Scelte collettive

Il ruolo chiave della politica, o del “pubblico” più in generale, è di mediazione ed analisi di risorse per prendere decisioni collettive su una gamma di scelte alternative. Questa funzione chiave risale già ai primi del ‘900 con l’opera di Vilfredo Pareto ed in particolare con il secondo teorema dell’economia del benessere.
La branca della Public Economics è piuttosto scettica sulla efficacia di una democrazia diretta.
Sono i risultati della Teoria comportamentale (Behavioralism) sviluppata nel II dopoguerra.
In sintesi, ogni agente ha una informazione imperfetta sulle decisioni da prendere (vedi ad esempio le posizioni discordanti su ogm, cura del cancro, ecc.) spesso come effetto di informazioni che anche scientificamente sono in fase di definizione. Inoltre, spesso, anche i comportamenti degli individui sono distorti, vedi il problema di decidere se “bere o no” di un alcolista. La dipendenza pregiudica la libertà di decidere.
Aggiungo: esiste anche un problema di patto generazionale (i debiti di oggi sono tasse o minori servizi di domani) che in Italia ha come esempio eclatante la crisi del sistema pensionistico. Chi sceglie oggi determina in parte anche le possibilità di chi verrà domani.
Di pari passo segnalo gli studi di Kenneth Arrow che portano al celebre “teorema dell’impossibilità”, ovvero che non è possibile un metodo di scelta che preservi i requisiti di “universalità (esame di tutte le scelte possibili)”, “non imposizione”, “non dittatorialità”, “monotonicità” (se A>B e B>C anche A>C), “indipendenza dalle alternative irrilevanti”. Questo risultato “taglia le gambe” ad una ipotesi di democrazia diretta, se non in comunità di pochi “eletti” e per scopi limitati. Tra gli esempi di democrazia diretta la gestione delle risorse idriche nel Valenciano ed in alcune comunità svizzere (Elinor Ostrom). Ma i problemi di scelta pubblica non sono solamente a carico degli “elettori”.
Agli inizi degli anni ‘70 è stato studiato (Akerlof – Stiglitz) il problema delle asimmetrie informative. Scegliendo un “agente” (es un politico) il “principale” (l’elettore) è di fronte ad un problema di “selezione avversa” (non conosce le capacità del politico) e di “azzardo morale” (non sa come il politico si comporterà nel suo mandato, dato che, in genere, ha sempre alcuni interessi personali che possono distorcere le decisioni).
La scelta di un politico, come di un professionista, è definita come “scelta fiduciaria”: non conosco ex ante la “bontà del prodotto” (beni/servizi ordinari, come una confezione di pasta di marca nota), non posso conoscerla immediatamente dopo l’acquisto/voto (beni/servizi sperimentali, come una vacanza acquistata a catalogo), spesso la bontà della scelta la si apprende solo dopo anni, e non sempre è agevole individuare chi è responsabile ed in quale misura di decisioni che hanno portato ad esiti positivi/negativi.
La soluzione a tutti questi problemi che ad oggi va per la maggiore è strutturata più o meno così:
1) “participatory budget”, ovvero includere rappresentanze di “stakeholder” (operatori economici, associazioni, ecc) nella scelta di destinazione delle risorse, acquisendo in modo tracciabile e documentato suggerimenti e la analisi che ne viene fatta.

2) La scelta è però una responsabilità del politico che è obbligato a documentarla ed a rendere accessibile il ragionamento sviluppato.
3) “segregazione dei poteri”: al politico (sindaco + assessori) il potere di decidere “cosa fare”, ad un team tra politici e tecnici “come finanziare” (tasse, debito, compartecipazione spesa, accesso a fondi terzi e donatori in denaro, ma anche in servizi, come le associazioni). Competenza esclusiva del tecnico su “chi finanziare” o “da chi acquistare” per escludere il rischio di sperpero di risorse con spese a mera finalità elettorale (pork barrel spending). Scelta tramite tender elettronico (portale MEPA, acquisti inretePA) o tramite gara tradizionale.
4) sugli appalti, pre-qualifica dei fornitori e condivisione scrittura dei bandi con fornitori qualificati obbligati da “patti di integrità” a segnalare se sono presenti requisiti esclusivi ed inutili (tipo “l’appaltatore deve essere biondo”)
5) trasparenza nelle scelte (assegnazione appalti, bandi) , che devono essere verificabili e basate su criteri “razionali” e ricostruibili (“open data”)
6) strumenti di segnalazione abusi (Organismo di vigilanza, indipendente dall’esecutivo) e protezione dei segnalatori (whistleblowing). Arma deterrente per fallimenti “patologici” della politica e degli organi burocratici come corruzione e appropriazione indebita.
7) monitoraggio ex post degli effetti delle decisioni, sia di spesa che di entrata, anche questo deve essere di pubblico accesso.
Un sistema complesso, in parte realizzato (MEPA), in parte da sviluppare su obblighi già previsti da Legge anticorruzione (192/2012) e semplicemente da attuare secondo le migliori prassi, in parte da disegnare (participatory budget, monitoraggio) in assenza di obblighi specifici di adozione.

Contributo di Riccardo Campi

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