La Brexit non avverrà

La Brexit non avverrà. Non si uscirà né a destra né a sinistra. È tempo di rassegnarsi a questa idea.

 

Con la firma dell’assurdo Benn Act, l’opzione di un’uscita non concordata è stata eliminata, il che significa che il Regno Unito sarà costretto o a rimanere nell’Ue o ad accettare un accordo che è un Remain mascherato sotto falso nome.

 

L’emendamento Letwin e la richiesta di estensione che Boris Johnson non ha firmato sono solo uno squallido teatro. Inutili chiodi in una bara ben sigillata.

 

Il tutto assomiglia molto a “Weekend con il morto” – un cast di personaggi deludente, che porta in giro il cadavere della Brexit per tenere in piedi uno scherzo usurato che non era divertente nemmeno all’inizio.

 

Il Parlamento è diventato un’assurda pantomima, dove un Primo Ministro pagliaccio – che ha distrutto di proposito la sua maggioranza – lancia alla ribalta uomini di paglia che l’”opposizione” infilza con un entusiasmo sempre più maniacale. Nessuno pensa alla politica o alle conseguenze del gioco, ma solo ad aumentare il conteggio delle sconfitte parlamentari di Boris Johnson.

 

I laburisti, e i remainer isterici nei partiti liberal democratico, TIG (The Indipendent Group) e Verdi sono diventati solo dei bastian contrari – votano automaticamente contro qualsiasi cosa venga presentata dal governo, per la semplice soddisfazione di umiliare il giullare di corte al comando.

 

Corbyn è stato abbagliato con tanto successo dal suo PLP pieno di remainders, che non si rende nemmeno conto che sta tradendo i principi in cui ha creduto per tutta la sua vita, il suo mentore Tony Benn e intere zone del cuore del Labour nel Nord, dove hanno votato tutti Leave.

 

E quando si arriverà a un’elezione generale, non conterà nulla.

 

I laburisti verranno probabilmente distrutti, dato che gli elettori della classe lavoratrice o passeranno al partito della Brexit o semplicemente cadranno nell’apatia dell’astensione e rimarranno a casa.

 

Se i laburisti dovessero riuscire a mettere insieme abbastanza elettori dalle zone pro-Remain in Scozia e a Londra in modo da raggiungere una stretta maggioranza, be’, il loro manifesto socialista verrebbe paralizzato dalla politica di austerità UE e dalle sue restrizioni alle nazionalizzazioni (dei servizi, NdVdE).

 

In ogni caso, Corbyn verrebbe rimpiazzato da un nuovo signor nessuno laburista, poco conosciuto e ancora meno valido. La stampa dichiarerebbe morto il socialismo (di nuovo) e forse darebbe una pacca sulla spalla a Corbyn per avere fatto “bene, considerato che…” e per avere “cambiato il dibattito”.

 

Ci verrebbe richiesto di festeggiare la nuova (inevitabile) leader donna, come segno di “progresso”, mentre la società continua a scivolare indietro.

 

Che i Remainers più ostinati ottengano o meno la loro “Votazione del Popolo”, e chiunque venga scelto nella giostra di indesiderabili proposti come Primo Ministro quando tutto alla fine dovesse concludersi, la Brexit è morta. Il Parlamento l’ha uccisa.

 

Questo sabotaggio continuo a fuoco lento è duro da guardare – ma non voglio parlare di questo.

 

Quello di cui voglio parlare è una domanda. Una domanda importante. Una domanda che peserà molto sulle spalle dei Remainers alla vigilia della loro – per mancanza di una parola migliore – vittoria:

 

– davvero vogliamo questo? L’Ue, esattamente ora, ha davvero l’aria di qualcosa di cui vorremmo fare parte?

 

Diamo un’occhiata alla situazione nel Continente.

 

 

PARIGI, FRANCIA – DICEMBRE 2018 (Foto da Chris McGrath/Getty Images)

La Francia è in una situazione miserabile, non ne può più dell’austerità. Stanca di tagli di spesa, di calo degli standard di vita e di politiche economiche neoliberali, che promettono un effetto redistributivo dall’alto che mostra di non avvenire mai.

 

A Parigi – e in molte altre città francesi – i Gilet Gialli si apprestano a organizzare la cinquantesima settimana consecutiva di proteste, e non sembra che il fenomeno stia rallentando (speriamo che abbiano in programma qualcosa di carino per il loro primo anniversario).

 

La gente ha perso occhi, mani e persino la vita. Le proteste di Hong Kong – così a lungo in prima pagina nel Regno Unito – sono state un picnic a confronto.

 

In Ungheria, un presidente eletto è tenuto in ostaggio dalla burocrazia dell’Ue.  Qualunque cosa si pensi di Orban, è stato democraticamente eletto per mantenere le promesse politiche che ha fatto durante la sua campagna elettorale. È perverso che Bruxelles possa sanzionarlo e minacciare di rimuovere i diritti di voto dell’Ungheria per questo. Anti-democrazia in nome della democrazia.

 

Dicono che si tratta di “proteggere i valori europei” vero?

 

È difficile da credere, considerando la situazione che abbiamo altrove in Europa…

 

 

La Spagna presto sarà in fiamme quanto la Francia (l’articolo è stato profetico – NdVdE). Hanno già mandato in prigione tredici esponenti politici per sedizione.

 

Prendetevi un momento per considerare la parola – vera “sedizione” (ribellione violenta per rovesciare il potere costituito, NdVdE).

 

Questo è avvenuto dopo che la polizia antisommossa è stata mandata a impedire un referendum pacifico. La polizia spagnola ha picchiato gli elettori, arrestato i manifestanti e distrutto le urne.

 

La polizia antisommossa spagnola insegna a un’anziana signora i valori europei. 

 

Per tutto questo al governo di Madrid non è stata assegnata nessuna punizione, e nemmeno una critica. Loro – al contrario di Orban – hanno evitato sanzioni e censure. La polizia attacca le proteste per l’indipendenza in Catalogna sulle strade di Barcellona… e il silenzio di Bruxelles è inquietante.

 

(Immaginate se la Russia avesse appena incarcerato 13 politici dell’opposizione per sedizione. Immaginate se Maduro avesse accecato i rivoltosi con pallottole di gomma. La differenza di copertura mediatica e di atteggiamento toglierebbe il fiato).

 

Qual è la differenza tra Budapest e Parigi? O tra Mosca e Madrid?

 

Be’, Orban è anti-Ue (come lo sono i Gilet Gialli). I governi di Francia e Spagna sono Pro-Ue, con un accanimento che giustifica in pieno la lettera maiuscola P.

 

Se segui l’agenda pro-Ue di austerità, immigrazione incontrollata e globalizzazione, allora puoi sparare proiettili di gomma negli occhi di tutti i manifestanti che vuoi.

 

Più guardiamo attentamente, più sembra che “valori europei” sia un modo per dire “potere europeo”.

 

Le discussioni riguardo all’esercito dell’UE ribollono dietro le quinte, mentre il Parlamento Europeo vota allegramente il massiccio finanziamento di programmi “StratCom” per “contrastare la disinformazione”.

 

Sentiamo parlare di pace, ma non la vediamo. Sentiamo parlare di prosperità, ma non ne godiamo.

 

L’austerità sta strangolando il luogo dove è nata la democrazia, e i suoi – ancora una volta, in mancanza di un nome più appropriato – “leader” spendono le entrate fiscali in propaganda e per l’esercito.

 

Tutto questo aiuterà anche un solo cittadino comune a uscire dalla povertà? Queste mosse sono progettate per rendere la vita giusta, uguale e semplice per i cittadini comuni? O per consolidare e far rispettare l’autorità?

 

Guardate all’Europa. Guardatela davvero. Sta bruciando. Eppure, i Remainers si siedono tra le fiamme e dicono che  va tutto bene.

 

Veniamo giudicati sulla base dei “valori europei”, ma questa frase ha perso di significato da anni, e tutti i giorni si avvicina sempre di più a una vera e propria parodia.

 

L’Europa è una nave che affonda, ma i topi del Parlamento si rifiutano di lasciarla.

http://vocidallestero.it/2019/10/24/brexit-il-parlamento-inglese-ammanetta-il-regno-unito-a-un-esperimento-fallimentare/

 

 

La perfida Albione

Il 16 febbraio 1938 Mussolini dà incarico a suo genero, il conte Ciano, ora Ministro degli Esteri di scrivere al suo ambasciatore a Londra, Dino Grandi, una lunga lettera “personale e segreta” che, naturalmente, il Capo del Governo ha personalmente dettata. Il Duce prega l’ambasciatore di abboccarsi “senza indugio” con il Primo Ministro. Egli “sa” che Hitler è ormai deciso a realizzare l’annessione dell’Austria. In tale eventualità non ci si può attardare ulteriormente ed esitare più a lungo se si voglia veramente salvare l’Europa e la pace. “Senza essere”, scrive egli, “più desideroso di ieri di tendere la mano agli inglesi, tiene a dar loro quest’ultima opportunità di salvare la barca dal naufragio”. Attendere ancora sarebbe follia. Egli suggerisce l’avvertimento che ”tutte le carte del gioco possono non rimanere sempre nelle stesse mani”.
Il 17 Grandi riceve il messaggio. Il 18 è ricevuto da Chamberlain. Il Primo Ministro apprezza la comunicazione. La sua buona volontà è fuori discussione. Ciò non ostante egli è ben lungi dall’essere sicuro che i suoi punti di vista personali siano condivisi da tutti gli altri membri del suo gabinetto. Quando Chamberlain riceve l’ambasciatore d’Italia ha al suo fianco Anthony Eden. Il colloquio, abbastanza agitato, non dura meno di tre ore. Finalmente, il Primo Ministro finisce per accettare un incontro. Il suo segretario di Stato agli Esteri non è d’accordo. All’uscita dal colloquio mobilita i suoi amici. Il 20 febbraio, durante un tempestoso consiglio dei Ministri, Eden dà le proprie dimissioni sbattendo la porta. Una crisi ministeriale si apre a Londra. La proposta del Duce non ha più seguito.
Hitler ha accuratamente e un poco ansiosamente seguito questi passi. Nota il loro insuccesso con soddisfazione poiché non tiene affatto a una conferenza internazionale che potrebbe imbrigliarlo. Ormai sa di non avere più nulla da temere da una Italia completamente isolata.
In queste condizioni il Führer giudica giunto il momento di realizzare il suo sogno di sempre attaccando la povera piccola Austria. Nel 1935 aveva già approfittato della tensione italo-britannica per decidere il riarmo del Reich; nel 1936 aveva profittato delle sanzioni per rioccupare la Renania; nel 1938 approfitterà delle medesime circostanze favorevoli per effettuare una simile operazione di forza. Il 12 marzo le sue truppe invadono il territorio della sventurata repubblica austriaca che d’altronde, i trattati del 1919 avevano avuto cura di mantenere disarmata.

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