Il che ci porta al “Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act” . Questo disegno di legge estremamente aperto arroga a Washington il diritto di
1) dichiarare questo o quel paese un “avversario” 2) sanzionare chiunque o qualunque cosa se ne occupi, o si occupi di chi se ne occupa e così via.
Alla fine, praticamente ogni entità del pianeta potrebbe essere soggetta a sanzioni (tranne, ovviamente, gli stessi Stati Uniti che si permettono di acquistare motori a razzo o petrolio dalla Russia “avversaria”). In breve, se non scegli liberamente di acquistare il nostro “gas della libertà”, ti costringeremo a farlo. L’ultima del segretario di Stato americano Pompeo è: “ Faremo tutto il possibile per assicurarci che quel gasdotto non minacci l’Europa ” (di nuovo il pretesto della sicurezza). Berlino ha ribadito la sua determinazione a continuare con esso . 24 paesi dell’UE hanno lanciato una iniziativa a Washington per protestare contro questo tentativo di sanzioni extraterritoriali . Il conveniente “avvelenamento” di Navalniy sta esplodendo come motivo per cui Berlino obbedisce al diktat di Washington . Fin qui la Merkel dice che le due questioni non dovrebbero essere collegati . Ma la pressione non farà che aumentare.
Tutti fingono di ignorarlo. Ma senza l’aiuto di Trump e degli americani il governo populista non sarebbe nato. Matteo Salvini e Luigi Di Maio sarebbero stati travolti come Berlusconi nell’estate del 2011. Mattarella avrebbe insistito nel pretendere in via preventiva l’esilio e l’interdetto politico per il professor Paolo Savona.
Quel gentiluomo di Draghi, che Cossiga definiva un delinquente in doppio petto, avrebbe continuato ad assecondare gli speculatori bloccando l’acquisto del debito pubblico italiano. I guardaspalle del Quirinale erano già pronti a sostenere che leghisti e grillini coordinati dall’ottantenne professor Savona erano riusciti senza governare nemmeno un giorno a distruggere l’economia italiana. I tedeschi da Bruxelles continuavano a provocarci e a infittire le loro sassaiole calunniose.
Poi, mentre infuriava la tempesta sopraggiungeva una calma improvvisa. Nella giornata di mercoledi, verso le 18 del pomeriggio, dall’ambasciata italiana a Washington arrivavano telefonate concitate al Quirinale. Trump, per quanto distratto, ignorante e rincoglionito, s’era insospettito. Qualcuno gli aveva detto che gli amici dei suoi nemici in Europa stavano facendo terra bruciata attorno ai populisti. Non solo. Che la Merkel era alla guida di questo schieramento chiamando l’Europa alla resistenza contro i dazi americani che, guarda caso, colpiscono quasi esclusivamente i prodotti tedeschi. Dall’ambasciata di Washington riferivano che gli americani erano insospettiti dall’ostruzionismo di Mattarella che aveva preso a pretesto il presunto antieuropeismo di Savona per bloccare la nascita del governo Salvini-De Maio.
I congiurati di Roma si trovavano di fronte a uno scenario che sconvolgeva i loro piani. Gli americani comprando debito italiano avevano disinnescato la bomba dello spread, erano intervenuti sul Quirinale chiedendo conto di un disegno politico che negava ai vincitori delle elezioni Palazzo Chigi e di insediare un governo tecnico privo di un minimo sostegno parlamentare. Ai tedeschi poi arrivava la firma dell’applicazione dei dazi che colpiscono i prodotti europei, ma soprattutto quelli tedeschi. E appena il negoziato per il governo legista grillino riprendeva, dalla Casa Bianca partiva un messaggio di pieno sostegno e il dipartimento di Stato avvertiva che senza un Paese del ruolo, della storia e del peso dell’Italia l’Europa non era neppure immaginabile come potenza mondiale. Bastonati i tedeschi, messo in riga Mattarella, sputtanato Draghi, improvvisamente la congiura rientrava.
Savona piazzava all’Economia il professor Tria, un suo sodale. E lui esiliato perché anteuropeista, si ergeva vincitore sul cavallo bianco della resistenza ai nemici dell’Italia e sceglieva l’incarico di ministro alle politiche comunitarie. Cioè, l’Europa dovrà trattare con lui. Capito?
Trump sta dando molto fastidio ai potentati che comandano, e questo è il motivo per cui la sua vita era oggettivamente in pericolo.
Dico era perché pochi giorni prima di Natale, esattamente il solstizio del 21 dicembre 2017, Trump ha firmato l’Ordine Esecutivo nr. 13818 dal titolo: «Executive Order Blocking the Property of Persons Involved in Serious Human Rights Abuse or Corruption» , che tradotto fa più o meno così: «Ordine esecutivo che blocca le proprietà delle persone coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani o di corruzione».
L’Ordine in pratica colpisce chiunque si renda colpevole di violazioni dei Diritti Umani e di corruzione, non solo negli USA ma anche nel mondo intero. Quindi colpisce tutti, governi esteri inclusi e pure i loro funzionari. Tutti. E li va a colpire nel punto più dolente: i soldi, gli immobili, le azioni, ecc. con il blocco e la confisca. Colpo di genio.
Quindi con l’Ordine Esecutivo 13818 Trump ha voluto dare un messaggio chiaro al Governo Ombra, minandone le fondamenta e scoperchiando pubblicamente il Vaso di Pandora.
Ma non finisce qua perché la genialata è stata inserire nel testo le seguenti parole: «Io perciò decido che i gravi abusi dei Diritti Umani, e la corruzione, nel mondo costituiscono un’insolita e straordinaria minaccia alla sicurezza nazionale»…
Colpo di scena strepitoso.
Non tutti sanno che quando un presidente americano pronuncia le paroline magiche: «minaccia alla sicurezza nazionale», vi è l’immediata mobilitazione dell’esercito americano, della Difesa e quindi del Pentagono!
Simsalabim e Trump, o meglio i maghi che ha dietro le quinte, con un colpo di astuzia hanno tirato fuori dal cappello il “preallarme di guerra” che ha come conseguenza la protezione massima del Presidente degli Stati Uniti. In questo momento Donald Trump è l’uomo più odiato dalla Sinarchia, ma è anche l’uomo più protetto al mondo.
Nessuno, neppure ai piani alti o bassi poteva immaginare una cosa del genere.
Forte di questo escamotage, e dopo aver messo le persone fidate nei punti chiave, Trump ha iniziato le pulizie di fondo…
La firma si ebbe tra il comandante della Marina del Qatar, General-Maggiore Muhamad Nasir al-Muhanadi, e l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, alla presenza dei ministri della Difesa Qalid bin Muhamad al-Atiyah e Roberta Pinotti. La Fincantieri dovrebbe costruire per il Qatar 4 corvette, 1 nave d’assalto anfibia, 2 pattugliatori d’altura e fornirne i relativi servizi di supporto per 15 anni, assicurando sei anni di commesse ai cantieri navali del gruppo di Riva Trigoso e Muggiano. Le unità dovrebbero sorvegliare e pattugliare le acque territoriali del Qatar e della sua zona economica esclusiva. Leonardo/Fincantieri “avrà la responsabilità della fornitura integrata del sistema di combattimento delle nuove unità navali, i principali radar e sensori di bordo e sottosistemi di difesa, incluso i sistemi d’arma di medio calibro da 76mm e di piccolo calibro da 30mm, il sistema di protezione antisiluro, il sonar antimine Thesan, e in collaborazione con la MBDA (che è francese!), il sistema missilistico. La fornitura comprende inoltre attività di supporto logistico integrato di lungo periodo”. La Fincantieri batteva la francese DCNS nella gara per il Qatar, “Per arrivare a stipulare l’accordo con Doha, l’Italia ha dovuto guerreggiare a lungo con la Francia che, assieme a USA e Regno Unito, ha una lunga tradizione di forniture militari ai Paesi del Golfo. Se la Francia non avesse venduto nel 2015 una portaerei (in realtà due portaelicotteri) e alcune navi da guerra all’Egitto, probabilmente l’Italia non avrebbe concluso l’affare. La fornitura francese al regime di al-Sisi ha indispettito (per usare un eufemismo) il giovane emiro Tamin al-Thani che guida il Qatar”.
Qalid bin Muhamad al-Atiyah e Roberta Pinotti.
In fondo, lo scontro tra Doha e Ryadh era già iniziato da mesi, se non anni, sul terreno siriano, dove le varie organizzazioni mercenarie terroristiche, finanziate da sauditi e qatarioti, si scontrano per il dominio, temporaneo, dei territori occupati. Inevitabilmente, tale scontro tra ascari e mercenari è risalito fino alle fonti responsabili del terrorismo in Siria.
Spero sia chiaro quel che è accaduto a Ryad, e trovo strano che i titoli dei media occidentali facciano finta di non capirlo. Affiancato dai monarchi sauditi e dagli emiri che finanziano Isis, al Qaeda, tutti i mercenari al Captagon che devastano e decapitano in Siria, ha dichiarato che “l’Iran è la punta di diamante del terrorismo globale” – ripetendo una frase appena pronunciata da re Salman – ed ha ingiunto a Teheran di smettere di aiutare i terroristi islamici. Tali “terroristi islamici” sono ovviamente Hezbollah in Libano, e il governo siriano di Assad, che l’Iran aiuta militarmente contro l’aggressione saudito-americana ed ebraica. Ovviamente, Hezbollah è ritenuto da Israele “una minaccia esistenziale” (perché è la solo forza araba che l’ha vinta in uno scontro), e questo dovrebbe spiegare abbastanza: gli Usa tornano a fare le guerre per Israele. Come sempre.
Dei “sette stati in cinque anni” che al Pentagono era stato incaricati di abbattere dopo e col pretesto dell’11 Settembre, l’Iran è il solo rimasto intatto. Gli altri, Irak, Siria, Libia, Somalia, Sudan, sono stati devastati come Israele ha voluto. Per anni McCain ha canterellato “Bomb bomb bomb Iran”, come suggeriva la lobby, invano. Ora sembra che ci siamo. Trump ha annunciato la creazione di una grande alleanza araba contro l’Iran, una specie di NATO del Golfo; sunniti contro sciiti, con una piccola eccezione: Israele sarà fianco dell’Arabia Saudita. Contro Teheran, guerra senza quartiere. Proprio nel momento in cui gli iraniani, votando massicciamente Rouhani, hanno espresso la speranza di normalizzare i rapporti con l’Occidente. Tutto il successo di Rouhani è stato la rinuncia all’arma atomica, in cambio della riammissione del paese all’onore del mondo, dopo un trentennio di sanzioni. Questa speranza sarà resa vana. La sola salvezza, nel mondo creato dalla superpotenza al servizio di Sion, è proprio avere le testate atomiche sufficienti a dissuadere i criminali globali.
Sarà guerra ibrida, sovversione e aggressione, come al solito. Sembra che i cervelli strategici Usa ritengano il regime in grave crisi economica, dissanguato nelle finanze dall’aiuto che fornisce a Siria e Hezbollah, e la popolazione sia sull’orlo della rivolta: regime change in vista.
La casa saudita ha pagato caro. Il prezzo del riscatto, secondo Silvia Cattori. Altro che 150 miliardi di dollari in armamenti. “L’Arabia ha promesso 300 miliardi di dollari di contratti di difesa nel prossimo decennio, e 40 miliardi di dollari d’investimento nelle infrastrutture. La cifra finale, secondo alcuni iniziati di Wall Street, potrebbe ancora salire a mille milioni di dollari. La Casa Bianca è in estasi davanti agli effetti di questa pioggia di denaro saudita all’interno del Paese. Secondo il resoconto uffiilale dopo l’incontro avvenuto (alla Casa Bianca) tra il principe ereditario ben Salman e Trump, oltre un milione di posti di lavoro potrebbero essere creati direttamente, e milioni di altri nella catena di approvvigionamento”.
Insomma Ryad ha accettato di salvare l’industria americana dalla bancarotta, di ravvivare la sola industria che conti – il militare-industriale. Trump ha ottenuto di fare l’America “great again” con i miliardi di Ryad. Trump aveva promesso di far pagare i sauditi anche per i missili che non userà, l’immane spropositato sofisticato armamento, inutilizzabile in un regnicolo di analfabeti. Assistiamo ad una fantastica integrazione economica e politica fra la Superpotenza e la cosca wahabita decapitatrice, dove l’una sostiene l’altra impedendole di crollare, una nella bancarotta, l’altra nell’autodistruzione; un mostro genetico in fieri da diverso tempo, da quando Hillary era ministra degli Esteri. Un mostro a due teste, anzi a tre – non bisogna dimenticare infatti la nota lobby, fautrice dell’integrazione saudio-americana.
Tutto sta a vedere se gli americani si contentano di questa vendettuzza meschina (dopo tutto quello che la superiorità strategica e mentale di Putin gli ha fatto subire in Siria: ricordiamo che gli Usa non sono stati invitati alle trattative di Astana), oppure intendono dare seguito all’invasione e cambio di regime. I primi indizi sembrano indicare di no: i loro Tomahawks hanno colpito una base aerea che – hanno reso noto a Mosca – era stata già evacuata: quindi russi erano stati avvertiti? Se è così, il bombardamento di Trump resterà un atto di quelli a cui ci ha abituato la “strategia” del Pentagono:un atto di bullismo, anzi teppismo militare: ammazziamo un po’ di gente per far vedere che siamo noi quelli che ce l’hanno più grosso.
Ora è chiaro che la cosa è stata fortemente voluta dal genero, Jared Kushner – che era nei giorni scorsi in Irak insieme al generale Mattis, evidentemente per coordinare la sorpresa che doveva far felici Netanyahu, Isis e McCain, e tutta la lobby neocon che andava placata.
Sulla presuntuosa nullità e inesperienza di questo giovinotto, abbiamo già detto a suo tempo: figlio di un palazzinaro ebreo newyorkese di lusso nonché pregiudicato (il padre si è fatto anche qualche anno di galera per malversazione), scrivevo, “Jared è figlio-di-papà di un figlio di papà; figli di papà da generazioni. Dati gli affitti alle stelle a New York, si intuisce che quando si gestiscono migliaia di appartamenti, i soldi arrivano tanti e sicuri: non occorre nemmeno sviluppare uno spiccato senso degli affari.
Né ci si aspetta da Jared che nutra profonde riflessioni in politica estera e filosofia politica, o che si doti di una cultura superiore. Vero è che Jared ha frequentato Harvard: vi è stato ammesso dopo che suo padre ha fatto alla prestigiosa università una donazione di 2,8 milioni di dollari. E dopo, il bel Jared ha preferito spostarsi alla New York University dove ha preso un dottorato (MBA), previa donazione paterna di altri 3 milioni di dollari”.
Insomma si capisce il tipo: ignaro di politica estera, anzi privo di ogni esperienza politica, è un burattino in mano a Netanyahu e alla lobby, da cui arde di farsi accettare nonostante la sua macchia (ha sposato una goy, i suoi figli, per i rabbini, non sono giudei). Ora è chiaro che è stato lui a far cacciare Steve Bannon, l’intellettuale di quell’accolta che “Donald”aveva radunato attorno a sé.
Non poteva durare. Ora apprendiamo da “The Daily Beast”, uno dei siti meglio informati sulla politica politicante di Washington, che Bannon chiama il bel Jared “a globalist” e “a cuck”.
Sul “globalist” non occorre spiegare molto, essendo Bannon al contrario un sovranista e nazionalista, e guida dell’elettorato di destra lavoratrice che ha votato Trump.
Su “cuck” invece, bisogna ricorrere alle indicazioni che danno i siti: in origine è una parole gergale che indica l’uomo regolarmente sposato che invece, di nascosto, se la fa coi finocchi; un finocchio nascosto. Nello specifico gergo delle destre sovraniste, è l’appellativo carico di sottintesi razziali (ebreo) e sessuali (kulattone) che indica il RINO, sigla che sta per “Republican in Name Only”, uno che si dice repubblicano, che frequenta i meeting repubblicani, ma ha idee da “democratico” all’americana. Effettivamente Jared, e anche suo padre e suo nonno, hanno sempre staccato grossi assegni a favore del Partito Democratico, e condiviso le idee “Liberal” (in senso americano: aborto legale, lgbt, nozze gay eccetera).
Per esempio, Jared ha introdotto nella cerchia di Trump Zeke Emmanuel, il fratello di Rahm Emmanuel (il sindaco di Chicago, ebreo ed amichetto di Obama, anche sessuale) con l’intenzione di farne, forse, il ministro della Sanità o qualcosa del genere. Bannon e i suoi seguaci, nel 2009, chiamarono questo Zeke “Dottor Morte”, perché mentre Obama e Rahm confezionavano l’Obamacare, aveva promosso l’idea del suicidio assistito dei malati terminali.
Il solito anonimo interno alla Casa Bianca ha parlato di “scontri continui” fra Bannon e Jared durante le riunioni, praticamente su tutto: sanità, tasse, commercio internazionale, immigrazione”.
Bannon dice che Jared “un democratico di base”. Inoltre, pare che Trump stesse diventando invidioso della dominanza intellettuale di Bannon, e di come i media indicavano in Bannon il suo suggeritore-dominatore. Delle scenette satiriche su Saturday Night Live, dove Bannon appare con la faccia della Grande Falciatrice a suggerire al presidente quel che deve fare, mentre il presidente (un imitatore di Donald) gioca con giocattoli da bambino, ha particolarmente irritato Trump.
Inoltre, l’errore di Bannon – conclude il solito anonimo – è di aver contrastato apertamente Jared, “l’unico aiutante presidenziale che non può essere licenziato”. Oggi, Jared Kushner, Dina Powell e Gary Cohn sono i tre sinistroidi che dominano la Casa Bianca”.
Questa è la guida della superpotenza, oggi come oggi. Comanda il genero “cuck”.
Si tratta adesso di vedere come reagirà – se reagirà – l’elettorato che ha votato Trump perché non era un bellicista.
E come l’ha preso Xi Jinpin, che era a cena con Trump quando partiva l’attacco missilistico contro la Siria, e Trump non pare lo abbia avvertito. In Oriente, far perdere la faccia a una persona importante, non è cosa che passa liscia.
Se confermata, la scelta di Trump di mettere al Pentagono il generale James Mattis sembra buona. Nei Marines da 41 anni, non ammogliato (ha sposato l’esercito), senza incarichi nei consigli d’amministrazione del complesso-militare industriale, gli ufficiali che sono stati suoi sottoposti in operazioni belliche (è stato uno dei leader dell’invasione Irak 2003) ne parlano bene. Anzi con ammirazione: coraggioso, capace, geniale, onesto, un vero uomo di comando.
Nel 2013 ha criticato pubblicamente Israele, denunciando che stava costruendo un regime di “apartheid”. Come comandante del CENTCOM ha pagato ogni giorno un prezzo in sicurezza militare per il fatto che gli americani sono visti pregiudizialmente pro-Israele. Ciò influenza tutti gli arabi moderati che vogliono stare dalla nostra parte, perché non possono apertamente schierarsi con chi manca di rispetto ai palestinesi”. E rivolto agli israeliani: “Se non viene stabilito uno stato palestinese, io vi dico che l’attuale situazione è insostenibile. (…) Gli stanziamenti delle colonie [ebraiche nei territori occupati] stanno rendendo impossibile la soluzione a due stati”. Finirete con realizzare l’apartheid.
Sono frasi di buon senso, ma dirle ad alta voce in Usa, per un militare, sono sintomo di audacia. Più precisamente, di non aver paura di rovinarsi la carriera. Il generale Mattis, nonostante il nomignolo “Mad Dog”, viene ritenuto un intellettuale; ha certamente letto The Israeli Lobby di Walt e Mearsheimer. Per una serie di motivi, gli ufficiali che sono stati sotto il suo comando sperano, anzi sono convinti,che Mad Dog libererà il Pentagono dalla presa dei neocon, che controllano la politica estera Usa in senso filo-sionista dal 2001, quando hanno preso il potere nei ministeri-chiave sotto il presidente repubblicano Bush, e ci sono rimasti aggrappati negli 8 anni del democratico Obama.
Di Obama non ha una grande stima
“Mi aspetto – scrive uno di loro su Sparta Report (sic, un blog soldatesco)- che Mattis come segretario alla Difesa faccia un c. così a quelle donnette imboscate che infestano il Pentagono dopo otto anni di regno di Obama. Con l’appoggio di Trump, tirerà fuori le budella a quei parassiti nel complesso militare-industriale, che usano il servizio militare come parte del curriculum per atterrare in posizione direttoriale a McDonnell-Douglas e altri. Se Dio vuole il presidente Trump emanerà un divieto PERMANENTE per OGNI ufficiale superiore di lavorare per un contractor della difesa”.
D’accordo, si tratta di una speranza. Ma quella che viene qui denunciata è una delle peggiori piaghe del sistema americano. Come da noi certi politici ed alti funzionari (da Draghi a Prodi a Barroso) finiscono a Goldman Sachs, a Washington anche gli altissimi gradi a fine carriera sono invitati nei consigli d’amministrazione delle grandi aziende private produttrici di armamento o servizi come contractors al Pentagono; assunti con emolumenti che non hanno mai visto durante il servizio, per le loro conoscenze interne e per la loro capacità di fare lobby alla Difesa. Questo è uno dei più gravi elementi di distorsione della politica estera americana, essendo Loocked-Martin e McDonnell Douglas imprese con un solo cliente (il Pentagono) o due (la NATO, i suoi satelliti), ed essendo loro interesse che il governo Usa faccia più operazioni belliche e più occupazioni armate possibile – perché così consuma i materiali prodotti da loro, e garantisce un flusso permanente di lucrosi contratti di manutenzione, riparazione e sostituzione. La proliferazione cancerosa di basi americane nel mondo, il mostruoso bilancio del Pentagono (in cui si annidano sprechi, tangenti e furti enormi), ma anche l’ipertrofia bellicista Usa si spiegano in gran parte non con l’interesse nazionale, ma con l’interesse dei bilanci delle ditte.
Lo sfruttamento è così evidente e lucroso, che anche la nota lobby ha creato una apposita sottolobby per storcere il tutto a favore di Sion: il Jewish Institute fon National Security Affairs (JINSA), il cui scopo dichiarato è “informare le personalità della difesa americana sul ruolo svolto da Israele nell’affermare gli interessi della democrazia”, nonché “sull’importanza di mantenere una efficace capacità di difesa ad Israele così che siano salvaguardati gli interessi vitali americani”. Generali ed ammiragli in servizio vengono invitati in Israele in visite pagate per fraternizzare coi comandi sionisti; i generali a riposo inseriti nel complesso militare industriale, vengono invitati a far perte del JINSA e del suo board. JINSA, ha scritto il giornalista Jason Vest, “è l’ambiente in cui ideologia e affari si mescolano fino a identificarsi”: l’ideologia è quella del Likud e dei ‘coloni’ occupanti le terre dei palestinesi: i generali americani così manipolati sposano tutti le posizioni del sionismo più estremo, “buttare a mare” i palestinesi, e così via.
Come abbiamo visto, il generale Mattis pensa esattamente il contrario di quel che proclama il JINSA: che gli Usa “pagano un prezzo per sostenere” Israele. Quanto all’altra questione, risponde il fatto che dopo la pensione non ha avuto incarichi strapagati in una azienda di armamento: segno che li ha rifiutati, perché certamente gli sono stati offerti.
Ciò è in linea col sensazionale discorso tenuto da Donald Trump a Cincinnati, il 1 dicembre, per ringraziare i suoi elettori: “Sì, distruggeremo Daesh. Ma allo stesso tempo, perseguiremo una politica estera nuova tenendo conto degli errori commessi in passato. Noi smetteremo di rovesciare governi di Stati esteri […]. Il nostro obbiettivo è la stabilità, non il caos. E’ venuto il tempo di ricostruire il nostro paese”.
I media “democratici” di tutta Europa non hanno dato alcun peso a questo proposito programmatico (sono per l’intervento umanitario?). Invece, hanno rumorosamente criticato Donald Trump per aver telefonato- in realtà, ricevuto la telefonata della presidente di Taiwan, con cui Washington non ha rapporti diplomatici dagli anni di Nixon quando, grazie a Kissinger, riconobbe che quella con capitale Pechino è l’unica Cina. Che gaffe! Che inesperienza! Naturalmente tacendo questo piccolo particolare: che due giorni prima, il mercoledì precedente, Obama aveva notificato al Congresso la vendita a Taiwan – lo stato non riconosciuto – armamenti per 1,8 miliardi di dollari. Suscitando le proteste di Pechino.
Kissinger a Pechino: “Trump non deve niente a nessuno”
Pechino ha protestato anche per la telefonata di Trump – che non ha l’aria di esserne stato intimidito. Obama invece ha fatto comunicare al Dipartimento di Stato che la politica Usa verso la Cina non cambia.
I leader cinesi sono così preoccupati, in realtà, che hanno chiamato “il vecchio amico Kissinger” (è quello che ha messo la Cina agli onori del mondo nel ’78) per ottenere informazioni e consigli sul nuovo presidente eletto. Secondo Bloomberg, Kissinger (93 anni) di sicuro dopo congruo pagamento, ha dato la sua consulenza direttamente a Xi Jinpin e al Politburo in questi termini: “Questo presidente eletto è unico tra quelli che ho conosciuto sotto un aspetto: non ha assolutamente alcun bagaglio. Non ha alcuna obbligazione verso nessun gruppo particolare perché è diventato presidente sulla base della sua propria strategia e d’un programma che ha posto davanti al pubblico americano che i suoi concorrenti non hanno dato. Dunque è una situazione unica”.
Il fatto di non aver alcun gruppo o potere forte da ringraziare (e ricompensare) può essere una forza, ma anche una fatale debolezza: vuol dire che nessun potere forte ha un interesse particolare a mantenerlo alla Casa Bianca, nemmeno il “suo” partito repubblicano. Già alcune giornaliste della CNN sono state intercettate, durante un fuori-onda, a scherzare su “un incidente aereo” che le avrebbe liberate dall’odiato Trump. Sapranno qualcosa?
Ciò può spiegare alcune delle nomine di “The Donald”, come Steve Mnuchin,uno di Goldman Sachs, al Tesoro. Però attenzione: Mnuchin è stato a Goldman Sachs 14 anni fa; poi se n’è andato, volontariamente, ha fatto il produttore a Hollywood e il gestore di fondi per ricchi, fra cui Donald. Anche Steve Bannon, il giornalista-blogger e stratega della campagna che ha dato la vittoria a Trump, è stato a Goldman Sachs: se n’è andato sbattendo la porta dopo aver scoperto che suo padre, grazie alla speculazione finanziaria, aveva perso la pensione, e da allora è il più fiero e temibile nemico di Goldman e Wall Street, di cui non cessa di ricordare che quelli non hanno pagato per il disastro dei subprime che hanno creato nel 2008, e per cui hanno “fatto pagare la gente che guadagna 50-60 mila dollari annui”, mentre i colpevoli ricevono bonos d’oro. “Wall Street dovrebbe essere preoccupata di Steve Bannon”, titolava Business Insider il 16 novembre scorso. Perché è intelligente. Perché conosce i giochi. E soprattutto, perché è di destra con idee “sociali” anti-speculazione. Naturalmente, i media hanno spiegato che è antisemita e “contro le donne”.
Nella canzone di Springsteen “Youngstown”, il narratore, operaio lasciato a casa, spera in un futuro non in paradiso, ma nelle “fornaci ardenti dell’inferno.” Il personaggio è stato ispirato, in parte, da una operaio metalmeccanico realmente esistente, Joe Marshall Jr., di cui Springsteen aveva letto in un libro.
Oggi Joe Marshall, un uomo piccolo e robusto, che sabato compirà 63 anni, si trova a Columbus, dove vive in un appartamento da 500 dollari al mese, e riceve una pensione statale piena. Dopo che l’industria siderurgica è crollata, ha dedicato il resto della sua vita a far rispettare la legge. È un ardente sostenitore di Trump.
«Dice ciò che la persona media ha paura di dire, perché è politicamente scorretto”, dichiara Marshall a proposito di Trump.
Marshall ha lavorato nell’ufficio dello sceriffo della contea di Mahoning per 23 anni, in carcere e in pattuglia – un posto in prima fila, ha detto, per osservare il drammatico declino della città. Ha potuto vedere lo svuotarsi delle classi medioalte, e come il colore della pelle della città è cambiato: Youngstown, che aveva il 74 per cento di bianchi nel 1970, è ora divisa circa a metà tra neri e bianchi.
È arrivata la droga, racconta. Il tasso di omicidi ha spiccato il volo. I giovani mollavano la scuola a 15 anni, dice Marshall, perché non riuscivano a vedere alcuna possibilità di lavoro dopo il diploma.
“Dove devono andare, da Taco Bell?”, domanda. “Ma quello è un lavoro a salario minimo””
Sette anni fa se ne è andato, accettando un lavoro da agente di custodia.
Oggi le sue opinioni politiche sono eclettiche. I democratici, ha detto, “hanno deluso Youngstown”.