziali russe da qui a marzo, nessuna provocazione anche militare, nessuna storia di anti-democrazia in Russia, nessun attentato terrorista che possa far apparire Putin impotente e incapace. L’attentato di Pietroburgo può essere benissimo un assaggio della anti-campagna che verrà. E dall’Afghanistan, attraverso la poco controllabile area Sud verso la Russia, molto si può fare.
estratto da https://www.maurizioblondet.it/altri-soldati-usa-afghanistan-russia-cina/
Non solo oppio
L’obiettivo non dichiarato della presenza militare degli Stati Uniti in Afghanistan è impedire alla Cina di stabilire relazioni commerciali ed investimenti con l’Afghanistan. Più in generale, l’istituzione di basi militari in Afghanistan sul confine occidentale della Cina rientra nel processo di accerchiamento militare della Repubblica popolare cinese, ossia schieramenti navali nel Mar della Cina meridionale, strutture militari a Guam, Corea del Sud, Okinawa, Jeju, ecc.
Pivot in Asia
Secondo il patto di sicurezza afghano-statunitense, istituito nell’ambito degli obiettivi asiatici di Obama, Washington e partner della NATO hanno una presenza militare permanente in Afghanistan, con strutture militari situate vicino alla frontiera occidentale della Cina. Il patto mirava a consentire agli Stati Uniti ad avere nove basi permanenti situate strategicamente ai confini di Cina, Pakistan e Iran, nonché Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan. La presenza militare degli Stati Uniti, tuttavia, non ha impedito l’espansione dei rapporti commerciali e degli investimenti tra Cina e Afghanistan. Un accordo di partenariato strategico fu firmato tra Kabul e Pechino nel 2012. L’Afghanistan ha lo status di osservatore nell’Organizzazione della cooperazione di Shanghai (SCO). Inoltre, il vicino Pakistan, ormai pieno aderente alla SCO, ha stretti rapporti bilaterali con la Cina. E ora Donald Trump minaccia il Pakistan, che per molti anni è stato il bersaglio della “guerra non dichiarata dei droni” degli USA. In altre parole, è avvenuto un cambiamento geopolitico che favorisce l’integrazione dell’Afghanistan a fianco del Pakistan nell’asse eurasiatico degli investimenti e dell’energia. Pakistan, Afghanistan, Iran e Cina collaborano in progetti su gasdotti e oleodotti. La SCO di cui sono aderenti Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, provvede la piattaforma geopolitica per l’integrazione dell’Afghanistan nei corridoi per l’energia e i trasporti eurasiatici. La Cina intende integrare l’Afghanistan nella rete dei trasporti nell’ambito dell’Iniziativa Fascia e Via. Inoltre, il gigante minerario statale cinese Metallurgical Corporation of China Limited (MCC) è già riuscito a prendere il controllo del grande deposito di rame di Mes Aynak, in un’area controllata dai taliban. Già nel 2010 Washington temeva “che la Cina affamata di risorse cercherà di dominare lo sviluppo delle ricchezze minerarie dell’Afghanistan, sconvolgendo gli Stati Uniti… Dopo aver ottenuto la concessione per la miniera di rame di Mes Aynak, nella provincia di Logar, la Cina vuole chiaramente di più“. (Mining)
La Cina e la battaglia per il litio
I conglomerati minerari cinesi sono in concorrenza per il controllo strategico del mercato mondiale del litio, che fino a poco tempo prima era controllato dai “Big Three”, Rockwood Lithium di Albemarle (North Carolina), Sociedad Quimica y Minera de Chile e FMC Corporation (Philadelphia) attiva in Argentina. Mentre i Big Three dominano il mercato, la Cina rappresenta una grande quota della produzione mondiale di litio, classificandosi al quarto posto come maggiore produttore di litio dopo Australia, Cile e Argentina. Nel frattempo il gruppo cinese Tianqi ha assunto il controllo della più grande miniera di litio australiana, Greenbushes. Tianqi possiede ora il 51% della Talison Lithium, in collaborazione con l’Albemarle della North Carolina. Questa spinta alla produzione di litio è legata al rapido sviluppo dell’automobile elettrica in Cina: “La Cina è ora “il centro dell’universo del litio”. La Cina è già il più grande mercato di auto elettriche. BYD, società cinese sostenuta da Warren Buffett, è il più grande produttore di auto elettriche del mondo e le aziende cinesi producono la maggiore quantità di litio per batterie. Ci sono 25 aziende che producono 51 modelli di auto elettriche in Cina. Quest’anno ne saranno vendute oltre 500000 in Cina. Ci sono voluti 7 anni alla GM per vendere 100000 Chevy Volts dal 2009. La BYD ne venderà 100000 solo quest’anno!” (Mining, novembre 2016)
Le dimensioni delle riserve di litio in Afghanistan non sono chiare. Gli analisti ritengono che le riserve ancora da sfruttare non avranno un impatto significativo sul mercato mondiale del litio.Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora