Picciotti

Ne parlò il presidente della Commissione Antimafia Carraro il 20 giungo 1974 rivolgendosi al ministro degli esteri Aldo Moro: “La commissione è stata informata dell’esistenza di un documento, fino ad ora non reso pubblico, che sarebbe allegato all’articolo 16 del trattato di armistizio (l’armistizio lungo) stipulato nel 1943 tra l’Italia e le potenze alleate. Poiché detto documento- che conterrebbe l’indicazione di numerosi elementi mafiosi cui sarebbe stata assicurata l’impunità- si rivela di enorme interesse ai fini della ricostruzione del fenomeno mafioso in Sicilia …, la Commissione ha deliberato di acquisirlo agli atti”. Si fa riferimento all’armistizio siglato da Badoglio ed Eisenhower il 29 settembre 1943 a Malta, ma dalla ricerca negli archivi che ne susseguì si scoprì la strana mancanza di questa postilla, ovviamente da allora non se ne parlò più, la carriera di Carraro venne stroncata all’istante. Ma nel trattato di pace stipulato a Parigi nel febbraio 1947 l’articolo 16 imposto dagli Stati Uniti recita così: “L’Italia non perseguirà, ne disturberà i cittadini italiani, particolarmente i componenti delle Forze Armate, per il solo fatto di avere, nel corso del periodo compreso tra il 10 giungo 1940 e la data dell’entrata in vigore del presente Trattato, espresso la loro simpatia per la causa delle potenze Alleate ed Associate od avere condotto un’azione a favore di detta causa”. Il riferimento ai civili e non ai soli militari non lascia dubbi, si tratta dei mafiosi e di tutta la pletora di massoni, ex-fascisti ed anticomunisti riuniti dai servizi segreti americani nel complotto anticomunista. L’impunità di cui ha goduto la mafia è presto spiegata, quella stessa impunità che oggi hanno ereditato i politici italiani, specie quelli coinvolti negli scandali legati alla corruzione; dunque non deve sorprendere l’andazzo delle cose italiche, in Italia l’impunità è legge, il nostro paese è una vasta area criminale dove gli americani in mezzo secolo e le multinazionali oggi imperversano indisturbate. Negli anni che seguirono il dopoguerra la C.I.A. (costituita daTruman nel 1947, riformando l’Office of Strategic Services, ndr) fidelizzò i picciotti della mafia anche in altre operazioni militari e paramilitari, celeberrima l’operazione Mongoose nota anche come The Cuban Project dove è provato il coinvolgimento di un piccolo esercito di picciotti che avrebbero dovuto spazzare via Fidel Castro; l’operazione fallì miseramente e John Fitzgerald Kennedy abbandonò sull’isola i siculo americani che vennero successivamente rimpatriati in cambio di viveri, trattori e medicine. La mafia se la legò al dito. Nella ricostruzione di Gianni Bisiach nel suo libro “Il presidente, la lunga storia di una breve vita” sono evidentissime le prove che collegano l’assassinio di tutti e due i Kennedy alla mala siciliana, segnatamente nelle figure dei boss Sam Giancana e Charles Nicoletti; si tratta di personaggi legati a doppio filo alla C.I.A.

http://www.controinformazione.info/mafia-esercito-della-c-i-a-spuntano-le-prove/

Lo sbarco in Sicilia

L’uragano di fuoco navale

Le truppe da sbarco di Patton erano in crisi, così le navi angloamericane ricevettero l’ordine di intervenire per salvare la situazione. Contro gli italo-tedeschi si scatenò, allora, un inferno di fuoco navale prodotto dai cannoni da 340 mm che “aravano” letteralmente sezioni di terreno procedendo di 100 metri alla volta, disintegrando qualsiasi forma di vita vi si fosse trovata. Poi si aggiunsero le bombe degli aerei inglesi, che erano finalmente riusciti a partire da Malta. I difensori dovettero ritirarsi. In un caso, un reparto italiano fu costretto ad arrendersi perché gli americani utilizzavano prigionieri di guerra come scudi umani. Nella “Relazione cronologica degli avvenimenti” del XVIII Comando Brigata Costiera, infatti, il generale Orazio Mariscalco annotò: “Il col. Altini comunica che la 49a btr. si è arresa perché il nemico veniva avanti facendosi coprire dai nostri soldati presi prigionieri…”.

 

Fu una carneficina per i giovani della “Livorno”, come ricorda Pierluigi Villari ne “L’onore dimenticato”: resisteranno ad oltranza per 24 ore tra i ruderi di Castelluccio di Gela. Un soldato così annotava nel suo diario: “Eravamo stretti uno all’altro, immersi nella polvere; era un martellare implacabile di una quarantina di cannoni navali, di pezzi di artiglieria campale, i colpi ci piovevano vicinissimo tutt’attorno mentre schegge, pallottole, sassi fischiavano sulla nostra testa”.

 

In totale, la “divisione fantasma”, come recita il titolo di un saggio di Camillo Nanni, lasciò sul campo, tra morti, feriti e dispersi, 7.200 uomini dei suoi 11.400 effettivi.

Anche nel settore inglese, più ad est, la divisione di fanteria “Napoli” insieme al Kampfgruppe “Schmalz”, combatté strenuamente fino all’annientamento. I pochi elementi superstiti si sacrificarono per permettere agli alleati tedeschi di ritirarsi sul fiume Simeto.

 

Alle due divisioni “Livorno” e “Napoli” che, pure, avevano giurato fedeltà al Re e non al Duce, sono stati negati per decenni, in nome della politica, la memoria e l’onore che spettavano loro per aver difeso, fino all’estremo sacrificio, il proprio paese.

 

Furono ben 630, infatti, le medaglie al valore – per gran parte postume – concesse ai militari del solo Regio esercito (escludendo Marina e Aeronautica) che difendevano la Sicilia. Di essi si ricordano il caporal maggiore Cesare Pellegrini, che impegnato in furiosi corpo a corpo, fu alla fine pugnalato nel fortino di Porta Marina; il sottotenente carrista Angelo Navari che col suo carro armato riuscì a impegnare una intera compagnia di soldati americani; il colonnello Mario Mona che resistette a oltranza di fronte alla spropositata preponderanza nemica per poi scomparire nella mischia; il sottotenente Luigi Scapuzzi che si sacrificò a Leonforte per permettere ai suoi colleghi e ai suoi uomini di poter ripiegare.

 

La stragi sconosciute dei prigionieri italiani

Ai soldati che caddero prigionieri, non sempre capitò una sorte migliore dei loro commilitoni caduti. Sono, purtroppo, diverse le stragi compiute dagli americani ai danni di militari italiani arresi e civili inermi. A questi eccessi contribuì in modo determinante lo spirito particolarmente aggressivo infuso da Patton ai suoi uomini. Riportiamo uno dei suoi discorsi agli ufficiali precedenti lo sbarco: «Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali! » Molti subalterni lo presero alla lettera, come dimostra, ad esempio, il Massacro di Biscari che vide 76 prigionieri italiani e 12 civili cadere sotto le mitragliate del capitano John Compton e del sergente Horace West. Come riferisce Andrea Augello in “Uccidi gli italiani”, Compton si giustificò dichiarando che credeva di aver ben interpretato le parole del generale Patton. Anche gli otto carabinieri di Gela che si erano arresi dopo una breve resistenza fiaccata dal tiro navale, come ha rivelato il saggista Fabrizio Carloni, furono passati per le armi senza motivo. E ancora, le stragi e gli ammazzamenti di Piano Stella, di Comiso, di Castiglione, di Vittoria, di Canicattì, di Paceco, di Butera, di Santo Stefano di Camastra e vari altri paesi sono stati indagati dai testi di Giovanni Bartolone (“Le altre stragi”), Franco Nicastro (“Le stragi americane”) e Gianfranco Ciriacono (“Le stragi dimenticate”). Quasi tutti i responsabili, nei casi in cui furono sottoposti a corte marziale, furono assolti o condannati a pene irrisorie. Pubblichiamo la sentenza di assoluzione del capitano Compton, solo per breve tempo desecretata dagli archivi americani. Justin Harris, in una tesi di laurea dell’Università di San Marcos, in Texas, spiega che la sentenza fu “not guilty” – non colpevole, perché la commissione che giudicò Compton apparteneva alla sua stessa divisione, la 45esima. Harris ha anche pubblicato i nomi di tutti i militari che facevano parte del gruppo di fuoco.

 

A Troina (EN), poi, cominciarono gli stupri, le uccisioni e le razzie del reparto Tabor, composto da 832 militari marocchini sbarcati al seguito della 3° divisione americana, che si protrarranno per quattro mesi fino alla Toscana segnando le vite di 60.000 italiani. Il dato si riferisce alle denunce raccolte dall’Istituto nazionale per le vittime di guerra, ma è sottostimato considerando che denunciare uno stupro, all’epoca, richiedeva molto coraggio. Notizie sulle cosiddette “marocchinate”, sono riportate da Bruno Spampanato in “Contromemoriale”.