Non tutto il male vien per nuocere

Ciò che colpisce,  sono le cifre che la Cina ha messo in gioco per assicurare la Grecia al suo progetto.  Al Pireo, fino ad oggi, COSCO ha investito  – in un decennio –  800 milioni di euro, cifra  che è  bastata per trasformare l’antico porto  nell’hub delle esportazioni cinesi verso la UE, e  farlo passare dalla  capacità di gestire 685 mila containers  che aveva nel 2010, a 5 milioni di oggi,  un aumento di 8 volte. Passa di  lì il 10 per cento delle  merci cinesi esportate in Europa.   Nei prossimi  5 anni, i cinesi intendono investire altri 600 milioni di euro nel Pireo, espandere ulteriormente il porto container ed “entrare sempre più nel settore alberghiero e nelle crociere”.  Il numero di turisti cinesi che visitano la Greci raddoppia da un anno all’altro, e nel 2020 sarà sui 400-500 mila presenze; sicché la Cina ha inaugurato un volo diretto Shanghai-Athene.

Nell’insieme, gli investimenti che la Cina ha programmato di fare in Grecia sono di 3 miliardi di euro  in 5 anni,  ossia 600 milioni di euro l’anno.

Sottolineo, di queste cifre, la levità.  La  piccolezza. Niente che non fosse alla facile portata della Germania, col suo surplus annuo di export di 250 miliardi;  basta pensare alle centinaia di miliardi che Deutsche Bank e Commerzbank hanno sprecato in cattivi investimenti  dovunque nel mondo tranne in Europa, dalla Turchia a Wall Street , per  mancanza di occasioni  d’investimento in Europa data l’austerità che Berlino ha imposto a tutti membri.  Col risultato che  “le imprese tedesche hanno investito i loro profitti all’estero, aiutando di fatto a finanziare le importazioni straniere” (Adam Tooze)

http://letstalkbooksandpolitics.blogspot.com/2012/08/germanys-growth-is-unsustainable.html

e senza ricavare profitti, tra l’altro. Ma che dico, mal investimenti? Basta paragonare i 3 miliardi cinesi in Grecia con i 12 miliardi  che la sola Deutsche  Bank ha pagato in multe per  i suoi trucchi sul Libor ed altre malversazioni agli …  Stati Uniti.

https://news.bitcoin.com/deutsche-bank-collapse-could-crash-global-financial-markets/

Con 600 milioni qui e là, in  tutti questi anni, la Germania poteva tenersi legata la Grecia  – facendo tra l’altro in  buon affare (la COSCO dal porto del Pireo, ricava ovviamente profitti, avendone  aumentato di un terzo  la  superficie  e quadruplicato  la redditività). Invece, che cosa è andata a fare la Merkel nelle sue visite ufficiali ad Atene?   Mai a dare un soldo, ma questo è il meno;  a fare della Grecia la discarica delle sue scelte migratorie dementi   – senza alcun compenso. Ma questo non è ancora tutto.   Quando la Merkel è comparsa in visita ad Atene, è stato per  imporre , fra aspri rimproveri di “vivere  al disopra dei propri mezzi” – al”suo” Tsipras,   che ha reso il suo schiavo  –    di non spendere.

Apprendiamo infatti  – dal China Daily   – che nell’anno in corso, il governo conservatore di Atene ha approvato investimenti cinesi per 611,8 milioni di euro, “che erano stati precedentemente congelati dal governo di Tsipras   per  un periodo di 18 mesi” per il divieto imposto dalla UE.

Già, perché senza mai cacciare un centesimo, e continuando a rimproverare i greci di  aver voluto vivere al disopra dei propri mezzi  accettando di indebitarsi troppo con la banche germaniche e francesi, e quindi   devono soffrire, per  giunta Bruxelles (ossia Berlino) e la NATO (ossia gli USA)   “dal punto di vista geopolitico, i partner occidentali sono preoccupati che il flirtare della Grecia con La Cina potrebbe indebolire il fianco sud-est della NATO e dell’UE”.

Stanno parlando del fianco sud-est  già  “indebolito” dalla Turchia  di Erdogan .  Della NATO in stato di  “morte cerebrale” secondo  il capo della sua maggior forza armata europea. Di Stati Unitidi cui persino la Merkel riconosce che non si può più confidare come difensori della UE.  Gli Stati Uniti in condizione tale, che secondo  un sondaggio  Rasmussen in 2018 ,  il 31 % degli elettori americani ritengono che l’America “vedrà una seconda guerra civile nei prossimi 5 anni”, con  i trumpisti armati  contro gli anti-Trump.

PECHINO FA’ DELLA GRECIA LA TESTA DI PONTE – E CON QUATTRO SOLDI (CHE LA MERKEL HA RISPARMIATO)

Occidente=debito

Ancora una volta, la verità è multipla. – In primo luogo, la Cina non ha una storia di invasioni. La Cina cerca uno sviluppo pacifico ed egualitario del commercio, della scienza e soprattutto del benessere umano – una tradizione Tao di non aggressione. In secondo luogo, nonostante gli “avvertimenti” del trono dell’impero in caduta, circa un centinaio di paesi si sono già abbonati per partecipare alla BRI – e questo volontariamente.

E in terzo luogo, la Cina e la Russia e insieme a loro l‘Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) hanno stretto una solida alleanza economica e di difesa che comprende quasi la metà della popolazione mondiale e circa un terzo della produzione economica totale dei globo.

Pertanto, i membri della SCO sono – o potrebbero essere, se lo desiderano – in gran parte distaccati dall’egemonia del dollaro. Il sistema di trasferimento monetario occidentale, gestito privatamente e gestito da Wall Street, SWIFT, non è più necessario per i paesi SCO. Operano in valute locali e / o attraverso il sistema di pagamento interbancario cinese (CIPS).

Non è un segreto che l’impero, con sede a Washington, stia gradualmente decadendo, sia economicamente che militarmente. È solo una questione di tempo. Quanto tempo è difficile da indovinare. Ma il comportamento quotidiano di Washington di emettere sanzioni a destra e sinistra, interrompere le transazioni monetarie internazionali, confiscare e rubare beni di altri paesi in tutto il mondo, mette sempre più chiodi nella bara dell’Impero.

In questo modo, l’America stessa sta commettendo un suicidio economico e monetario. Chi vuole appartenere a un sistema monetario che può agire volenti o nolenti a scapito di un altro paese? Non è necessario alcun aiuto esterno per far cadere questo sistema monetario fiat sponsorizzato dagli Stati Uniti. È un castello di carte che si sta già sgretolando per il suo stesso peso.

Il dollaro USA era circa 20-25 anni fa ancora in sintonia con il 90% della valuta di riserva dominante nel mondo. Oggi questa percentuale è scesa a meno del 60% e sta diminuendo. Viene sostituito principalmente dallo yuan cinese come nuova valuta di riserva.

Questo è ciò di cui parla con la guerra commerciale avviata dagli Stati Uniti – screditando lo yuan, una moneta solida, basata sull’economia cinese – e sull’oro. “Sanzionare” l’economia cinese con le tariffe statunitensi, dovrebbe danneggiare lo yuan, per ridurre la sua concorrenza con il dollaro come valuta di riserva mondiale. Un tentativo Inutile.

Lo yuan è una valuta solida riconosciuta in tutto il mondo, la valuta della seconda economia più grande. Secondo alcuni standard, come spiegato dal PPP (parità di potere d’acquisto), l’indicatore socioeconomico più importante per l’umanità, la Cina è dal 2017 l’economia numero uno al mondo.

Questo, e altri continui attacchi di Washington, è un tipico gesto disperato di una bestia morente, che si agita selvaggiamente a sinistra, a destra, in alto e in basso attorno a sé per far cadere nella sua tomba il maggior numero possibile di avversari percepiti. Esiste ovviamente il chiaro pericolo che questa lotta per la sopravvivenza dell’impero possa finalizzarsi con uno scontro sul nucleare – dio non voglia!

La politica, la filosofia e la diplomazia di non aggressione della Cina e della Russia potrebbero salvare il mondo dall’estinzione, compresa la popolazione degli Stati Uniti d’America.

*Peter Koenig è un economista e analista geopolitico. Dopo aver lavorato per oltre 30 anni con la Banca mondiale, ha scritto Implosion , un thriller economico, basato sulla sua esperienza diretta. In esclusiva per la rivista online ” New Eastern Outlook. ”

https://www.globalresearch.ca/china-breaks-western-debt-stranglehold/5693814

Fonte: Global Research

Traduzione: Luciano Lago

https://www.controinformazione.info/la-cina-rompe-il-dominio-del-debito-occidentale-sul-mondo/

Chi abita Idlib?

Circa 18000 combattenti hanno lasciato la Cina per Idlib, dal 2015 hanno la loro enclave al-Zanbaqi al confine con la Turchia. Attualmente ci sono circa 40000 uiguri a Idlib, tra cui donne e bambini.
Molta attenzione è stata (recentemente) rivolta agli uiguri dai media occidentali. Improvvisamente gli uiguri sono al centro dell’attenzione occidentale, perché? Per ragioni democratiche o umanitarie? No, in ogni caso gli uiguri non sono importanti per l’occidente come gruppo. Vivono nella provincia più occidentale della Cina; Xinjiang, situata sulla Via della Seta. Appartengono alla fede musulmana (sunniti) e hanno stretti rapporti con la Turchia (la loro lingua è legata al turco e molti uiguri parlano turco). In Cina, dato il comunismo (si può effettivamente parlare di comunismo capitalista), alla gente non piace vedere una prominenza della religione. Molte fonti parlano dell’oppressione degli uiguri, ma non ci sono prove reali. Ecco perché così tanti uiguri (18000 sono solo una stima approssimativa) sono partiti per la Siria e in particolare per Idlib. che confina con la Turchia e ha un proprio partito; il Partito islamico del Turqistan (TIP), sotto la supervisione del servizio segreto turco e dagli stretti legami cogli altri gruppi presenti a Idlib: Tahir Ahrar al-Sham, al-Qaida e SIIL. Si dice che gli uiguri del Partito islamico del Turqistan abbiano trasformato la città di al-Zanbaqi (proprio al confine turco) in un campo isolato (enclave). Non sappiamo molto di ciò vi succede, è una città proibita. Questi uiguri affermano di essere al-Qaida e si rifiutano di tornare in Cina (dove sarebbero perseguiti e molto probabilmente condannati a morte).

I jihadisti a Idlib
La popolazione siriana è ancora presente a Idlib: secondo le informazioni dell’Ufficio centrale di statistica della Siria, Idlib aveva una popolazione di 98791 abitanti nel 2004 e nel 2011 era di circa 165000. Prima che i jihadisti (compresi gli uiguri) iniziassero il terrorismo contro la popolazione siriana e dichiarassero la cosiddetta rivoluzione, col sostegno dell’occidente, gli abitanti erano principalmente musulmani sunniti, ma c’era anche una minoranza cristiana. La minoranza cristiana fu costretta a “islamizzarsi” e i restanti sunniti siriani dovettero partecipare alle pressioni di tali jihadisti sponsorizzati dall’occidente. La propaganda dei media occidentali è che l’Aeronautica siriana in cooperazione coi russi bombarda e uccide (su vasta scala) la popolazione siriana a Idlib. La vera storia è che i jihadisti (compresi gli uiguri), lentamente ma inesorabilmente uccidono il popolo siriano, confiscano le terre agricole di cristiani e sunniti, confiscando case e trasformano le donne in schiave. Fortunatamente, la maggior parte della popolazione siriana fuggì, circa 66000 nel 2011, e diverse migliaia negli anni successivi. La Siria bombarda principalmente le case vuote in cui i jihadisti si sono trincerati e anche l’enclave degli uiguri. Naturalmente vi sono vittime civili, come in tutte le guerre. Ma la maggior parte dei morti sono jihadisti e i loro aiutanti caschi bianchi, di al-Qaida. Anche gli ospedali da campo dei jihadisti vengono bombardati (questi non sono ospedali dello Stato siriano). I cittadini siriani che vivono ancora a Idlib e dintorni non ricevono assistenza medica e vivono con 20-30 dollari al mese se sono fortunati.

Conclusione
Di recente, 22 Paesi firmavano una dichiarazione per porre fine a detenzione forzata e violazioni dei diritti contro musulmani e minoranze nei “campi di concentramento” nella regione autonoma dello Xinjiang nella Cina nord-occidentale. Sulla base di certe fonti, gli uiguri sarebbero radicalizzati, anche se l’occidente chiama questo campo di rieducazione. Tale protesta dall’occidente è legata alle gravi perdite ad Idlib. L’occidente, il solo ad aver firmato tale dichiarazione, sponsorizza (o ha sponsorizzato) molti cosiddetti gruppi di “opposizione” a Idlib, come i caschi bianchi (al-Qaida) e altri 22 gruppi tra cui Jaysh al-Islam (ora Ahrar al-Sham). Se Idlib cadesse, i restanti jihadisti potranno ritornare in Europa, solo gli uiguri non possono tornare, la Cina li condannerà a morte! Erdogan della Turchia recentemente visitava la Cina cercando un equilibrio in questa difficile situazione. Da un lato, il Paese non può permettersi di entrare in conflitto con la Cina e la Russia. Nel frattempo la Turchia è “passata” al campo geopolitico di Russia e Cina, ricevendo i missili S-400 acquistati in Russia, venendo quindi sanzionata dall’UE. Resta il fatto che la Turchia in effetti sponsorizza i jihadisti e riceveva petrolio dallo SIIL nel 2016, venduto in Europa. Si svolge un gioco difficile.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

http://aurorasito.altervista.org/?p=8159

La fine delle rivoluzioni

La Cina ha una metodologia ben sperimentata per affrontare la slealtà. Chiamatelo metodo del referendum  Tian’anmen. Se il tuo pensiero è sbagliato, ti viene detto cosa pensare. Se rifiuti, ti richiameremo all’ordine e ti insegneremo pazientemente cosa pensare. Se rifiuti ancora, ti spariamo.

Mi chiedo quanti di questi giovani manifestanti di Hong Kong si rendano conto di come sarà il loro futuro. (I giovani hanno spesso uno scarso controllo dei loro impulsi, sono facilmente influenzabili e, non avendo una buona comprensione del rapporto causa-effetto, spesso non sono in grado di immaginare le conseguenze delle loro azioni). Sembra che il governo cinese stia lasciando che gli eventi facciano il loro corso, per ora. Questa è chiamata la fase “mark” di un algoritmo “mark and sweep“. Una volta che tutti i manifestanti saranno stati debitamente identificati (ora ci sono telecamere ovunque, specialmente in una città sovraffollata come Hong Kong, e il software di riconoscimento facciale è abbastanza efficace), il loro punteggio sociale sarà ridotto a zero, il che significa che non saliranno mai più a bordo di un aereo o di un treno, non occuperanno mai più una posizione di responsabilità o di autorità e potranno solo sperare in una vita di ozio (se ricchi) o di lavorare in fondo alla scala sociale (se poveri).

Come altre tecniche americane di cambio di regime, siano esse militari o finanziarie, la metodologia della Rivoluzione Colorata non è più in grado di produrre i risultati previsti, vale a dire il rovesciamento dell’autorità legittima e l’installazione di un governo fantoccio. Ma, proprio come le altre tecniche, è ancora in grado di fare vittime. A tutt’oggi, l’establishment di Washington ha perso completamente l’iniziativa, sia a livello nazionale che internazionale. Le guerre commerciali sono state perse, le guerre delle sanzioni sono cadute nel ridicolo, le minacce di escalation militare si sono rivelate vuote. L’intero sistema finanziario americano è un morto che ancora cammina. Cosa possono sperare i Washingtoniani? Beh, possono ancora usare la metodologia della Rivoluzione Colorata per fomentare rivolte futili ed inutili e, nel farlo, rovinare molte giovani vite.

 

Fonte: lesakerfrancophone.fr
Link: https://lesakerfrancophone.fr/lautopsie-de-la-revolution-de-couleurs
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Sono arrivati i coperchi

L’arrivo di militari cinese in Venezuela è senza dubbio un evento importante nella politica mondiale. A differenza della Russia, che ha una storia di proiezione di potenza all’estero, questa è una mossa estremamente rara. Benché interessi vitali cinesi siano in gioco nella guerra contro i gruppi terroristici in Afghanistan e Siria, la Cina si era astenuta dal pubblicizzare tali dispiegamenti. I rapporti riportano che i 120 militari cinesi erano arrivati sull’isola Margarita, nel Mar dei Caraibi, al largo della terraferma venezuelana il 28 marzo, “per fornire aiuti umanitari e militari alle forze governative”. Dopo averli consegnati, le truppe cinesi furono trasferite apparentemente in una struttura militare venezuelana. Mentre la consegna degli aiuti è una delle tante missioni previste, secondo i funzionari governativi, l’arrivo del personale militare cinese fu sottovalutato dalla stampa internazionale. Secondo l’Istituto internazionale di ricerca per la pace di Stoccolma, il Venezuela ha importato dalla Cina armi per 349 milioni di dollari tra il 2010 e il 2014, inizialmente con equipaggiamenti meno sofisticati come radar e aerei per addestramento, veicoli blindati e pezzi di ricambio, ecc. Nel 2017 arrivavano carri armati, munizioni, uniformi ed equipaggiamenti di fanteria, oltre a parti di ricambio e servizio per pezzi di fabbricazione russa. Una settimana prima, circa 100 militari russi furono schierati in Venezuela per installare una struttura di addestramento per elicotteri militari, ma i dettagli della missione cinese non furono divulgati. Vi è uno stretto coordinamento tra Mosca e Pechino su questioni di politica estera ed è del tutto concepibile che gli schieramenti dei due Paesi siano sincronizzati. Russia e Cina hanno pesantemente investito in Venezuela, quest’ultima superando di gran lunga la prima. Secondo un rapporto del LA Times, “Nel decennio conclusosi nel 2016, la Cina prestò al Venezuela circa 62 miliardi di dollari, molti dei quali che Caracas potrebbe ripagare col petrolio. Mosca negli ultimi anni ha dato al Venezuela 17 miliardi di dollari in prestiti e investimenti, e in dicembre i due governi firmavano un nuovo accordo in cui la Russia investirà 6 miliardi di dollari nel petrolio e dell’oro venezuelani”. “Cina e Russia sono i due principali creditori del Venezuela, e sono la principale forza economica che tiene a galla il governo di Maduro, facendo la differenza tra solvibilità e bancarotta, secondo gli esperti finanziari”.

http://aurorasito.altervista.org/?p=6410

Huawei risponde

Guo voleva che il mondo sapesse che le leggi statunitensi, incluso il recente CLOUD Act, “autorizzano il governo degli Stati Uniti a costringere le compagnie di telecomunicazioni ad assistere” la sorveglianza globale degli Stati Uniti, col pretesto del controspionaggio o del controterrorismo. La seconda ragione ha a che fare col 5G e i suoi benefici economici e sociali, secondo Guo. Huawei, dopo aver investito molto nella ricerca 5G negli ultimi 10 anni, posizionava l’azienda a circa un anno in avanti rispetto ai concorrenti. In sostanza, i Paesi che si preparano all’aggiornamento 5G nei prossimi mesi dovrebbero eventualmente parlare con Huawei, in un modo o nell’altro. La wireless di quinta generazione, o 5G, è la più recente tecnologia Internet mobile progettata per aumentare notevolmente velocità e reattività delle reti wireless. Col 5G, i dati trasmessi attraverso connessioni a banda larga wireless potranno viaggiare fino a 20 Gbps secondo alcune stime, diventando la spina dorsale delle città future e persino delle auto senza conducente. Il malvagio piano degli Stati Uniti, secondo l’executive di Huawei, è quindi mantenere la società fuori dalle attività delle reti 5G del mondo, presentando la soluzione cinese come minaccia alla sicurezza. In tal modo, gli Stati Uniti possono mantenere la propria capacità di spiare chiunque vogliano e allo stesso tempo fermare lo sviluppo di Huawei, essendo gli Stati Uniti rimasti indietro e poter recuperare in un secondo momento.

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio

http://aurorasito.altervista.org/?p=5778

Terre rare

Nella fretta di allentare la dipendenza dalle esportazioni di terre rare cinesi, che sono state in ogni caso limitate da Pechino, le nazioni e le aziende di tutto il mondo hanno messo in marcia una competizione spietata per acquisire una posizione dominante nel mercato delle terre rare. Ciò che sta al vertice dell’interesse dei raccoglitori di informazioni economiche, sono riferimenti in e-mail, videoconferenze, telefonate, fax e documenti finanziari a termini quali europio, terbio, disprosio, ittrio, samario e altre terre rare.

Poiché il mondo diventa più dipendente dall’high-tech e dall’ “Internet delle cose”, consistenti di computer, telefoni cellulari, elettrodomestici, televisori, sistemi di sicurezza, automobili, ecc., la guerra economica per il controllo dei minerali delle terre rare si intensificherà. Esiste l’estrema possibilità che il conflitto economico possa trasformarsi in conflitti a fuoco, come è già avvenuto nella RDC.

 

Fontehttps://www.strategic-culture.org/

Linkhttps://www.strategic-culture.org/news/2018/10/05/hot-economic-warfare-scrambling-for-rare-earth-minerals.html

 

 

Scelto e tradotto per http://www.comedonchisciotte.org da NICKAL88

Nave ospedale cinese in Venezuela

Ricordiamo che durante la visita in America Latina ad agosto, il capo del Pentagono,James Mattis disse che gli Stati Uniti avrebbero inviato la nave ospedale USNS Comfort sulle coste colombiane per servire i migranti venezuelani nel Paese. Questo, allo stesso tempo minacciava in modo velato i Paesi che avevano “a cuore” i rapporti con potenze come appunto la Cina, contro cui Washington ha intrapreso una guerra dei dazi, e che,insieme alla Russia limita l’egemonia nordamericana nella regione.

La storia della “crisi umanitaria” si contraddice
Una delle principali promozioni dell’invasione militare in Venezuela è proprio la storia della “crisi umanitaria” che dal 2016 si amplifica nel Paese. Ciò evidenzia non solo la produzione mediatica di una situazione disastrosa che richiede attenzione, ma l’idea del clamoroso rifiuto delle autorità venezuelane di ricevere l’offerta di aiuti. Quest’ultimo elemento è nettamente contraddetto dall’arrivo dell’”Arca di Pace”. Il governo venezuelano accetta l’aiuto dalla Cina, ma nel quadro del rispetto e della cooperazione interistituzionale in contrasto alle minacce “umanitarie” poste dalle costanti esercitazioni militari guidate da Washington con Paesi come Colombia e Brasile, diretti vicini del Venezuela, oltre a dichiarazioni dei portavoce nordamericani. Questo, oltre alla nota strategia statunitense tramite gli “aiuti umanitari” per intervenire nei Paesi, come nei casi di Somalia, Haiti o Sud Sudan, in cui il risultato fu disastroso, paradossalmente, sul piano umanitario. Oltre alle dichiarazioni del comando USA, lo stesso presidente Donald Trump aveva ripetutamente insistito a “non escludere” l’opzione militare, mentre a maggio il vicepresidente Mike Pence osservò che Trump avrebbe fatto “tutto il necessario” per essere consultato sulla possibilità di un intervento militare .

“Missione Armonia” dello schieramento diplomatico cinese
Dato quando il governo cinese varò l’Arca di Pace nel 2008, il Venezuela è il 38.mo Paese ad accoglierla nell’ultima tappa della “Missione Armonia”, il tour in diversi Paesi intrapreso a giugno, come evidenziato da Global Times. Il suo arrivo nel porto venezuelano coincide con la fine del viaggio del Presidente Nicolás Maduro in Cina, con cui la cooperazione tra le nazioni veniva rafforzata in settori chiave economici, politici e militari. Qui, entrambe le nazioni firmavano 28 nuovi accordi di cooperazione in aree strategiche come petrolio, energia, estrazione mineraria, oro, ferro, tecnologia, istruzione e cultura, dichiarava la Vicepresidenza della Repubblica. L’He Ping Fang Zhou è lunga 178 metri e disloca 14000 tonnellate. Ha un equipaggio di 200 persone, anche se pià averne 400 in più, nel caso sia necessario più personale medico. Dispone di 5 aree mediche principali, 8 sale operatorie, 300 letti ospedalieri e circa 2666 dispositivi medici, secondo la rivista di Exponaval 2018, che si terrà in Cile tra novembre e dicembre, e in cui sarà presente la barca. Il portale Xinhua notava anche che le strutture possono ospitare un migliaio di persone al giorno, e tra i servizi vi sono cure primarie, pronto soccorso e persino il ricovero in ospedale. Oltre alle sale operatorie, in cui si stima possano essere eseguite 60 operazioni al giorno, è dotato di uffici e laboratori.

leggi tutto su http://aurorasito.altervista.org/?p=2698

Petroyuan contro petrodollaro

Il 26 marzo 2018, dopo aver posticipato più volte, la Cina finalmente decise di lanciare sull’International Energy Exchange lo schema di scambio petroyuan-oro, producendo un cambiamento fondamentale del sistema monetario internazionale. Tutti gli esportatori di petrolio verso la Cina dovranno accettare la valuta cinese, lo yuan, in cambio del petrolio. Come incentivo, vi è l’offerta cinese di convertire lo yuan in oro. Inoltre, la borsa di Hong Kong emetterà contratti a termine in yuan, nel commercio del petrolio, anche convertibili in oro. Gli esportatori di petrolio potranno persino ritirare tali certificati d’oro al di fuori della Cina, cioè il petrolio potrà essere pagato anche presso le cosiddette “Bullion Banks” di Londra. Con l’introduzione del petroyuán, si ha la maggiore sfida diretta al dollaro, finora valuta dominante mondiale nei contratti petroliferi. La strategia multipolare della Cina non sarà attaccare frontalmente il sistema del petrodollaro, ma indebolirlo progressivamente per fare sì che yuan ed altre valute come euro, yen, ecc. diventino essenziali come il dollaro, cioè costruire il mondo multipolare delle valute. Esistono accordi tra Banca centrale cinese (PBoC) e Banca centrale dell’Unione europea (BCE) per consentire scambi diretti tra yuan ed euro, firmando accordi per consentire a entrambe le valute di rafforzarsi reciprocamente ed incoraggiare la compenetrazione dei sistemi finanziari di entrambe le regioni. Quanto sopra è il chiaro segnale che l’Unione Europea mantiene la porta aperta all’integrazione nel mondo multipolare. Non solo c’è la minaccia esterna al dollaro, il peggiore pericolo, a nostro avviso, risiede negli stessi Stati Uniti. Il capitale finanziario globalista fa di tutto per far crollare il mercato azionario e attribuirlo alle “forze del mercato”, utilizzando i propri conglomerati mediatici in tale golpe del potere morbido della manipolazione. Il globalismo finanziario può portare a una crisi economica finanziaria mai vista dal 1930. La crisi della grande bolla dai tempi di Alan Greenspan, che assunse la presidenza della Federal Reserve (Fed) nel 1987 e la lasciò a febbraio 2006, crisi che oggi si tenta di attribuire, con tutti i mezzi, alla “cattiva” amministrazione del governo Trump.
Il Partito Democratico degli Stati Uniti, vero rappresentante politico del capitale finanziario globalizzato, vi troverebbe il momento opportuno per imporre l’impeachment del presidente Trump. Così il globalismo finanziario potrebbe non solo attaccare Trump e i funzionari che esprimono l’interesse del continentalismo finanziario USA e dei capitali nazionali emarginati dai globalisti, ma prenderebbe il controllo del governo degli Stati Uniti, imponendo la valuta globale della Banca di Basilea, la banca delle banche centrali del mondo, sotto il pieno controllo del capitale finanziario globalizzato, specificatamente sotto l’egemonia dell’impero dei Rothschild.

https://aurorasito.wordpress.com/2018/04/26/la-fine-dellimpero-del-dollaro/

Oriente e Occidente

Gli Occidentali vogliono esportare la democrazia per massimizzare i loro profitti, mentre i Cinesi vogliono massimizzare i loro profitti per sviluppare il loro paese. Negli ultimi 30 anni, la Cina non ha fatto alcuna guerra ed ha moltiplicato il suo PIL per 17. Nello stesso periodo, gli USA hanno fatto una decina di guerre e aggravato il loro declino. I Cinesi hanno salvato 700 milioni di persone dalla povertà, mentre gli USA destabilizzano l’economia mondiale vivendo a credito. Il risultato è che, in Cina, la miseria diminuisce, mentre negli USA cresce. Gli USA sono una “democrazia”, ma vi rovinano la vita. La Cina è una “dittatura”, ma vi dà la pace. Alla fine, non è tutto così male nel “revisionismo”

Leggi tutto https://www.controinformazione.info/elogio-delle-potenze-non-democratiche/

Birmania forever

Stavolta l’articolo è decisamente più lungo del solito, perché in realtà ce ne sono due: quello di Blondet e quello di Dezzani

(MB:  Che ci è andato a   fare El Papa in uno  stato buddhista, senza cristiani, per di più a prendere le parti della minoranza musulmana sovversiva, istigata dagli occidentali e dall’Arabia Saudita? Mi accingevo a scrivere un articolo per provare a spiegare – ma vedo che Federco Dezzani ne ha gà scritto uno molto  migliore. La sua frase chiave:

“Gli USA […] per aumentare la pressione mediatica su Rangoon si sono limitati ad inviare in viaggio apostolico Jorge Mario Bergoglio, che in Asia come in Medio Oriente, dimostra così di seguire pedissequamente l’agenda dei poteri che l’hanno portato al soglio petrino”.

 Esegue come un automa, o teleguidato, la politica che nell’area era stata dettata da Hillary e da Obama.  Una “politica papale” grottesca). 

“Crisi umanitaria” in Birmania: è sempre questione di petrolio e infrastrutture

29 novembre 2017da Federico Dezzani

 

Nella ex-Birmania, oggi Myanmar, è riesplosa la tensione tra la minoranza mussulmana e la maggioranza buddista. Washington e Londra hanno istallato ai vertici dello Stato il premio Nobel Aung San Suu Kyi, perché avvallasse la secessione della strategica regione mussulmana dell’Arkan. La giunta militare birmana, però, non intende cedere ed ha rafforzato i legami con la Cina: in palio ci sono i giacimenti di idrocarburi e la strategica via di comunicazione che unirebbe Pechino all’Oceano Indiano, senza passare dallo Stretto di Malacca. Si ripropone lo stesso schema sperimentato durante l’occupazione del Giappone, durante cui buddisti e mussulmani combatterono rispettivamente contro e a favore degli inglesi.

I mussulmani Rohingya, una vecchia conoscenza dell’impero britannico

Trascorrono gli anni, i decenni ed i secoli, ma la geopolitica non cambia e con lei restano immutati gli elementi basilari del contesto umano-geofrafico: divisioni religiose, minoranze etniche, catene montuose, stretti marittimi, vie di comunicazione, etc. etc. Certo, gli attori che si contendono l’egemonia non sono sempre gli stessi, ma il teatro dove si sfidano subisce pochissimi cambiamenti: è quindi sufficienti studiare cosa accade in passato, per capire il presente ed anticipare il futuro.

Corre l’anno 1942: l’impero nipponico è al suo apogeo, estendendosi dalla Manciuria alle isole Salomone, passando per la strategica Singapore che presidia lo Stretto di Malacca e separa l’Oceano Pacifico da quello Indiano. La Cina, schierata a fianco degli Alleati, riceve armi e mezzi attraverso una via di comunicazione costruita ad hoc: è la “Burma road” che consente ai rifornimenti angloamericani di passare dall’Oceano Indiano alla Cina continentale, attraverso la Birmania sotto controllo britannico. La volontà di tagliare questa strategica via di comunicazione, unita alla sete di materie prime, spinge Tokyo ad invadere la Birmania, partendo dalla Thailandia occupata.

Nel marzo 1942 cade la capitale Rangoon, obbligando gli inglesi a ritirarsi nella vicina India. I giapponesi possono avvalersi nella loro avanzata del sostegno di alcuni strati della popolazione birmana: i giovani nazionalisti ed i buddisti salutano con favore l’ingresso dell’occupante asiatico, che promette la liberazione dal giogo inglese. Al contrario, la minoranza mussulmana rimane fedele alla corona inglese e riceve armi ed equipaggiamenti da Londra per frenare la marcia dei giapponesi e dei loro alleati locali. La regione di Arkan, oggi Rakhine, è teatro di sanguinosi scontri etnici tra i buddisti-filogiapponesi ed i mussulmani-anglofili.Questi ultimi, concentrati nel litorale settentrionale, vicino al moderno Bangladesh, si chiamano Rohingya.

Una strategica via di comunicazione che unisce la Cina all’Oceano Indiano raggirando Singapore, la presenza di idrocarburi, una maggioranza buddista schierata su posizioni nazionaliste-militariste, una minoranza mussulmana su posizioni anglofile: sono questi gli elementi che, rimasti immutati a distanza di 75 anni, permettono di capire quanto sta avvenendo in Birmania.

Oggetto di un colpo di Stato di ispirazione socialista nel 1962, la Birmania rimane ai margini della Guerra Fredda. Fomentate nel 1988 alcune rivolte studentesche che anticipano la tentata rivoluzione colorata di Piazza Tienanmen, crollato il Muro di Berlino nel novembre 1989, anche Rangoon è sospinta dagli angloamericani verso “la democrazia”.

Nel maggio del 1990, si svolgono le prime elezioni libere dall’avvento dei militari, dominate dalla figura di Aung San Suu Kyi: figlia del “padre della patria” che contrattò con gli inglesi l’indipendenza del 1947, educata in Inghilterra, trascorsi alle Nazioni Unite, sposata con un cittadino britannico, Aung San ha tutte la carte in regola per traghettare la Birmania dall’economia pianificata al libero mercato. La giunta militare, conscia delle spinte centrifughe che attraversano il Paese, non ha però nessuna intenzione di abdicare: rifiutato l’esito delle elezioni, l’altisonante “Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo” scioglie l’assemblea ed arresta i leader politici d’opposizione. Lo smacco, per Washington e Londra, è cocente: assegnare il Premio Nobel per la Pace a Aung San Suu Kyi (1991) è una contromisura d’effetto, sebbene di scarsa efficacia. Gli anni ‘90 ed i primi dieci anni del XXI secolo trascorrono, infatti, senza che Rangoon mostri segni di ravvedimento, lasciando Aung San relegataagli arresti domiciliari.

D’altronde, le priorità degli Stati Uniti sono altre in quel momento: Bill Clinton deve espandere la NATO ad Est e ridisegnare i Balcani, George W. Bush sogna di ridisegnare il Medio Oriente e piantare la bandierina in Afghanistan, cuore dell’Eurasia. Mentre gli angloamericani dilapidano migliaia di miliardi di dollari in Iraq, la Cina cresce però vorticosamente: l’establishment liberal realizza che lo stesso Paese dove le aziende americane hanno delocalizzato sarà anche la maggior minaccia all’egemonia statunitense. Barack Hussein Obama lascia il Medio Oriente, dopo aver scientificamente appiccato l’incendio (Primavere Arabe del 2011), per focalizzarsi sull’Oceano Pacifico e su Pechino: è il “pivot to Asia”, che mira a contenere l’avanzata cinese con una serie di accordi politici-militari-economici (in primis, il TTP).

La Birmania, quindi, torna prioritaria. Il Segretario di Stato Hillary Clinton incontra Aung San Suu Kyi nel 2011, durante la sua visita ufficiale nel Paese asiatico1, ribadendo la predilezione di Washington per il Nobel della Pace, Nel 2015 si svolgono le elezioni legislative cui può partecipare anche la formazione della Aung San Suu Kyi, Lega Nazionale per la Democrazia: la vittoria arride, ovviamente, al “nuovo”. Alla Suu Kyi toccherebbe la presidenza, ma il passaporto britannico del defunto marito e dei figli le impediscono di assumere formalmente la carica, obbligandola ad assumere funzione equipollente di “Consigliera dello Myanmar”: con grande soddisfazione, Barack Obama riceve il premio Nobel alla Casa Bianca nel novembre 2016, affermando che è finalmente giunto il momento di revocare le sanzioni economiche alla Birmania2.

Il progetto di “democratizzazione” della Birmania contempla però, qui come in molte altre realtà (Russia, Iraq, Libia, Siria, etc. etc.), anche la frantumazione della Birmania, attraverso la secessione di importanti zone del Paese, dove vivono minoranze etniche e linguistiche. L’installazione ai vertici della Birmania di Aung San Suu Kyi dovrebbe infatti facilitare la secessione del mussulmano Arkan: la quasi concomitante comparsa nel 2016dell’Arakan Rohingya Salvation Army, formazione militare con forti legami con l’Arabia Saudita3, scatena la violenza nella regione e l’immediata reazione dello Stato centrale. Le tensioni riesplodono e, come ai tempi dell’occupazione giapponese, il Paese si polarizza: la giunta militare, espressione della maggioranza buddista-nazionalista, cerca appoggio presso la potenza asiatica emergente, la minoranza mussulmana, i celebri rohingya, è adoperata dagli angloamericani per i propri scopi.

Nel 2017, la potenza asiatica emergente non è ovviamente il Giappone, bensì la Cina: eppure l’interesse di Pechino per la Birmania è dettato dalle stesse ragioni che spinsero Tokyo ad allargare la propria sfera di influenza fino a Rangoon. Materie prime (la Birmania è un importante produttore di gas naturale e petrolio) e vie di comunicazioni. Come gli inglesi costruirono la “Burma Road” per raggiungere la Cina dall’Oceano Indiano, senza passare dallo Stretto di Malacca, oggi i cinesi progettano di sboccare sull’Oceano Indiano attraverso la Birmania, raggirando così Singapore ed un eventuale blocco angloamericano dello Stretto. La moderna “Burma Road” scorre, ovviamente, sui binari dei treni ad alta velocità/capacità ed è parte integrante della “Nuova Via della Seta”, il grande piano di infrastrutture ferroviarie/marittime/aeroportuali con cui la Cina vuole coprire l’intera Eurasia4.

La minoranza mussulmana dei rohingya è invece utile agli angloamericani come, e forse più, del 1942. Oltre ad essere in ottimi e storici con Londra e Washington, quest’etnia di fede islamica, da sempre ostile ai buddisti-nazionalisti, è concentrata nella regione dell’Arkan (oggi Rakhine) dove le ferrovie e gli oleodotti cinesi dovrebbero sfociare nell’Oceano Indiano5. La secessione della regione mussulmana, oltre a seppellire l’attuale Stato birmano, servirebbe quindi a vanificare la strategia di Pechino per raggirare lo Stretto di Malacca.

Gli angloamericani si sarebbero attesi dal premio Nobel una pubblica presa di posizione a favore dell’insurrezione mussulmana, primo passo verso l’indipendenza: la Aung San Suu Kyi, però, consapevole che tale mossa comporterebbe la sua immediata deposizione da parte della giunta militare che controlla ancora de facto il Paese,ha sinora taciuto, attirandosi pesantissime critiche dagli ambienti anglofoni che ne hanno curato l’ascesa.

La difesa dei rohingya è sinora toccato alla solita Amnesty International, basata a Londra, ed all’americanaHuman Rights Watch“Burma: Military Massacres Dozens in Rohingya Village6“Myanmar: contro i rohingya è pulizia etnica7”, etc. etc. Gli USA, attraverso il nuovo Segretario di Stato, Rex Tillerson, hanno avvalorato la tesi della “pulizia etnica” ai danni dei mussulmani, ma si sono sinora astenuti dall’imposizione di nuove sanzioni: per aumentare la pressione mediatica su Rangoon si sono limitati ad inviare in viaggio apostolico Jorge Mario Bergoglio, che in Asia come in Medio Oriente, dimostra così di seguire pedissequamente l’agenda dei poteri che l’hanno portato al soglio petrino.

 

 

Di fronte all’aumentare della violenza interna e degli assalti mediatico-diplomatici, la giunta militare ha reagito rafforzando ulteriormente il dialogo con la Cina: il comandante in capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing, si è recentemente intrattenuto sei giorni a Pechino, incontrando il Presidente Xi Jinping ed il suo omologo cinese8. Un’analoga visita dovrebbe prossimamente essere svolta anche dalla Aung San Suu Kyi9, testimoniando che il Nobel per la Pace, di fronte al rischio di balcanizzazione del suo Paese, si sta allontanando dai vecchi mentori.

La dinamica di fondo, lo spostamento del potere da Washington a Pechino, gioca a favore della giunta militare e dell’integrità della Birmania. Qualche pericoloso colpo di coda da parte dell’impero angloamericano è però inevitabile: l’imposizione di nuove sanzioni o, più probabilmente, la comparsa anche a Rangoon e dintorni dell’ISIS e dei “mujaheddin stranieri”.


http://federicodezzani.altervista.org/crisi-umanitaria-in-birmania-e-sempre-questione-di-petrolio-e-infrastrutture/

e a parlare di Cristo è stata lei, la buddista. El Papa se l’è dimenticato

(Dal commento di Sandro Magister):

C’è stato un solo momento in cui è stato fatto il nome di Gesù e annunciato il suo Vangelo, nei discorsi della prima giornata della visita di papa Francesco in Myanmar.

Solo che a dire queste parole non è stato il papa, ma la consigliera di Stato e ministra degli esteri birmana Aung San Suu Kyi, di fede buddista:

Gesù stesso ci offre un ‘manuale’ di questa strategia di costruzione della pace nel  Discorso della montagna. Le otto Beatitudini (cfr Mt 5,3-10) tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù –, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia.

“Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo”.

Una nobile lezione di  diplomazia, stile  e spiritualità,   per chi la vuol  capire.

L’articolo PERCHE’ MAI BERGOGLIO IN MYANMAR, SE NON IN MISSIONE “AMERICANA”? è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.

Venezuela sotto assedio

Ricorrendo a falsità come l’uso dei “collettivi” per sopprimere le dimostrazioni e le “torture” delle forze di sicurezza dello Stato venezuelano, il dipartimento di Stato propone di fare del 19 aprile il punto di svolta per inasprire l’assedio del Venezuela e ampliarne le sanzioni, rendendole più aggressive e dirette.
3. Il CFR (vedi nota) afferma che gli Stati Uniti dovrebbero collaborare con Colombia, Brasile, Guyana e Paesi dei Caraibi per prepararsi a un eventuale “aumento dei profughi”, convogliando risorse alle varie ONG e organizzazioni delle Nazioni Unite e dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Ma al di là di tale avvertimento d’intervenire in Venezuela, esiste una vera operazione politica: l’ONG finanziata dallo stesso dipartimento di Stato Human Rights Watch (HRW) pubblicava il 18 aprile 2017 una relazione su come la “Crisi umanitaria” si diffonda in Brasile. Sulla base di testimonianze specifiche e ingigantendo i dati sull’immigrazione, HRW ha avuto l’opportunità d’invitare i governi della regione (in particolare il Brasile) a fare pressione sul governo venezuelano, come richiesto dalla strategia proposta dal CFR. Luis Florido, capo di Voluntad popular, attualmente viaggia in Brasile e Colombia per tentare di riattivare l’assedio diplomatico contro il Venezuela dai Paesi confinanti. Il think tank statunitense chiede inoltre che questi Paesi, sotto la guida di Stati Uniti e Fondo Monetario Internazionale (FMI) organizzino un piano di tutela finanziaria per il Venezuela, che eviti investimenti russi e cinesi nelle aree strategiche del Paese. Nei giorni scorsi Julio Borges usò la carica parlamentare e di portavoce politico per diffondere il falso messaggio che propaga la storia della “crisi umanitaria” in Venezuela. È la stessa strategia del CFR che sostiene che il dipartimento di Stato degli Stati Uniti dovrebbe coinvolgersi ulteriormente negli affari interni del Venezuela, con l’attuale direzione di Rex Tillerson legato alla società petrolifera Exxon Mobil (era il direttore generale dal 2007 fin quando assunse questa posizione pubblica), un finanziatore del CFR.

Dove i capi dell’opposizione entrano in gioco
Le azioni in corso, svelando l’urgenza geopolitica nella strategia del colpo di Stato contro il Venezuela (affiancata dalle ultime affermazioni dell’ammiraglio Kurt Tidd del comando meridionale degli Stati Uniti sul bisogno di scacciare Cina e Russia quali alleati dell’America latina), riflette anche come abbiano delegato la creazione di violenze, caos programmato e procedure diplomatiche (nel migliore dei casi con l’uso esclusivo di Luis Florido) ai loro intermediari in Venezuela, in particolare i capi dei partiti radicali anti-chavisti. Tali azioni degli Stati Uniti (e delle società che ne decidono la politica estera) hanno un obiettivo finale: l’intervento con mezzi militari e finanziari.

Come giustificare l’intervento
Le prove presentate dal Presidente Nicolas Maduro collegano i capi di Primero Justicia con il finanziamento del vandalismo contro le istituzioni pubbliche (il caso TSJ di Chacao). Ciò che al di là del caso specifico rivela la probabile promozione di criminali, irregolari e mercenari (alleati e politicamente diretti) per inasprire ed incoraggiare le violenze per legittimare la posizione del dipartimento di Stato. L’ingannevole MUD è un’ambasciata privata che lavora per i grandi interessi economici di tali poteri, fondamentali per la sua strategia di avanzata. Che tali strategie possano tenere il passo in questo momento globale dipenderà da ciò che i loro sostenitori faranno sul campo. Tenuto conto delle risorse della guerra finanziaria e politica attuata da tali poteri (blocco finanziario, assedio diplomatico internazionale, attacchi programmati ai pagamenti della PDVSA, ecc.) e le manovre del dipartimento di Stato, si generano le condizioni per la pressione, l’assedio e il finanziamento dei loro agenti in Venezuela per la tanta annunciata svolta che non arriva. Ed è necessario che arrivi per chi ha finanziato e progettato tale programma.

estratto da https://aurorasito.wordpress.com/2017/05/07/chi-ce-dietro-il-colpo-di-stato-contro-il-venezuela/

NOTA: Origine e attori chiave del CFR
Il Consiglio sulle Relazioni Estere, o CFR, è un think tank fondato nel 1921 con il denaro della Fondazione Rockefeller. Il suo obiettivo è creare un gruppo di esperti che formino la politica estera statunitense e le posizioni della leadership, come presidente e dipartimento di Stato, non agendo per proprie ragioni, ma piuttosto secondo gli interessi di tali lobbisti.