La Costituzione “liquida”

I fatti sono che abbiamo un art. 3 della Costituzione che vincola lo Stato a promuovere l’eguaglianza sostanziale tra i cittadini, un art. 36 che tutela il reddito da lavoro, un art. 41 che vincola l’impresa privata al bene pubblico e un art.47 che tutela il risparmio, ma lo Stato, la BCE e l’UE hanno operato esattamente in senso opposto, e continuano a farlo.

I fatti inoltre sono il colpo di stato del 2011, che afferma la sovranità della BCE e della Germania sull’elettorato italiano; sono la sentenza della Corte Costituzionale che dichiara incostituzionale la legge elettorale ma legittimo il parlamento e la maggioranza parlamentare artefatta generati da quella legge incostituzionale; sono quella maggioranza i che elegge presidente della repubblica uno dei giudici costituzionali che avevano dichiarato incostituzionale la legge che la aveva prodotta.

I fatti, an cora, sono che abbiamo uno statuto della BCE che dispone che BCE, governi nazionali e governo comunitario non possano influenzarsi reciprocamente; ma nella realtà la BCE condiziona e guida le politiche nazionali con la minaccia di non comperare più i titoli del paese disobbediente, cioè di definanziarlo e farlo saltare.

I fatti più recenti sono strutturalmente complessi e configurano uno scenario di decomposizione generale della trama costituzionale nei suoi vertici istituzionali: capo dello stato e capo del governo.

Abbiamo la maggioranza degli elettori che vuole mettere in discussione i trattati europei e l’Euro (gli euroscettici in Italia ormai sono oltre il 70%), e la maggioranza parlamentare vuole fare un governo conforme a questa volontà, ma il predetto presidente della repubblica illegittimamente eletto, in contrasto con la volontà popolare, in violazione del suo dovere di difendere l’indipendenza della repubblica, e in ottemperanza alla volontà dei potentati europei, gli impone di nominare un premier e ministri che siano o perlomeno si dichiarino europeisti promettendo di non contestare i trattati.

Abbiamo una legge elettorale esplicitamente disegnata per produrre coalizioni di partiti, e abbiamo una coalizione che ha ottenuto la maggioranza relativa, ma il presidente della repubblica non ha dato al capo di questa coalizione nemmeno l’incarico esplorativo per formare il governo.

Abbiamo un partito di maggioranza relativa, principale componente della maggioranza, che, contrariamente all’art. 67 Cost., non concepisce i propri parlamentari come parlamentari – cioè rappresentanti dell’intero popolo, dotati di discrezionalità politica per le varie scelte – bensì come delegati, mandatari, che sono tenuti ad eseguire una volontà degli attivisti del partito, come volta per volta raccolta e dichiarata da una piattaforma informatica privata, soggetta peraltro al placet di un garante supremo non eletto.

Abbiamo che questo medesimo partito, che si definisce non-partito e sanziona con pesanti multe i suoi eletti che non stiano nei ranghi, è legato e forse sottoposto a società commerciali (Piattaforma Rouseeau, Casaleggio e partners) di cui non è chiaro chi le controlli e da dove, anche se è abbastanza evidente che la testa era negli USA; tutto ciò può essere un bene, piuttosto che un male, ma è anomalo e misterioso.

Abbiamo i due partiti di maggioranza che fanno approvare dalle loro basi il patto di governo, impropriamente denominato “contratto”, prima di presentarlo al presidente e al parlamento e prima di designare il capo del governo.

Abbiamo un capo del governo tecnico, non eletto, privo di qualificazioni e di standing politico, scelto dai partiti di maggioranza in un compromesso col Quirinale, e che chiaramente è egli stesso un delegato, un mandatario tenuto ad eseguire il “contratto” deciso da altri, in rottura dell’art. 95 Cost., che stabilisce che il capo del governo dovrebbe dirigere l’azione del governo e la sua politica generale.

Il quadro generale vede quindi una costituzione liquefatta, completamente demolita dai rapporti delle forze materiali e degli interessi – con gli interessi e le forze esterni all’Italia che partecipano e si impongono attraverso il capo dello stato italiano. L’osservanza della costituzione, almeno nei principi, dovrebbe essere il fondamento della legittimazione del potere statuale; ma quel potere li viola sistematicamente. Si sta dando, e ci sta imponendo, un’altra costituzione. E la sta formalizzando con nome prodotte ad hoc.

Adesso tutto questo sta diventando chiaro e tangibile a tutti. Tutti hanno l’opportunità di percepire che la Costituzione repubblicana è defunta, che non garantisce, che non fa argine ai poteri di fatto, interni ed esterni, e che l’Italia è un protettorato di interessi esterni. D’ora in poi sarà acquisizione popolare che il sistema reale non è quello formale, che il Rubicone viene continuamente attraversato. Un’era è finita, l’era dell’illusione che le parole scritte sulla carta abbiano potere rispetto ai poteri materiali. Il dibattito politico futuro sarà diverso, sarà più vicino alla realtà.

http://marcodellaluna.info/sito/2018/05/26/il-conte-galleggia-sulla-costituzione-liquida/

La legge bancaria del 1936

C’era un tempo (poco più di vent’anni or sono, ma sembrano secoli) in cui le banche erano ordinate per categorie. Le banche d’affari da un lato, le banche di credito ordinario dall’altro. E le banche di credito ordinario erano suddivise in Istituti di diritto pubblico, banche d’interesse nazionale strutturate in società per azioni controllate dall’Iri, Casse di Risparmio nate sulle fondamenta di antichi Monti di Pietà o come emanazione delle Istituzioni locali, Banche Popolari di natura cooperativa, sorte già nell’Ottocento a fianco o per iniziativa dei movimenti dei lavoratori, ed infine le più minuscole Casse Rurali ed Artigiane, anch’esse di natura cooperativa.

Era questo l’impianto della legge bancaria del 1936, spazzato via negli anni ‘90 dal nuovo Testo Unico Bancario.

La nuova regolazione, o meglio “deregolamentazione”, ha abolito anzitutto la distinzione tra banche d’affari e banche di credito ordinario, introducendo la nuova figura della “banca universale”, che può fare di tutto: dal credito a medio e lungo termine alle speculazioni sul mercato  finanziario, all’attività assicurativa, e strutturata obbligatoriamente in società per azioni. Si sono disperse in questo modo competenze consolidate, e si sono improvvisate competenze inesistenti. Ed il nuovo comandamento “creare valore per gli azionisti” obbliga i manager e gli amministratori ad un’ottica di breve periodo, perché anno dopo anno essi devono far crescere gli utili di bilancio ed il valore dell’azione in Borsa, e solo su tali  risultati sono giudicati

Gli effetti di queste distorsioni cominciano ad essere sotto gli occhi anche di chi è cieco perché non vuol vedere.

leggi tutto su  http://www.lafinanzasulweb.it/2016/banche-in-crisi-il-nodo-della-deregulation/

Il danno del denaro creato dalle banche

Il danno del denaro creato dalle banche

Sarà un caso, ma forse non lo è affatto, che l’articolo di Wolf sia stato preceduto a marzo da una pubblicazione della Banca d’Inghilterra la quale ripete una decina di volte in poche pagine che sì, sono proprio le banche private la fonte maggiore della creazione di denaro. Tanto per cominciare: “In pratica la creazione di denaro differisce da vari malintesi popolari: le banche non agiscono semplicemente da intermediari, dando in prestito i depositi effettuati presso di loro… Ogni qualvolta una banca fa un prestito, crea simultaneamente un corrispondente deposito sul conto del mutuatario, creando in tal modo nuovo denaro.” (Bank of England, “Quarterly Bulletin”, n. 1, 2014). C’è da sperare che gli economisti ortodossi i quali insegnano ancora ai loro studenti che le banche possono prestare soltanto il denaro che tengono in cassa, mostrando così di ignorare nel loro insegnamento il ruolo fondamentale che svolge nel sistema economico la creazione privata di denaro, trovino modo di dare una scorsa, oltre che all’articolo in parola, pure al bollettino della BoE.

Luciano Gallino