Sottovoce

Volutamente abbiamo scelto di mantenere il blog visibile a tutti,  ma nascosto ai motori di ricerca il che ci dà la libertà di esprimere anche opinioni  fuori dal coro; ecco perché ci permettiamo di esprimere una considerazione personale: vi sarete accorti anche voi che stanno aumentando le misure poliziesche di repressione del dissenso (con la scusa del Covid).

Il fatto è che, a livello mondiale, stanno cambiando gli equilibri di potere stabiliti nel dopoguerra a guida USA in favore di quelli multipolari che vedono l’ingresso dei Cinesi, che si sono schierati apertamente col blocco Russo.

Se seguite un po’ di politica estera su https://terzapaginainfo.wordpress.com, sapete cosa intendo.

 

Cretini

L’unica via di uscita (entro questo sistema monetario basato sulla moneta-debito) è una banca centrale sottoposta allo Stato, la quale monetizzi e cancelli i debiti pubblici e privati tempestivamente, non iniziando un anno dopo. Ma bisogna avere lo Stato e la banca centrale diretta dallo Stato, come hanno USA e Giappone, mentre la costruzione europea è la distruzione degli Stati e la privatizzazione della banca centrale. Per questo, essa è il problema, anzi la causa del problema, non la soluzione, anche con i suoi tempi biblici che lasciano moltiplicarsi i mali prima di iniziare a reagire, mentre uno Stato, e solo uno Stato, può reagire tempestivamente.

APPLAUSI CRETINI PER CONTE

Giampaolo Pansa

Era la prova che Pansa aveva colto nel segno, proprio un piemontese allievo di gran sacerdoti dell’antifascismo “azionista” torinese come Alessandro Galante Garrone. Di più: Pansa fu con Scalfari tra i fondatori dell’organo della sinistra progressista borghese La Repubblica, il giornale del giuramento antifascista e delle porte sbarrate a chiunque non condividesse la vulgata dell’Italia ufficiale, “laica, democratica, antifascista”, come recitava la litania lauretana di lorsignori e lorcompagni.

Quei libri, quel sangue dei vinti finalmente ammesso e lavato, sono la prova non solo della falsità storica su cui si è fondata l’Italia del dopo 1945, sconfitta ma vincitrice, bombardata e occupata ma felice, sino a festeggiare, unica nazione al mondo, una sconfitta rovinosa riconfigurata, con un atto di sorprendente acrobazia, in liberazione da un governo, anno zero, la tabula rasa da cui riscrivere una nuova Storia. Il re repubblicano era sempre stato nudo, ma perché finalmente lo si cominciasse ad ammettere, ci volle un giornalista ormai pensionato, che forse voleva pagare il suo personalissimo debito con la verità. Non cambiò opinione, lo spigoloso monferrino: non è diventato fascista in vecchiaia, né ha rinnegato le sue idee. Semplicemente, ha detto e dimostrato a voce alta, prove alla mano, ciò che molti sapevano e neppure sussurravano.

Quel terribile periodo della guerra civile, tra torti e ragioni, eroismi e vigliaccherie, generosità ed assassinio di fratelli, non fu la fulgida lotta di un popolo di prodi contro una cricca criminale, ma un confronto tremendo, un carico di odio reciproco dal quale, a guerra finita, la nazione avrebbe dovuto uscire chiedendosi scusa, perdono per il male, il rancore, il dolore. In una guerra civile, non ci sono santi e demoni, ma parti in lotta senza esclusione di colpi. Per questo le ferite devono essere curate in fretta o diventano cancrena. Da noi, la cancrena è ancora in corso: antifascisti in assenza di fascismo scorrazzano per le strade, occupano gli schermi televisivi e pontificano con la mano sul cuore. Anticomunisti in assenza di comunismo hanno minore visibilità, ma raccontano a se stessi una storia esaurita da trent’anni.

E’ un dramma civile e nazionale dalle colpe antiche. Giampaolo Pansa è stato probabilmente la personalità che, con le armi che aveva, la sua penna acuminata, la sua coscienza di uomo libero, più ha fatto, negli ultimi vent’anni, per sgombrare il campo da macerie vecchie e marcite, da narrazioni di parte, lavorando a quella ricomposizione degli spiriti che è la premessa per una storia condivisa. E’ significativo che il suo apporta esca da quello stesso mondo che ha tanto lavorato per gettare sale sulle ferite, per torcere vicende, storie ed avvenimenti in una narrazione di cui pretendeva l’esclusiva e che ha posto a fondamento di una storia nazionale falsa. Hanno nascosto non solo la guerra civile, i fascisti della RSI con i suoi seicentomila militi, i suoi morti, ma anche l’esercito del Sud, i bombardamenti dei “liberatori”, il ruolo della mafia, il ruolo preponderante, pressoché esclusivo, degli eserciti stranieri alleati nell’esito della guerra.

Occorreva azzerare il passato, tutto il passato, non solo quello in camicia nera. Non funziona così: erede della sua storia, anche della più controversa, è sempre un popolo intero. Per questo, i confronti civili lasciano ferite tanto profonde, se non si cerca di cicatrizzarle in un nuovo inizio.  C’è voluto un fondatore del giornale più inserito nel potere, più vicino all’ufficialità culturale e storica di 70 anni di storia italiana per squarciare il velo e mostrare, finalmente, le ferite nascoste, le verità mai dette, i dolori, le umiliazioni e il lungo esilio di una parte non piccola del nostro popolo.

A Genova, nel cimitero di Staglieno, un sacrario collettivo accoglie i resti di circa 1.500 morti della parte che “aveva torto”. Recuperati con pazienza e coraggio da donne e uomini animati da pietà e non da vendetta, sono testimoni silenziosi di una tragedia davanti alla quale vale solo il rispetto. Una vedova di guerra ci raccontò la sua emozione davanti ai resti di una giovanissima ausiliaria, una ragazza della classe 1924, uccisa a bruciapelo con un colpo alla nuca. Della sua vita erano rimaste poche ossa, i documenti, un pettine e una spazzola per capelli, muti testimoni della grazia giovanile di una vita spezzata.

A quella sconosciuta ci sentiamo di dedicare un saluto, come a qualunque uomo o donna morto per un’idea coltivata in buona fede. Strano davvero che agli italiani brava gente sia stato necessario tanto tempo, tanto odio, tanto dolore, per accogliere il racconto di Giampaolo Pansa, l’avversario che abbiamo imparato a rispettare. Quali siano state le sue ragioni, le sue idee e la sua vita, che la terra sia lieve a Giampaolo Pansa, testimone della storia, testimone della verità per un’Italia che non dimentichi più nulla e rispetti tutti i suoi figli.

L’articolo PANSA, LA VERITA’ E LA STORIA proviene da Blondet & Friends.

Omini di burro

Si comprende anche perché in Italia si fa concentrare una grande quantità di immigrazione di bassissima qualità lavorativa per abbattere i salari, mentre la scuola italiana continua ad essere buona in quanto alla fascia dell’obbligo, ma in quanto alle medie superiori e all’università è ultima: essa deve formare lavoratori di bassa qualificazione, camerieri, operai e impiegati esecutivi al servizio del management straniero che si impossessa del paese, grazie anche ai suoi complici nel parlamento e nelle altre istituzioni.

In base a ciò, le rispettive convenienze sono le seguenti:

-Per l’Italia nel suo insieme, uscire dall’euro e dall’Unione Europea dotandosi di una moneta propria a controllo statale; però manca una classe politica in grado di compiere e gestire una simile opzione, e manca l’indipendenza nazionale per farlo.

Per il Nord Italia e soprattutto per il Nord Est e la Lombardia, staccarsi dall’Italia. Ma non vi è una forza politica per farlo: anche la Lega ha abbandonato l’indipendenza della Padania.

Per il Sud Italia, andare per conto suo dotandosi di una sua moneta -ma le mafie al potere non lo faranno mai.

Per i singoli italiani, se hanno capacità o altre risorse, emigrare. E lo fanno.

04.01.20 Marco Della Luna

Senza tetto a L.A.

I dati evidenziano il peggioramento della crisi abitativa nell’area metropolitana di Los Angeles, dove le autorità stimano che ora ci siano 59.000 senzatetto, tra cui oltre 44.000 persone che vivono in auto, tende o alloggi di fortuna.

“Abbiamo tre persone al giorno che muoiono per le strade”, ha detto Adam Rice, organizzatore della Community Action Network di Los Angeles. “È un completo fallimento della leadership. Darrell non aveva bisogno di morire. Nessuna di queste persone doveva morire. Il motivo per cui ciò sta accadendo è perché non esiste un alloggio adeguato.

Gli affitti elevati e la grande carenza di alloggi a prezzi accessibili hanno espulso le persone dalle loro case nella zona, e più della metà degli adulti senza alloggio in un recente conteggio ha affermato di aver sperimentato la condizione di senzatetto per la prima volta.

Nota: Se il Governo Federale USA volesse prendere in esame la possibilità di destinare alle spese sociali anche soltanto il 5% di quanto Washington spende per gli armamenti e per la sua presenza militare in tutto il mondo, il problema dei senza tetto sarebbe immediatamente risolto. Questo però comporterebbe una leggera riduzione dei profitti delle grandi corporations USA che sono parte dell’apparato militare/industriale del paese. Tuttavia i “signori della guerra” negli USA, non sono disposti a ridurre i loro profitti ma anzi sono alla ricerca di sempre nuove guerre per espandere il loro business.

https://www.theguardian.com/us-news/2019/oct/30/homeless-deaths-los-angeles-county

Fonte: The Guardian

Traduzione e nota: Luciano Lago

Bologna chiama Ustica

Quindi continua Vinciguerra sui responsabili della strage: “E’ sbagliato circoscrivere la verità solo ai portatori di valigie. Le responsabilità politiche non sono state mai nemmeno sfiorate, esaminate. I familiari delle vittime hanno avuto una sola ricompensa, che sono stati trovati i portatori di valigie”. Ma allora, procede Gustapane rivolto a Vinciguerra, “perché non dà un contributo” alla verità? Risponde il testimone: “Il mio contributo lo do da anni con una ricostruzione storica, sulla base di una serie di elementi. Si è fatto un errore per mezzo secolo. Dal 1946, dalla fondazione del Movimento Sociale Italiano, l’estrema destra ha scelto di stare dalla parte dello Stato e quindi ha scelto di stare dalla parte dei suoi apparati”.
“Mi disse chiaramente ‘sono stati loro’. Me lo disse Johann Hirsch in carcere“. Così Vincenzo Vinciguerra oggi in aula riporta quello che gli riferì in carcere a Volterra un malavitoso austriaco, in cella all’epoca per traffico di droga: ossia, che i responsabili della strage erano effettivamente i giovani dei NAR.
Vinciguerra è stato incalzato dal pm Antonello Gustapane, che ha ripescato i vecchi verbali a tema. Sentito per la prima volta sulla strage di Bologna il 29 giugno 1984, “disse- si rivolge il pm in aula al testimone- che nulla sapeva per conoscenza diretta sulla strage di Bologna. Successivamente, però, il 10 agosto ’84, il 21 dicembre ’84 e nell’interrogatorio dell’11 gennaio 1986, al giudice istruttore Zincani, disse che aveva avuto notizie sulla strage che in quel momento non voleva rivelare, in particolare da tre persone che non voleva indicare”.
Vinciguerra si concentra proprio sul detenuto austriaco: “Era un delinquente comune, mi ha detto chiaramente ‘sono stati loro’. Era malavitoso, uno spacciatore di droga”. La difesa di Cavallini, per iniziativa dell’avvocato Gabriele Bordoni, chiede però come mai Vinciguerra non reagì all’affermazione del ‘collega’ chiedendo di più. “Non ho cominciato a fare domande io. Farle in carcere non è salutare”, risponde Vinciguerra.
“Non ho mai conosciuto né mai incontrato Cavallini, non ho mai parlato con lui. E neanche con Fioravanti e Mambro”, dice Vincenzo Vinciguerra in aula durante il processo che vede imputato per concorso alla strage della stazione l’ex NAR Gilberto Cavallini. Dunque Vinciguerra, membro all’epoca di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, dice di non aver conosciuto né Cavallini né Valerio Fioravanti né Francesca Mambro, questi ultimi due condannati in via definitiva come esecutori della strage alla stazione, ma pure Paolo Bellini, l’ex ‘primula nera’ di Avangardia Nazionale, Vinciguerra dice di non conoscerlo: “Era in Avanguardia Nazionale? Non so, non conosco il personaggio Bellini”, risponde il teste.
Luca Donigaglia

https://byebyeunclesam.wordpress.com/2019/10/17/bologna-chiama-ustica/

La canapa sarà la pianta del futuro

Posted: 10 May 2019 12:36 PM PDT

Marco Cedolin

La canapa, abitualmente suddivisascientificamente fra“cannabis sativa” e “cannabis indica” è una delle più antiche piante coltivate dall’uomo. Originaria dell’Asia meridionale si diffuse in Europa a partire dal VII secolo A.C. e nel continente americano nel corso del XVI secolo. L’Italia all’inizio del Novecento era il primo produttore europeo di canapa con oltre 100mila ettari di coltivazioni indirizzate in larga misura al settore tessile e per decine di migliaia di famiglie la canapa costituiva la principale fonte di reddito…..

La coltivazione della canapa che nell’antichità ha permesso la creazione delle vele per far correre le le navi e delle corde per ormeggiarle non è però legata solamente alla produzione di tessuti, ma anche alla produzione di carta, cosmetici, saponi, biscotti, pane, pasta, detersivi, vernici, mattoni per la bioedilizia, è utile nella bonifica di terreni altamente inquinati e si presta a numerosi usi terapeutici in campo medico.
Nonostante le enormi potenzialità di questa pianta negli ambiti più svariati, o forse proprio a causa di esse, a partire dagli anni 30 del secolo scorso la coltivazione della canapa è stata fortemente osteggiata, dal momento in cui nel 1937 negli Stati Uniti, sotto la spinta dei magnati dell’industria petrolifera e di quella chimica, fu approvata la ” Marijuana tax act” che proibiva, in modo diretto o indiretto, la coltivazione della canapa per qualsiasi uso, anche industriale o terapeutico. Il cavallo di Troia usato dai portatori dei grandi interessi industriali per boicottare la canapa che avrebbe potuto mettere a repentaglio i loro affari, ed innalzare contro di essa il muro del proibizionismo, fu proprio la presenza dei cannabinoidi nella resina che impregna le infiorescenze delle piante. I cannabinoidi, il più importante dei quali è il THC, sono sostanze dagli effetti psicoattivi che al tempo stesso possiedono svariate proprietà terapeutiche e proprio sugli effetti psicoattivi della canapa i proibizionisti hanno costruito il proprio teorema, stigmatizzando una pianta millenaria sotto forma di una droga pericolosissima da colpire e proibire in ogni maniera possibile.
Come abbiamo scritto in precedenza, dal punto di vista terapeutico la canapa è estremamente efficace come analgesico, antiemetico, antidepressivo, nel trattamento dell’emicrania, in quello dell’epilessia, del glaucoma, dell’asma e sta manifestandosi molto utile nella terapia di pazienti affetti da malattie oncologiche e degenerative come la SLA. A livello industriale la canapa ha dimostrato di essere una delle piante più efficaci per ottenere il fitorisanamento dei terreni, tanto da essere stata usata nella bonifica dell’area circostante la centrale di Chernobyl e più recentemente nei terreni contaminati dall’Ilva di Taranto.
Dopo quasi un secolo di ostracismo, negli ultimi anni sta diventando sempre più evidente come il mondo moderno non possa più permettersi a lungo di fare a meno della canapa. Le devastazioni ecologiche provocate dall’industria chimica e petrolifera sono ormai talmente ingenti da rendere imprescindibile un profondo ripensamento riguardo all’utilizzo della canapa a livello industriale, laddove le sue qualità la qualificano come un’alternativa sostenibile ai processi chimici attualmente in uso. Alla stessa stregua anche in campo medico il ricorso alle proprietà della canapa diventa tanto più necessario quanto più si evidenziano gli effetti collaterali ed i limiti connaturati in molti farmaci sintetici.
Con buona pace del proibizionismo e dei proibizionisti, la canapa ha insomma tutte le carte in regola per essere definita a pieno titolo la pianta di un futuro più rispettoso della natura, attento allo stato di salute degli ecosistemi e sensibile al benessere umano, prima che a quello delle multinazionali che hanno fin qui maldestramente gestito le sorti dell’umanità.
Marco Cedolin

Patagonia

Alla “fine del mondo”, nelle regioni più meridionali dell’Argentina e del Cile, si trova la terra della Patagonia, in gran parte ancora incontaminata che ha ispirato innumerevoli naturalisti ed avventurieri col drammatico paesaggio e bellezze naturali. Per molti, è un luogo ritenuto ancora straordinariamente intatto e lontano dal caos del mondo moderno. Tuttavia, sono proprio queste qualità, nonché il grande potenziale petrolifero e gassoso della regione e l’abbondanza di riserve di acqua dolce alimentate dai ghiacciai, che lo collocano nel mirino dei predatori, predatori armati di miliardi di dollari, potente influenza su politica e stampa argentina, così come alleanze con organizzazioni finanziarie internazionali controverse ed elementi chiave della lobby sionista globale. Contesa per le sue risorse ancora in gran parte intonse, la Patagonia è diventata l’obiettivo di una fitta rete di noti miliardari ed élite globali, che trascorsero gran parte degli ultimi due decenni e mezzo cercando di trasformare quest’area nel loro Stato indipendente. In effetti, sebbene molti di tali miliardari abbiano già creato di fatto Stati privati in cui godono di un’impunità quasi totale nella Patagonia argentina, altri sono alla base di importanti sforzi per la secessione del territorio. Altri ancora spingono il governo argentino a scambiare la Patagonia con la richiesta di “cancellare il debito” come modo per allentare la situazione economica argentina che, per inciso, fu n gran parte creata da tale stesso gruppo di miliardari. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI), le cui connessioni con questa rete miliardaria sono considerevoli, vi ha avuto un ruolo smisurato. Eppure questa sembra essere più di una semplice impresa di importanti oligarchi e l’élite globale, ed elementi di spicco della lobby sionista internazionale intimamente coinvolti, così come lo Stato d’Israele, anche se la portata del coinvolgimento di quest’ultimo è discusso. Il loro interesse ruota su rivendicazioni che risalgono alla fondazione del sionismo nel 19° secolo, quando figure venerate del sionismo come Theodore Herzl discutevano dell’Argentina come potenziale patria per uno Stato etnico ebraico. Da allora, altri notabili sionisti, compresi i passati ambasciatori israeliani in Argentina, sostennero che Israele è per gli “ebrei europei” mentre gli “ebrei americani” devono impossessarsi dell’Argentina. In particolare, il metodo suggerito da Herzl come mezzo per creare uno Stato sionista nella sua opera fondamentale “Lo Stato ebraico” comporta lo scambio di debito per il territorio.
Nella prima parte di questa serie investigativa, MintPress esplora lo Stato indipendente di fatto creato dal miliardario e sionista inglese Joe Lewis, un vecchio socio del controverso finanziere ungherese-statunitense George Soros. Lewis essenzialmente acquisiva i governi locale, regionale e persino nazionale dell’Argentina, permettendogli di operare impunemente mentre acquisisce sempre più territorio con acquisti di terre (se ce ne sono) dalla legalità dubbia, intimidazioni e minacce ai locali, usurpazione di acqua ed energia cruciali risorse per le città locali e gestione del proprio aeroporto internazionale privato che nessuno, a parte lui, controlla. I rapporti successivi di questa serie esamineranno gli altri attori chiave in questo sforzo per creare uno Stato della Patagonia, vale a dire gli oligarchi argentini Marcelo Mindlin e Eduardo Elsztain, profondamente legati alla lobby sionista globale e all’Americas Society fondata da Rockefeller, e stretti soci di Soros. Infine, il ruolo di costoro e dei loro sodali negli sforzi per usare la schiavitù del debito del FMI per premere sul governo argentino a scambiare il debito col territorio sarà rivelato, così come il ruolo della lobby sionista e figure di spicco nell’élite globale.

La città che ha combattuto
La pittoresca cittadina di montagna di El Bolsón, incastonata tra le pittoresche vette rocciose della Patagonia argentina e famosa per le leggende locali di gnomi ed elfi, può sembrare un epicentro improbabile di una battaglia nazionale che mette in collisione i locali contro potenti miliardari stranieri, miliardari che non solo saccheggiano le ricche risorse del Paese, ma ne erodono la sovranità nazionale con accordi a porte chiuse coi capi politici più potenti e più corrotti dell’Argentina. Tuttavia, per quanto improbabile possa sembrare il ruolo di questa sonnolenta cittadina nella provincia argentina del Río Negro, per oltre un decennio molti locali utilizzarono ogni strumento a disposizione per opporsi allo sforzo di un miliardario di trasformare la città e gran parte di Río Negro nel proprio feudo personale. Questa lotta vide massicce dimostrazioni a El Bolsón contro il miliardario inglese Joe Lewis, con alcune che attirarono almeno 15000 partecipanti, l’80% dell’intera popolazione della città. Lewis, dal valore di circa 5,2 miliardi di dollari secondo Forbes, è meglio conosciuto in occidente per possedere la squadra di calcio inglese Tottenham Hotspur, le sue vaste proprietà di lusso e le località del golf nelle Bahamas e in Florida, possesso di marchi noti come Puma sportswear e Vans shoes. Viene spesso descritto come un miliardario “autoprodottosi”, essendo nato da una povera famiglia ebrea a Londra, che si fece strada fino a diventare uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra. Dalla metà degli anni ’90, Lewis costruisce un impero in Patagonia, essendo diventato proprietario di vaste proprietà a nord di El Bolsón che, tra le altre cose, contiene quasi tutte le riserve idriche della città, oltre a quelle della vicina comunità agricola Mallín Ahogado, e il potere de facto dietro Pampa Energía, la compagnia che controlla la maggior parte della produzione di elettricità in Argentina. La seconda parte di questa serie si concentrerà sul ruolo di Lewis nella Pampa Energía, così come del suo socio Marcelo Mindlin.

L’articolo completo è su https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61723

Dodecanneso

Adesso non abbiamo neanche i francobolli !

Originariamente la parola Dodecaneso (o anche Dodecanneso, secondo la pronuncia greca) indicava il gruppo di isole del dominio Veneziano e poi Ottomano che godevano di particolari privilegi: Icaria, Patmo, Càlino, Lero, Stampalia, Nìsiro, Piscopo, Simi, Calchi, Scarpanto, Caso e Castelrosso, che nel 1909 alcuni giornali greci definirono Dodecaneso ottomano. Queste dodici isole tuttavia erano storicamente parte delle Sporadi meridionali. Solo in seguito all’occupazione italiana del 1912 la denominazione Dodecaneso preso uso nel linguaggio corrente, pur essendo impropria. Difatti le isole italiane non corrispondevano a quelle indicate anni prima. Nel toponimo italiano furono incluse anche Rodi, Coo e Lisso, mentre Castelrosso venne occupata solo nel 1921. Invece fu esclusa Icaria, che rimase sotto dominazione turca, prima di passare alla Grecia[2].

L’inadeguatezza della denominazione determinò nelle autorità italiane il mutamento della denominazione ufficiale in Isole italiane dell’Egeo, fin dal 1929. Tuttavia il toponimo era già entrato nella denominazione corrente e corrisponde ancora oggi a tutte le isole facenti parti delle Isole italiane dell’Egeo.

Ligio a patto

Anche i nostri padri, la generazioni di quanti nacquero intorno al 1920, entrando nell’esercito avevano giurato fedeltà al sovrano, cioè a Vittorio Emanuele III di Savoia. Il quale ricambiò quel giuramento di fedeltà nel modo che sappiamo, l’8 e il 9 settembre 1943: piantandoli in asso, senza ordini, senza istruzioni, e mettendosi in salvo, mentre li abbandonava alla cattura e alla prigionia. Qui si vede la differenza fra casa Savoia e casa Asburgo. Francesco V non abbandonò i suoi soldati; Vittorio Emanuele III lo fece. Nostro padre, molti anni dopo la fine della guerra, tornò in Iugoslavia a recuperare la sua sciabola di ufficiale, che la sua vecchia padrona di casa gli aveva amorevolmente custodito, con non lieve rischio personale, per tutto quel tempo. Ora essa è là, in un angolo della casa paterna, malinconico ricordo di una promessa di fedeltà che fu mantenuta da una parte sola: dalla parte di quelli che giurarono, ma non da parte di colui al quale il giuramento venne fatto. Di quelle vicende nostro padre parlava poco, e forse poco volentieri; tenne sempre nel suo cuore i sentimenti che suscitò in lui, ex militare di carriera, quel giuramento non rispettato da parte del sovrano.

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61244stemma

Lo sapevate?

Domenica 4 novembre circa 174 mila elettori iscritti su una lista speciale andranno alle urne in Nuova Caledonia per un referendum sull’indipendenza dell’arcipelago dell’Oceano Pacifico dalla Francia. Per l’Onu l’arcipelago conquistato dai francesi 175 anni fa è uno dei 17 territori ancora colonizzati al livello mondiale, l’ultimo per la Francia. Lo scorso maggio con un referendum l’86% degli elettori ha respinto l’indipendenza della Polinesia, altra colonia francese, rimasta ancorata alla Francia.

Molto più travagliati i rapporti tra Parigi e Nuova Caledonia, territorio in assoluto più lontano dalla metropoli, distante 17 mila km. In base agli ultimi sondaggi è molto remota la vittoria del ‘sì’ al referendum per l’autodeterminazione. Numeri alla mano i Kanak (canachi), storici abitanti dell’isola in lotta per l’indipendenza, sono numericamente inferiori ai Caldoches (caldachi), discendenti dei coloni bianchi, e alle altre popolazioni che si sono progressivamente istallate sull’arcipelago.

Il precedente referendum era stato bocciato

Un precedente referendum, tenuto nel 1987, era stato boicottato dai canachi, quindi ritenuto non valido; il 98% dei votanti si era allora espresso contro l’indipendenza. Sulla carta il voto di domenica segna il punto di arrivo del processo di decolonizzazione dell’arcipelago, previsto dall’accordo di Noumea firmato nel 1998, dopo anni di insurrezione, con scontri, barricate, omicidi e rapimenti.

Chi sono le parti in causa

Negli anni ’80 l’arcipelago, diviso in due, è andato vicino alla guerra civile tra coloni francesi, i lealisti Caldoches, stabiliti al sud, rappresentati da Jacques Lafleur e dal suo ‘RPCR’ (Raggruppamento per la Caledonia nella Repubblica) e gli indipendentisti del nord, i canachi, guidati da Jean-Marie Djibaou, a capo del ‘FLNKS’ (Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista). Una crisi sfociata nel rapimento di 27 gendarmi da parte degli indipendentisti canachi, in seguito all’uccisione di uno dei propri leader, e nel successivo dispiegamento delle truppe francesi speciali sull’arcipelago, con un bilancio di 21 morti.

Un Paese diseguale

Le parti rivali hanno poi scelto la via del dialogo, di un progetto socio-economico condiviso per costruire un “destino comune”, firmando l’accordo di Matignon nel 1988, con la mediazione dell’allora primo ministro socialista Michel Rocard, e dieci anni dopo quello di Noumea. Vent’anni di politiche di riequilibrio politico ed economico a vantaggio dei colonizzati non hanno portato a risultati tangibili. Ancora incompiuto il progetto di autonomizzazione dell’arcipelago, per  una sovranità condivisa con Parigi, così come il riconoscimento dell’identità e dei diritti dei canachi. Anzi, rispetto al 1998, sono ulteriormente aumentate le diseguaglianze tra questi ultimi e i coloni, sia politiche, economiche, sociali che culturali. Nel contempo è anche diminuito il numero di canachi residenti, oggi solo il 39% dei neocaledoni, mentre i residenti di origine europea, per lo più francese, sono il 27% e il 34% rimanente proviene da isole del Pacifico e da nazioni asiatiche. In caso di vittoria del ‘no’, la consultazione potrebbe essere ripetuta altre due volte fino al 2022.

Qual è la posta in gioco

In realtà la posta in gioco al voto di domenica è soprattutto di natura economica e strategica. Da decenni la Nuova Caledonia – soprannominata ‘Caillou’ (‘Pietra’) – è un territorio cruciale per le sue risorse in nickel – un quarto di quelle globali – sfruttate industrialmente dalla Francia, quinto produttore mondiale del minerale indispensabile alla produzione di acciaio inossidabile. Dalla metà degli anni ’60, anche grazie ad una politica commerciale e fiscale molto vantaggiosa, più di 35 mila persone, tra francesi e polinesiani, sono sbarcate sull’arcipelago, dove in pochi anni molti di loro si sono costruiti veri e propri imperi. I canachi sono invece rimasti esclusi dal boom economico e hanno dovuto aspettare il 2014 per l’apertura di una fabbrica nel nord, a Koniambo. Con una superficie totale di 1,4 milioni di km2, la Zona economica esclusiva (ZEE) della Nuova Caledonia – due volte e mezzo la superficie dell’Esagono – è ricca di risorse economiche,in buona parte tutte da sfruttare: pesca, riserve minerarie, micro-alghe ed energie marittime rinnovabili.

Negli ultimi anni la Nuova Caledonia è anche diventata un territorio strategico per contrastare l’egemonia della Cina in Oceania, mentre gli Stati Uniti voltano le spalle alle regione. L’arcipelago, duemila km ad est dalle coste australiane, ospita la più importante base militare francese del Pacifico.

La (non) posizione di Macron

“Non mi pronuncio su questo referendum” ha assicurato lo scorso maggio il presidente Emmanuel Macron durante la sua visita a Noumea, preferendo rimanere fuori da una campagna potenzialmente ad alto rischio, svoltasi fortunatamente nella calma e con grande partecipazione dell’opinione pubblica. Tuttavia Macron ha detto la sua, ricordando ai suoi connazionali che dopo la Brexit “la Francia è l’ultimo paese europeo presente nel Pacifico”, avvertendo che la Francia “sarebbe meno bella senza la Nuova Caledonia”.

Tra il 2006 e il 2014 la Cina ha versato alle nazioni insulari del Pacifico più di 1,8 miliardi di aiuti, diventando il terzo partner allo sviluppo della regione dietro Australia e Nuova Zelanda. “Inserita nel continente oceanico, alle porte del sud-est asiatico, la Nuova Caledonia è situata in un luogo davvero strategico. La perdita del territorio significherebbe per la Francia una perdita significativa di sovranità nel Pacifico” ha evidenziato Bastien Vandendyck, esperto in relazioni internazionali.

Tesoro di biodiversità, la Nuova Caledonia possiede, inoltre, una delle tre barriere coralline più estese al mondo, oltre ad una fauna e una flora endemiche eccezionali, valse all’arcipelago l’iscrizione al patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. Macron è intervenuto anche su questo fronte, per difendere la presenza francese nel Pacifico. “La Nuova Caledonia è la testa di ponte della nostra lotta al riscaldamento globale, in una regione direttamente esposta alle sue conseguenze” ha sottolineato il presidente francese, evocando cicloni, innalzamento del livello del mare e sbiancamento dei coralli.

https://www.agi.it/estero/referendum_nuova_caledonia_colonia_francese-4562437/news/2018-11-03/

Comunità

Del resto La Stampa, anzi il direttore neocon Molinari, esalta un saggio  intitolato:

“Il popolo è nemico della democrazia”.

La tesi è che, per funzionare bene, la democrazia deve eliminare il popolo.

Il tutto, ovviamente,  nella linea della tradizione “democratica”  del  socialismo reale.  Brecht:

Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo».

 

 

 

https://www.maurizioblondet.it/la-stampa-neocon-ci-ha-gia-scelto-il-capo-del-governo/

Nota: Ecco perché la democrazia “rappresentativa”  NON  è il miglior sistema di governo