Quindi, in un certo senso, l’emarginazione che esiste già per gli Himba all’interno della società della Namibia è stata rafforzata dal processo, seguendo la logica della profezia che si ‘auto-avvera’, in un quadro strettamente correlato e permeato da una narrazione dello sviluppo che giustifica e legittima questo tipo di politiche di intervento. L’intero iter del processo – e una concreta realizzazione del progetto della Diga – contribuirebbe alla ulteriore perdita di potere decisionale degli Himba e degli altri pastori nomadi, contraendo notevolmente le loro possibilità e minando profondamente la loro capacità di agire.
Una delle conseguenze della privatizzazione della zona di interesse sarebbe la condizione di povertà multidimensionale in cui verserebbe gran parte dei pastori, e che non è oggigiorno una loro caratteristica. In un’intervista rilasciata in data 18 gennaio 2008, il leader Himba Kapika esprime la sua paura con queste parole: “[Epupa]è un vero disastro, perché se tu uccidi i miei alberi, uccidi il mio bestiame, e quindi uccidi anche me, visto che non avrò mezzi per sopravvivere. Noi viviamo della natura, viviamo dei nostri animali e i nostri animali si nutrono di natura”. E ancora: “noi vogliamo essere ciò che siamo. Non stiamo soffrendo. Siamo contenti delle nostre vite”.
Questo rimanda al grido ‘the poor are not us’ e a come le mire dello sviluppo diventino talora ironiche e si carichino di quella emergenza che giustifica interventi nocivi per le popolazioni colpite. In questo caso, a mio parere, l’ironia dello sviluppo si concentra nelle parole del vice ministro della Giustizia, Albert Kawana, durante una conferenza tenutasi nel 2001 sugli Himba e sul relativo progetto di sviluppo, il quale ha dichiarato che “il Governo resta impegnato a costruire la diga poiché gli Himba, come tutti gli altri in Namibia, hanno il diritto costituzionale allo sviluppo, e il governo farà in modo che tale diritto gli venga riconosciuto”. Il ministro prosegue “l’impianto ad Epupa è uno degli strumenti che verranno utilizzati per portare gli Himba a svilupparsi. Il governo è determinato a far sviluppare tutte le comunità della Namibia, Himba compresi.”
Questa affermazione mi porta ad almeno due interrogativi: di che sviluppo stiamo parlando? Lo sviluppo è un diritto che parte dal basso (dalla volontà dei popoli) o è un dovere imposto con approccio “top-down”? Superando il punto di vista antropologicamente positivista che vuole che ci sia una ‘scala’ di civilizzazione di cui la società occidentale rappresenti l’apice, ci si rende conto che la globalizzazione e l’imposizione dall’alto di un modello di vita, per altro già opinabile e disastroso di per sé, è il modo perfetto per far retrocedere e tenere sotto scacco interi popoli ricchi in cultura e tradizioni.
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