Controinformazione

Allora chi ha creato il mito della compagnia mercenaria russa ChVK Wagner? La storia della Wagner viene dapprima promossa da tale Ruslan Leviev, (a capo del Conflict Intelligence Team, un sito di propaganda filo-ucraino che si camuffa da ‘sito di analisi militare’), e quindi rilanciata oltre che dai siti di propaganda neonazisti ucraini (come censor.net), da fonti come Radio Liberty, la radio creata dalla CIA per dare voce ai gruppi di fascisti e nazisti fuggiti negli USA e arruolati da Langley e Pentagono per la guerra fredda contro il blocco sovietico. La fonte russa che propaga l’esistenza della ChVK Wagner è il sito Fontanka.ru, universalmente ignorato in Russia data la totale inaffidabilità. In sostanza, non c’è alcuna prova dell’esistenza di tale compagnia mercenaria russa. Infatti, tutte le aziende in Russia sono registrate sui siti Brank.com ed Ergul.nalog.ru, dove tale compagnia non compare. L’unico documento ufficiale che menziona la “PMC Wagner” è non a caso del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti; tale designazione suscitava però ilarità nell’infosfera russa, dato che gli Stati Uniti avevano sanzionato un ente che non esiste.
Il mito della compagnia mercenaria Wagner nasce nell’agosto 2014, quando l’SBU, ovvero i servizi segreti ucraini, dovettero trovare una giustificazione per l’abbattimento presso Khrjashevatoe, vicino Luqansk, nel Donbas, di un aereo da trasporto militare ucraino con a bordo decine di paracadutisti inviati da Kiev per occupare l’aeroporto di Lugansk. Secondo l’SBU, furono i mercenari della Wagner che abbatterono l’aereo ucraino, non potendo dire che fu abbattuto da semplici operai del Donbas perché l’operazione d’assalto ucraina fu pianificata in modo sgangherato dai nuovi vertici ‘rivoluzionari’ fascisti e atlantisti ucraini che, appena preso il potere, epurarono i vertici delle forze armate ucraine, sostituendo personale competente con pagliacci neonazisti, psicotici settari e altri sgherri della CIA. Da allora l’SBU ucraina snocciolò cifre totalmente fantastiche su presunte perdite tra il personale del gruppo Wagner, che a quanto pare non sarebbe formato da veterani militari, ma da guerrieri della domenica con propensione al suicidio.Riferimento: Wagner Group

https://aurorasito.wordpress.com/2018/02/17/la-siria-e-i-mercenari-fantasma-russi/

Giri di valzer

Ora, non occorre ricordare che l’Arabia Saudita è il primario e dovizioso  finanziatore del  “terrorismo” in Siria  con miliardi di dollari  in stipendi ad armi a oltre 200  mila combattenti – allo scopo precipuo di violare l’integrità territoriale della Siria, ossia smembrarla, e rovesciarne il governo legittimo. Che è nemico giurato di Iran ed Hezbollah e tutti gli sciiti, la cui difesa militare ha scongiurato lo smembramento della Siria e la cacciata di Assad.  Men che meno occorre ricordare che il Regno wahabita ha sempre comprato miliardi di armi Made in Usa, essendo il principale cliente del complesso militare-industriale, e dipendendo per la sua sicurezza internazionale da Washington.

Non è un rovesciamento di alleanze  – restano  visioni divergenti sugli sciiti – ma è un impressionante cambiamento  rispetto a solo  pochi mesi fa. Il re saudita non si sente più protetto dagli Usa – o almeno non efficacemente – e si fida più della parola e dell’impegno di Mosca alla proprio “integrità”.   Adesso Russia e Saudia si stanno concentrando su un interesse comune ben chiaro:  far aumentare il prezzo del greggio (la Russia non è parte dell’OPEC) per il 2018.

Il professor Michel Chossudosky (il noto autore del sito canadese Globalresearch) ha fatto un rapido elenco dei “profondi sconvolgimenti delle alleanze geopolitiche cha stanno  per prodursi, minando l’egemonia USA in Medio Oriente ed   Asia centrale”, per effetto  dei ciechi errori americani e dei fermi successi di  Putin,  che i paesi dell’area stanno cominciando a vedere  non come una minaccia ma una  potenza militare di mediazione e di stabilizzazione, della cui parola, amici e “nemici”  possono fidarsi.

La Turchia,

membro della NATO, pilastro fedele dell’Alleanza contro l’URSS, nonché con Erdogan una delle forze scatenate contro Assad, sostenitrice di jihadisti e acquirente del petrolio di Daesh, adesso sta conducendo manovre militari congiunte con l’Iran attorno allo “stato” kurdo iracheno, sostenuto dagli Usa e Israele,nella cui indipendenza vede – esattamente come Teheran – un pericolo esistenziale per la Turchia; sta combattendo i ribelli curdi, sostenuti dagli Usa, che combattono contro Assad in Siria. Ed anche Erdogan sta comprando gli S-400 da Mosca, strappo primario al coordinamento e all’integrzione degli armamenti NATO fra alleati. La cooperazione militare di Ankara con Israele (più o meno occulta in funzione anti-Assad) è oggi gravemente minata. “Il legame più stretto che Ankara ha stretto con l’Iran contribuiranno a nuocere alle strategia USA e NATO a livello dell’intero Medio Oriente”.

I due progetti concorrenti. quello in blu è la casua della sistruzione della Siria. Adesso inattuale. 

Adesso, l’amichevole sfruttamento congiunto del loro giacimento marino fra Qatar e Iran, rende inutile quel progetto; e induce Doha ad aderire al progetto alternativo, di un gasdotto che partirà dal porto di Assulieh, in Iran, e traverserà Persia, Irak e Siria per sboccare in Turchia, ai mercati europei. Diffondendo nel passaggio ricche royalties a tutti gli stati  qui nominati. E’ un progetto sostenuto da Mosca. Il Qatar  inoltre conta di unirsi  ad un oleodotto  che  collegherebbe l’Iran alla Cina attraverso il Pakistan  sempre a partire dal porto di Assoulieh.

Risultato: “Il controllo geopolitico della Russia sui gas e oleodotti in direzione dell’Europa si è consolidato”, invece di indebolirsi come sperato dagli Usa (e NATO).

http://www.maurizioblondet.it/putin-costruttore-pace-geopolitico-possibile-sion/

Che l’inse?

A Peter ha risposto in un articolo Andrei Martianov. Che non è affatto un filorusso: uscito dall’accademia navale di Kirov, oggi  il personaggio lavora per lo US Naval Institute e la sua rivista Proceedings . Quindi è uno passato al nemico.

Ebbene: Martianov ricorda a Peters e a quelli per conto dei quali parla, che  l’idea di una facile vittoria sulla Russia in Siria è dilettantesca.  Ricorda che come (implicita) risposta alla morte del generale Asapov in Siria, ucciso con l’aiuto dei puntatori americani, l’aviazione strategica russa ha lanciato un missile da crociera invisibile X-101,  che ha un raggio di 5.500 chilometri; arma che può lanciare dal proprio territorio o da quello iraniano  senza problemi, data questa prodigiosa gittata. Ossia al riparo di una ritorsione Usa che non dispongono che di Tomahawk il cui modello TLAM-A Block II ha una gittata massima di 2500 chilometri, a BlocK Iv, il più prodotto, con un raggio di 1.600 .  Senza contare  i cento nuovi bombardieri strategici  russi TU-22M3 che possono rifornirsi in volo e hanno a bordo un’arma “alquanto intimidente, lo X-32 di crociera, che dopo mille chilometri arriva sul bersaglio alla velocità di Mach 4,2″, praticamente imparabile, ed è mirato alle portaerei. Martianov ricorda al dilettante che  il 7 ottobre 2015, quando una piccola lanciamissili russa lanciò tre Kalibr M14s   su un bersaglio  dello Stato Islamico in Siria,    non fece impressione ai terroristi, “fece una tale impressione”  a noi  che “la portaerei Theodore Roosevelt e la sua squadra d’appoggio  lasciarono quasi immediatamente il Golfo” e si posero prudentemente fuori portata dei Kalibr: i quali hanno una gittata di “soli” 2500 chilometri.  Si sa che in caso di guerra “vera”, le portaerei Usa avrebbero una sopravvivenza di una ventina di minuti.

estratto da http://www.maurizioblondet.it/si-intensifica-la-reductio-ad-hitlerum-putin/

Lezione di Putin all’Occidente

Qualche anno addietro il re dell’Arabia Saudita si era recato in visita da Putin a Mosca. Prima di partire disse che avrebbe voluto comprare, con denaro totalmente saudita, un grande apprezzamento di terreno ed edificare una grande moschea nella capitale russa. “Non ci sono problemi”, rispose il presidente russo, “tuttavia questo ad una condizione, che si autorizzi la costruzione, anche nella vostra capitale araba, di una grande Chiesa ortodossa”. “Non può essere”, disse il monarca saudita. “Perchè” ? Domandò Putin. “Perchè la vostra religione nn è la vera religione e non possiamo permettere che si inganni il popolo”, “Io la penso uguale sulla vostra religione e tuttavia permetterei di edificare il tempio se ci fosse reciprocità. Così che abbiamo terminato l’argomento”, rispose Putin. Il 4 di Agosto del 2013 il leader russo si è diretto alla Duna con questo discorso riguardo alle tensioni con le minoranze etniche: “In Russia dovete vivere come russi, Qualsiasi minoranza di qualunque parte che voglia vivere in Russia, lavorare in Russia e mangiare in Russia deve parlare russo e rispettare le leggi russe. Se loro preferiscono vivere in base alla Saharia e vivere una vita da mussulmani, li consigliamo di recarsi a vivere in quei luoghi dove questa sia la legge dello Stato.

http://www.controinformazione.info/la-lezione-che-putin-impartisce-alloccidente/

Iraq e Iran si riavvicinano

Occorre segnalare che la Russia e l’Iraq hanno firmato nel 2012 un insieme di accordi sulla cooperazione tecnico-militare per un valore di 4.300 milioni di dollari. Dopo l’invasione dell’Iraq da parte dell’ISIS nel 2014, la Russia e l’Iraq hanno rapidamente implementato un contratto per rifornire Baghdad con armi russe mentre gli USA rifiutarono di consegnare all’Iraq aerei da combattimento F-16 già pagati. Successivamente, ci sono state molte denunce di una aiuto coperto fornito da parte USA all’ISIS sotto forma di aviolancio di casse con armi e munizioni da “misteriosi” aerei ed elicotteri, secondo quanto hanno segnalato incluso membri del Parlamento iracheno. Nel Giugno del 2017, la Russia e l’Iraq hanno firmato un contratto per rifornire il paese arabo con sofisticati carri armati T-90. In questo modo  la cronologia di acquisti di armi russe da parte di Baghdad dimostra che l’Iraq preferisce queste ultime a quelle statunitensi. Nello stesso momento in cui Maliki si trovava a Mosca, il ministro della difesa iracheno, Irfan Hayali, visitava Teherán il 22 di Luglio del 2017, quando ha firmato con il suo omologo iraniano, Hussein Dahkan, un memorandoum di intesa sulla cooperazione nel camo della difesa fra i due paesi.

Al Maliki si incontra con Putin

Questo evento ha rappresentato uno schiaffo di Baghdad dato a Washington perchè ha avuto luogo in un momento in cui la Casa Bianca accusava cinicamente l’Iran di esere un “patrocinatore del terrorismo” e stava richiamando gli alleati degli USA a “isolare il regime iraniano”. Questo dimostra il fallimento della diplomazia USA in Iraq, paese che ha sofferto precisamente il terrorismo dell’ISIS e altri gruppi takfiri wahabiti, tutti patrocinati dall’Arabia Saudita ed altri alleati degli USA nel Golfo. Per la precisione l’Iran e lIraq si sono ripromessi di rafforzare la loro cooperazione militare per fare fronte ai terroristi ed estremisti ed alla loro ideologia. In questo senso, la rivista nordamericana Newsweek riconosce che entrambi i paesi sono stati obiettivo di attacchi terroristici e combattono contro questa piaga. A differenza di quello degli USA, l’aiuto iraniano è stato determinante perchè l’Iran potesse frenare prima l’ISIS e poi passare al contrattacco e ottenere una serie di vittorie contro il gruppo terrorista, l’ultima delle quali è stata la liberazione di Mosul. Newsweek segnala che gli USA temono una alleanza strategica tra Iran e  Iraq.La rivista enfatizza che i responsabili nordamericani non hanno reagito alla firma dell’accordo Iran-Iraq. Loro sanno che tale minaccia impedirà agli USA di giocare e fare danno, come ha fatto fino ad ora, alla sicureza dell’Iraq e di altri paesi della regione. Esiste inoltre un fattore religioso in questa alleanza che gli statunitensi non arrivano a comprendere. Due terzi degli iracheni sono sciiti e condividono le credenze della grande maggioranza della popolazione iraniana. Milioni di iraniani visitano i luoghi santi sciiti di Kerbala e Nayaf ogni anno e i vincoli di tipo familiare tra entrambe le popolazioni si stanno sempre più estendendo. I centri di apprendimento religioso doi Qom e Nayf mantengono solidi legami e non occorre dimenticare l’influenza della Mayaiyah (la Scuola Teológica di Nayaf) nella politica irachena. I saggi religiosi iracheni non desiderano vedere una presenza statunitense nel loro paese.

estratto da http://www.controinformazione.info/baghdad-si-unisce-allasse-mosca-teheran-damasco/

Ubi maior, minor cessat

Nonostante l’opposizione manifestata da Israele, la Russia ha proceduto a schierare un proprio contingente di truppe sul terreno nel sud della Siria nelle vicinanze delle Alture del Golan siriano (occupate da Israele ) per monitorare il regime di tregua stabilito. I media locali hanno informato circa i movimenti delle forze russe che hanno preso posizione già da Lunedì e si sono attestate nei pressi della città di Izra, nella provincia meridinale di Darra, dove realizzeranno la missione di vigilare l’adempimento della tregua stabilita nel sud del territorio siriano, tregua che era stata concordata negli accordi intervenuti rispettivamente fra il presidente Vlady Putin ed il presidente Donald Trump, lo scorso 7 di Luglio. Questa è la prima volta che la Russia schiera le proprie unità militari di questa consistenza in tale zona, per quanto il suo personale militare si trovava già nella città di Daraa per asssitenza militare ed addestramento delle truppe dell’esercito arabo siriano. Da fonti israeliane risulta che le forze russe, inclusi reparti speciali Spetsnaz, si stanno preparando a prendere posizione nei prossimi giorni anche nella zona di Al-Quneitra, nelle vicinanze delle alture del Golan siriano occupate da Israele. Tel Aviv ha comunicato a Washington ed a Mosca di opporsi totalmente alla presenza miltare russa sulla frontiera che divide con la Siria e sui territori occupati della Palestina, tuttavia la parte russa ha provveduto a vigilare con propri mezzi le nuove zone di distensione concordate.

Reparti speciali russi in Siria

Le autorità militari israeliane sostengono che l’accordo di tregua nelle regioni di Darra, Al Queneitra e Al Sweida potrebbe consentire l’incremento della presenza militare delle forze iraniane e del Movimento di Hezbollah (libanesi), fatto questo che costituirebbe una nuova sfida per le forze militari israeliane (IDIF) sulla zona, abituate a sconfinare ed a appoggiare i gruppi terroristi anti siriani che venivano riforniti ed assistiti dalle truppe israeliane. L’accordo citato si è realizzato dopo che la Russia, l’Iran e la Turchia avevano adottato nello scorso mese di Maggio il principio di creare quattro zone di sicurezza per instaurare una tregua duratura nelle varie regioni della Siria. Fonti: Al Masdar News – RT Actualidad Traduzione e sintesi: L.Lago

http://www.controinformazione.info/la-russia-mette-sotto-scacco-israele-inviando-proprie-truppe-nel-sud-della-siria/

La rivolta di Torino

Nell’agosto 1917, dopo oltre due anni di guerra, per l’Italia, nulla lasciava intravedere una rapida conclusione dell’immane conflitto, sempre più sanguinoso e con le linee dei fronti sostanzialmente bloccate sugli inferni delle trincee. Il 2 aprile 1917 il Congresso di Washington  decideva l’entrata in Guerra contro la Germania. Ma a causa della indisponibilità di un Esercito adeguato e di una flotta per trasportarlo e rifornirlo, gli effetti militari di tale decisione non potranno farsi sentire prima di un anno. L’Inghilterra, soprattutto, e la Francia avevano fatto “carte false” pur di far intervenire nel conflitto gli Stati Uniti. Decisione irreversibile e dagli effetti duraturi; per gli Europei la conclusione di un processo evolutivo che si conclude con la perdita del controllo dei loro destini. Da allora, ben prima della WWII,  l’Europa sarà di fatto succube del potere nordamericano. Durante un anno, all’Est,  la Germania potè tuttavia rallegrarsi della destabilizzazione del nemico russo, per la quale aveva operato a vari livelli. Nel febbraio  scoppiò infatti la Rivoluzione (o la “Prima Rivoluzione Russa” o la Rivoluzione dei menscevichi)  che portò all’ abdicazione dello zar Nicola II e ad un Governo Provvisorio. Fra la primavera 1917 e quella del 1918 mai l’Esercito del Kaiser fu così vicino alla vittoria.

In agosto, contemporaneamente all’XI Battaglia dell’Isonzo, tra italiani ed austro-tedeschi, finita in un altro bagno di sangue sostanzialmente infruttuoso, scoppiarono i “Moti di Torino”, esprimendo un sentimento popolare di crescente esasperazione, sicuramente influenzato dalla Rivoluzione Russa. Con un saldo di varie decine di morti, tra il 22 ed il 26 agosto, la rivolta, che assunse anche un carattere antimilitarista contro la guerra in atto, fu domata ed i dirigenti socialisti moderati ripresero il controllo del movimento operaio, anche per non accreditare l’ipotesi governativa di una rivolta “sobillata e finanziata dai Servizi tedeschi”...

Il bilancio finale fu di circa trenta morti fra i rivoltosi, una  decina fra le forze dell’ordine e quasi duecento feriti; vi furono un migliaio di arrestati; di essi, varie centinaia furono processati per direttissima e condannati a pene detentive. Tra il giugno e l’agosto del 1918 ebbe luogo, avanti al Tribunale Militare di Torino, un ulteriore processo che vide imputati dodici dirigenti socialisti ed un anarchico. Dalle risultanze processuali emerse che la rivolta era stata spontanea e non era frutto di alcun complotto.

Un’analisi non di parte, sfrondata della retorica insurrezionalista, porrebbe in evidenza che all’inizio del ‘900 Torino vantava un discreto tenore di vita. Sarà il conflitto a far registrare un sensibile degrado. Dopo i primi due anni di guerra, e pur lontano dal fronte, le condizioni dei lavoratori torinesi appaiono delicate: se nel 1914, una famiglia composta da cinque persone spende per nutrirsi 20 lire e 80 centesimi circa, nel 1917 quella stessa famiglia per acquistare gli stessi prodotti spende 39 lire e 50 centesimi.  La situazione precipita  quando si registra un ulteriore aumento dei prezzi dei generi alimentari: il 2 agosto il costo del pane aumenta di 10 centesimi al chilo. E viene introdotto il razionamento. L’esaurimento delle scorte di farina, sia pur temporaneo, il 22 Agosto 1917, allorché quasi tutte le panetterie di Torino rimangono senza pane, scatena la protesta. Dai quartieri operai si origina una rivolta spontanea, che unisce motivazioni economiche a rivendicazioni politiche; su tutte la fine della guerra.

Il carattere spontaneo della protesta popolare spiega il motivo della diversa denominazione dei fatti di un secolo fa: per alcuni  fu “La rivolta di Torino” o “I Moti di Torino”, per altri, riduttivamente, “lo sciopero del pane” o “la rivolta del pane”.

Gli storici “socialisti” indagheranno, nei decenni successivi, il fenomeno italiano del neutralismo durante la prima fase della guerra, che distinse il nostro movimento socialista pacifista dal socialpatriottismo franco-anglo-tedesco. Due storici hanno, in epoca più recente,  approfondito l’insurrezione di Torino (Paolo Spriano da parte della sinistra marxista, in  Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, Torino, Einaudi, 1958 ed Alberto  Monticone, dal punto di vista cattolico-liberale, in Gli italiani in uniforme. 1915-1918. Intellettuali, borghesi e disertori, Bari, Laterza, 1972 ed altri saggi),  togliendola dalle nebbie della cronaca e dalle diatribe dottrinali della sinistra.

Con ragione, essi hanno osservato come l’insurrezione di Torino sia un fenomeno «tipico» e «italiano» del socialismo in guerra, un fenomeno unico nell’Europa occidentale, d’insurrezione di una città durante il conflitto. Torino si caratterizzerebbe, anche se in modo minoritario, nella sua istintiva forza rivoluzionaria e coscienza internazionalista nella lotta per la pace, non in funzione di un pacifismo piccolo-borghese, ma di una volontà di rottura contro lo Stato; un esempio per il proletariato italiano, ma, altresì, di una carenza di quadri direttivi e di una vera  ideologia rivoluzionaria di classe.

Antonio Gramsci ed il gruppo dirigente comunista, riesaminando tale fatto su «Stato Operaio», vedranno uno degli elementi dell’insuccesso dell’insurrezione torinese nel mancato passaggio delle truppe nel campo dei rivoltosi. Scriverà Gramsci nel 1920:

 

“Invano avevamo sperato nell’appoggio dei soldati; i soldati si lasciarono trarre in inganno che la rivolta fosse stata provocata dai tedeschi…Le donne operaie e gli operai che insorsero nell’agosto a Torino, che presero le armi, combatterono e caddero come eroi, non soltanto erano contro la guerra, ma volevano che la guerra terminasse con la disfatta dell’esercito della borghesia italiana e con una vittoria di classe del proletariato. Con ciò essi proclamavano che la guerra non crea un interesse comune tra la classe borghese dominante e i proletari sfruttati, con ciò essi superavano in modo definitivo le posizioni pseudoclassiste e pseudointransigenti del Partito Socialista”.

 

Durante i giorni della rivolta antimilitarista, le donne furono magna pars della stessa ed un buon numero protagoniste di un episodio, poi testimoniato da una giovane operaia:

“Un migliaio di donne sbucarono dai portoni di tutte le case, ruppero i cordoni e tagliarono la strada ai carri blindati. Questi si fermarono un momento. Ma l’ordine era di andare ad ogni costo, azionando anche le mitragliatrici. I carri si misero in moto: allora le donne si slanciarono, disarmate, all’assalto, si aggrapparono alle pesanti ruote, tentarono di arrampicarsi alle mitragliatrici, supplicando i soldati di buttare le armi. I soldati non spararono, i loro volti erano rigati di sudore e lacrime. Le tanks avanzavano lentamente. Le donne non le abbandonavano. Le tanks dovettero arrestarsi”.

Come già emerso durante “La Settimana rossa” – guidata da Mussolini, Corridoni, Nenni, Malatesta – l’insurrezione popolare sviluppatasi ad Ancona e propagatasi dalle Marche alla Romagna, alla Toscana e ad altre parti d’Italia, tra il 7 e il 14 giugno 1914, per reazione all’uccisione di tre manifestanti ad Ancona ad opera della forza pubblica, dopo un’iniziale fiammata rivoluzionaria, con la proclamazione dello sciopero generale in tutta Italia, terminò quando la Confederazione Generale del Lavoro decise la cessazione dello sciopero ed il ritorno al lavoro. Scriverà più tardi Pietro Nenni:

 La Settimana rossa lascerà una traccia profonda nell’immaginario popolare come un momento in cui il proletariato aveva unitariamente dato prova della propria combattività, arrivando a sfiorare per un fugace attimo l’ebbrezza della rivoluzione sociale”.

Similmente a Torino, nel ’17, la rivolta fallì a causa della mancanza di unità: non c’erano organizzazioni in grado d’incanalare le forze e dare loro un programma. Il Partito Socialista Riformista, di carattere revisionista, funzionò come “il solito freno”, secondo i massimalisti. Nato nel 1912 su iniziativa di Leonida Bissolati, dopo l’espulsione dal Partito Socialista, con Ivanoe Bonomi e  Gino Piva, per il quale «il socialismo non è rivoluzionario, né riformista; è quello che il suo tempo lo fa, non può avere apriorismi: esso deve operare come può, nell’ambiente in cui vive».  Alle elezioni del 1913 aveva raccolto il 3,9 % dei suffragi e  19 deputati alla Camera.

Gran parte della classe operaia torinese s’ identificava con tale socialismo moderato, se non con il “giolittismo”. Mai a Torino c’era stata una rivolta contro il Governo (sempre i Carabinieri sono stati applauditi dal popolo!), se non nel settembre 1864, contro la decisione del trasferimento della Capitale a Firenze. Ma allora fu essenzialmente una strage causata dall’intervento precipitato e sconsiderato degli  Allievi Carabinieri.

Martedì 28 agosto, sedate le rivolte, le Autorità poterono annunciare che «l’ordine regna a Torino». Come scriverà Luigi Scoppola Iacopini sulla rivista Mondo Contemporaneo (Milano, Franco Angeli, 2009), in “I moti di Torino dell’agosto 1917 nelle memorie di un socialista”, cioè di Gino Mangini (1898-1983), autore di un lungo dattiloscritto  Illusioni e desillusioni di un vecchio socialista (1973?): “L’insurrezione popolare di Torino nelle giornate dell’agosto 1917  è, senza ombra di dubbio, l’unico vero atto di massa contro la Grande Guerra registratosi nel nostro Paese”. 

Alle ore 2 del 24 ottobre 1917 iniziò la battaglia di Caporetto che rappresenta la più grave disfatta nella storia dell’Esercito italiano. Dopo Caporetto il proletariato, senza alcuna direzione rivoluzionaria, rimase isolato e battuto dalle parole d’ordine governative e socialriformiste della «Patria sul Grappa», come fu sostenuto dalla sinistra radicale.

Al fronte, le classi subalterne italiane avevano scoperto la Patria, nella percezione di una comunità più grande di quella del piccolo mondo paesano o del gruppo sociale di appartenenza, fatta di un comune destino, in grado di apprestare gli architravi di una coscienza nazionale. I lavoratori, delle campagne e delle officine, sui campi di battaglia avevano cominciato a sentirsi veramente “italiani”: combattendo si erano guadagnati “i diritti di cittadinanza”, che per i contadini poggiavano sul diritto alla terra, per gli operai su di un equo salario ed una stabile occupazione. La promessa del generale Armando Diaz, di dare «la terra ai contadini», all’indomani della sconfitta di Caporetto, si configurò come il riconoscimento da parte delle classi dirigenti liberali della necessità di accelerare l’inclusione dei ceti popolari nello Stato-Nazione: non solo per vincere la guerra, ma per fondare sulla “nazionalizzazione delle masse” un nuovo sistema politico e statuale che ne sarebbe inevitabilmente scaturito. All’indomani di Vittorio Veneto, nel 1918, tale proposito non ebbe un seguito reale ed alla mobilitazione delle classi subalterne, che affondava le sue radici proprio nella domanda di inclusione sociale e di legittimazione, lo Stato liberale non seppe dare una risposta adeguata. In questa carenza trovò la sua origine il Fascismo.

http://www.barbadillo.it/67065-storia-i-moti-di-torino-dal-22-al-27-agosto-1917-domati-dai-socialisti/

Cosa è la UEE

l’UEE, che comprende cinque Paesi (Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Russia e Kirghizistan), ricchi di risorse naturali e con una popolazione totale di circa 184 milioni di persone. Nei primi mesi operativi dell’UEE, nel 2015, la cooperazione economica tra i suoi membri è cresciuta in modo esponenziale, attirando l’interesse di altri Paesi. Nel maggio 2015 la Repubblica araba d’Egitto, importante partner dei Paesi dell’UEE, presentava domanda ufficiale per la creazione di un accordo di libero scambio con l’UEE. Il 26 dicembre 2016, il Consiglio Economico Supremo Eurasiatico (SEAEC) riunendosi decise “l’avvio dei negoziati con la Repubblica araba d’Egitto per concludere l’accordo su uno spazio di libero scambio“. Secondo il documento, tutti gli Stati membri dell’UEE dovrebbero avviare negoziati con l’Egitto, con l’agevolazione della Commissione economica eurasiatica (CEE). Nel marzo 2017, una delegazione del Consiglio della Federazione Russa guidata dalla presidentessa Valentina Matvienko visitò l’Egitto. A Cairo, la signora Matvienko venne accolta dal Presidente egiziano Abdulfatah al-Sisi con cui discusse i dettagli dell’accordo UEE-Egitto, quindi affrontando la stampa, la Presidentessa del Consiglio della Federazione Russa affermò di affidarsi alla rapida istituzione dell’accordo, che porterebbe all’espansione della cooperazione economica e commerciale tra Egitto, Russia e i Paesi dell’UEE.
Un altro Stato vicino alla creazione di un accordo di libero scambio con l’UEE è la Repubblica Islamica dell’Iran, dai numerosi legami nei progetti economici congiunti con Russia e Armenia. Nel febbraio 2017, il Primo Viceprimo ministro russo Igor Shuvalov visitò la capitale iraniana. Uno degli argomenti principali nei colloqui con il Ministro dell’Industria, Miniere e Commercio Mohammad Reza Nematzade ed altri importanti esponenti del governo iraniano fu l’istituzione di un FTA. Nel marzo 2017, il Presidente iraniano Hassan Rouhani visitò la Russia. Durante l’incontro con il Presidente Vladimir Putin ricordò che nel 2016 il fatturato commerciale russo-iraniano era cresciuto del 70%. Con tale commercio intenso, la creazione di un FTA sarà probabilmente estremamente vantaggiosa per entrambe le parti. Il leader iraniano osservò anche che la cooperazione economica russo-iraniana aveva raggiunto nuovi vertici e che un accordo di libero scambio con l’UEE permetterà all’Iran di espandere il commercio con i Paesi dell’Unione e creare nuove condizioni regionali. Tuttavia, l’ora esatta dell’istituzione del FTA tra UEE e Iran va ancora annunciata. Nell’aprile 2017, il Consiglio Economico Supremo Eurasiatico si riunì e Shuvalov osservò che l’accordo non era ancora stato ultimato e che sarebbero necessari ulteriori lavori per la conclusione e la firma. Tuttavia, è improbabile che il progetto FTA UEE-Iran affronti seri ostacoli. Va ricordato che oltre al commercio intenso, l’Iran collabora con la Russia (che svolge un ruolo chiave nell’UEE) sull’energia nucleare. Alcun altro Paese ha dato tanto assistenza al programma nucleare iraniano come la Federazione Russa. Attualmente gli specialisti russi continuano la costruzione della centrale nucleare di Bushehr.

https://aurorasito.wordpress.com/2017/05/07/uee-nuovo-passo-verso-lintegrazione-eurasiatica/

Venezuela sotto assedio

Ricorrendo a falsità come l’uso dei “collettivi” per sopprimere le dimostrazioni e le “torture” delle forze di sicurezza dello Stato venezuelano, il dipartimento di Stato propone di fare del 19 aprile il punto di svolta per inasprire l’assedio del Venezuela e ampliarne le sanzioni, rendendole più aggressive e dirette.
3. Il CFR (vedi nota) afferma che gli Stati Uniti dovrebbero collaborare con Colombia, Brasile, Guyana e Paesi dei Caraibi per prepararsi a un eventuale “aumento dei profughi”, convogliando risorse alle varie ONG e organizzazioni delle Nazioni Unite e dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Ma al di là di tale avvertimento d’intervenire in Venezuela, esiste una vera operazione politica: l’ONG finanziata dallo stesso dipartimento di Stato Human Rights Watch (HRW) pubblicava il 18 aprile 2017 una relazione su come la “Crisi umanitaria” si diffonda in Brasile. Sulla base di testimonianze specifiche e ingigantendo i dati sull’immigrazione, HRW ha avuto l’opportunità d’invitare i governi della regione (in particolare il Brasile) a fare pressione sul governo venezuelano, come richiesto dalla strategia proposta dal CFR. Luis Florido, capo di Voluntad popular, attualmente viaggia in Brasile e Colombia per tentare di riattivare l’assedio diplomatico contro il Venezuela dai Paesi confinanti. Il think tank statunitense chiede inoltre che questi Paesi, sotto la guida di Stati Uniti e Fondo Monetario Internazionale (FMI) organizzino un piano di tutela finanziaria per il Venezuela, che eviti investimenti russi e cinesi nelle aree strategiche del Paese. Nei giorni scorsi Julio Borges usò la carica parlamentare e di portavoce politico per diffondere il falso messaggio che propaga la storia della “crisi umanitaria” in Venezuela. È la stessa strategia del CFR che sostiene che il dipartimento di Stato degli Stati Uniti dovrebbe coinvolgersi ulteriormente negli affari interni del Venezuela, con l’attuale direzione di Rex Tillerson legato alla società petrolifera Exxon Mobil (era il direttore generale dal 2007 fin quando assunse questa posizione pubblica), un finanziatore del CFR.

Dove i capi dell’opposizione entrano in gioco
Le azioni in corso, svelando l’urgenza geopolitica nella strategia del colpo di Stato contro il Venezuela (affiancata dalle ultime affermazioni dell’ammiraglio Kurt Tidd del comando meridionale degli Stati Uniti sul bisogno di scacciare Cina e Russia quali alleati dell’America latina), riflette anche come abbiano delegato la creazione di violenze, caos programmato e procedure diplomatiche (nel migliore dei casi con l’uso esclusivo di Luis Florido) ai loro intermediari in Venezuela, in particolare i capi dei partiti radicali anti-chavisti. Tali azioni degli Stati Uniti (e delle società che ne decidono la politica estera) hanno un obiettivo finale: l’intervento con mezzi militari e finanziari.

Come giustificare l’intervento
Le prove presentate dal Presidente Nicolas Maduro collegano i capi di Primero Justicia con il finanziamento del vandalismo contro le istituzioni pubbliche (il caso TSJ di Chacao). Ciò che al di là del caso specifico rivela la probabile promozione di criminali, irregolari e mercenari (alleati e politicamente diretti) per inasprire ed incoraggiare le violenze per legittimare la posizione del dipartimento di Stato. L’ingannevole MUD è un’ambasciata privata che lavora per i grandi interessi economici di tali poteri, fondamentali per la sua strategia di avanzata. Che tali strategie possano tenere il passo in questo momento globale dipenderà da ciò che i loro sostenitori faranno sul campo. Tenuto conto delle risorse della guerra finanziaria e politica attuata da tali poteri (blocco finanziario, assedio diplomatico internazionale, attacchi programmati ai pagamenti della PDVSA, ecc.) e le manovre del dipartimento di Stato, si generano le condizioni per la pressione, l’assedio e il finanziamento dei loro agenti in Venezuela per la tanta annunciata svolta che non arriva. Ed è necessario che arrivi per chi ha finanziato e progettato tale programma.

estratto da https://aurorasito.wordpress.com/2017/05/07/chi-ce-dietro-il-colpo-di-stato-contro-il-venezuela/

NOTA: Origine e attori chiave del CFR
Il Consiglio sulle Relazioni Estere, o CFR, è un think tank fondato nel 1921 con il denaro della Fondazione Rockefeller. Il suo obiettivo è creare un gruppo di esperti che formino la politica estera statunitense e le posizioni della leadership, come presidente e dipartimento di Stato, non agendo per proprie ragioni, ma piuttosto secondo gli interessi di tali lobbisti.

La trama si infittisce

Donald Tusk, l’appena riconfermato presidente del consiglio europeo contro il parere del governo polacco, è accusato  di aver congiurato con Vladimir Putin per nuocere agli interessi polacchi, in relazione al disastro aereo di Smolensk, dove rimasero uccisi il presidente  Lech Kaczynski, sua moglie ed altri 94 dignitari e accompagnatori polacchi.

Defence Minister Antoni Macierewicz s

Ad accusare Tusk è  nientemeno che il ministro della Difesa,  Antoni Macierewicz.  Il quale ha dichiarato al quotidiano  Gazeta Polska Codziennie: “Tusk ha fatto un contratto illegale con Putin e deve essere penalmente responsabile”.  La procura generale di Varsavia ha confermato  di aver ricevuto la denuncia. Ora ha trenta giorni per decidere se procedere o archiviare.

http://www.maurizioblondet.it/ministro-accusa-donald-tusk-della-tragedia-smolensk-oscura/

Siria, un pasticcio

Secondo Jason Ditz,  l’inviato di riferimento in questo pasticcio orrendo, i pattugliamenti Usa, quelli dei russi e quelli dei siriani “hanno tutti la stessa intenzione, impedire alle forze d’invasione turche  di prendere Manbij”.  E’ dubbio però che gli americani si stiano coordinando coi russi almeno per evitare incidenti; coi siriani, certo, non si coordinano.  Secondo il Telegraph, il Consiglio Militare di Manbij (curdi del SDF) hanno chiesto anche ai russi e alle truppe siriane di formare una zona  cuscinetto tra la “loro” Manbij (l’hanno riconquistata da Daesh ad agosto)  dalle forze  russe che sono a 25 chilometri,  ad Al Bab  (che Erdogan e  i suoi emissari hanno “conquistato”,  pare, con mazzette e salvacondotti  ai terroristi islamici, dopo aver subito gravi perdite  nei tentativi di assalto).  Il  generale Sergei Rudskoi, il portavoce russo, ha confermato venerdì che i comandi russi i Siria avevano negoziato l’accordo per cui i kurdi lasciavano alle truppe di Damasco il controllo su diversi villaggi turchi.

Anche al Telegraph non è chiaro se i  comandi russi e quelli Usa si stanno coordinando  mentre i loro cingolati sferragliano nei pattugliamenti.  Finora, la tregua organizzata dai russi regge.

http://www.telegraph.co.uk/news/2017/03/06/us-russian-troops-patrol-neighboring-villages-syria/

Il punto è che Manbij si stende ad Ovest dell’Eufrate, dove secondo Erdogan i curdi non devono stare; e Obama aveva assicurato Ankara  che sì, d’accordo, quei suoi alleati si sarebbero ritirati da Manbij, prima o poi.  Adesso invece i curdi di Manbij si son messi d’accordo con le truppe di Damasco (che prima combattevano), e con quella cessione concordata di villaggi hanno proprio mostrato che si uniscono a Damasco nello scopo di bloccare l’invasione turca. Adesso gli americani sono arrivati anche loro, apparentemente anche loro in funzione anti-turca..

http://www.maurizioblondet.it/siria-soldati-usa-forze-russe-contatto-attorno-manbij/

I Turchi sono nella sacca. Giù non possono andare, perché ci sono ormai i Siriani. A est… ci hanno provato (il buon Erdogan…) e hanno fatto un errore non da poco. Prevedibile, peraltro. Hanno provato a spingersi verso Manbij. Ma Manbij era in mano ai Curdi. Risultato: scontro armato (1 marzo), 11 morti da parte curda e 16 da parte turca (mappe in caratteri latini, peraltro). Conseguenza: l’intraprendenza militare turca ha costretto le Forze per le Operazioni Speciali statunitensi a varcare l’Eufrate e a porsi a nord di Manbij, come deterrente. Deterrente che, evidentemente, non bastava. I Curdi hanno quindi chiesto aiuto ad Assad contro i Turchi! La zona resta ad autonomia curda ma occupata militarmente – fino a Manbij! – dalle truppe siriane. Della serie, anche a est cari Turchi, fatevi una ragione, non si va. I Siriani, quindi, senza sparare un colpo, sono entrati da liberatori a Manbij con il relativo corredo di aiuti umanitari russi. Washington è sempre più lontana e la sua azione più appannata (si vede che ultimamente sono stati troppo abituati al puro caos creativo

http://www.controinformazione.info/siria-e-donbass-lo-stato-dellarte/

La realtà è un uccello

…che non ha memoria, diceva Gaber, non puoi immaginare da che parte va:

Le conseguenze inintenzionali delle proprie azioni. È la morale che gli americani dovrebbero trarre dall’attuale scenario mediorientale. Quando i conflitti si saranno sedati, è molto probabile che ci ritroveremo in un contesto che vedrà rafforzata la presenza russa in tutta l’area. Mentre, sia la guerra in Siria che i cambi di regime in Libia ed Egitto erano originariamente legati anche all’idea americana di ridimensionare la Russia. Mosca, infatti, si è sempre considerata la garante del regime di Assad in Siria, dove esistono le strategiche basi militari russe a Latakia e Tartus. Tradizionalmente positive erano anche le relazioni fra Russia ed Egitto. Infine, proprio grazie al ruolo dell’Italia in Libia, all’epoca dell’ultimo governo Berlusconi, Gazprom aveva spuntato la possibilità di sfruttare i giacimenti libici Eni di Elephant Field, una mossa strategica che ha probabilmente segnato la sorte sia di Berlusconi che di Gheddafi. Nel 2011, l’obiettivo degli americani era indebolire la posizione dominante della Russia dal punto di vista energetico in Europa, aprendo una nuova via per i gasdotti verso il Caspio che passassero dall’Azerbaijan, filo turco, dunque vicino all’alleanza atlantica, puntando al contempo a spingere sempre più verso la Ue sia l’Ucraina che il Kazakistan. Contrariamente alle previsioni di Washington, la Russia riusciva invece a portare avanti un nuovo gasdotto, South Stream, che rafforzava la propria posizione nell’Est, mentre il progetto targato Ue, Nabucco, naufragava. Inoltre, attraverso l’operazione Elephant Field con Eni, Mosca si proiettava anche nel Mediterraneo. Per questi motivi, gli Stati Uniti hanno visto di buon occhio sia la volontà francese di eliminare Gheddafi per sostituirsi all’Italia in Libia, che il tentativo dei sauditi di rovesciare la Siria filo Iran e di estendere la propria influenza allo stesso Egitto, attraverso la Fratellanza Musulmana che diventava protagonista della “primavera egiziana”. obama-drone-yemen42In questo momento, invece, le previsioni americane si sono rovesciate. Mosca ha riallacciato buoni rapporti con la Turchia; in Iraq, sta sconfiggendo l’Isis grazie alle milizie sciite filo iraniane. Ottime sono le relazioni di Mosca con Al Sisi; Haftar sta, infine, vincendo la sua guerra, grazie alla collaborazione di Mosca; e già si parla di una possibile nuova base extraterritoriale russa in Libia. Come se ciò non bastasse, le ex repubbliche sovietiche centro asiatiche del Turkestan, che sono fisiologicamente sottoposte al potere destabilizzante delle limitrofe Cina, Iran, Turchia, stanno reiterando la loro adesione all’area di influenza di Mosca, senza creare attriti con le altre potenze regionali. Anche la Moldova, la cui adesione Nato era stata promessa dell’ex presidente filo Ue Filip, si sta riallineando all’Est. Dunque, se l’America voleva ridimensionare Mosca, si ritrova oggi con una Russia rafforzata. La morale da trarre è che era irrealistico pensare di ridurre l’area di influenza di Mosca, soltanto perché la Russia non è una potenza economica, ignorando il dato che è comunque una potenza militare. Ora spetterà alla Russia dimostrare di saper giocare un ruolo di riequilibrio nello scacchiere euroasiatico, senza pestare i piedi alle legittime ambizioni di Cina e Turchia. L’Europa rischia di essere ridotta all’irrilevanza, se il suo progetto comune dovesse naufragare. Se ciò dovesse accadere, la crisi dell’Unione potrà essere spiegata anche con il tentativo di utilizzarla come ariete da parte degli Usa contro la Russia.

http://www.controinformazione.info/gli-usa-e-le-conseguenze-inintenzionali-delle-proprie-azioni/