Punto di vista

Il quotidiano cinese ” Global Times ” ha affermato che l’alleanza tra Russia e Cina rappresenterà una vera sfida geopolitica per gli Stati Uniti, ma lavorerà per stabilizzare la situazione in tutto il mondo.

Il quotidiano cinese ha aggiunto nel suo articolo che Washington sta cercando di seminare divisione tra Russia e Cina, e che le radici di questa posizione divisiva americana risiedono in “motivi incontrollabili di egemonia” e nella paura della cosiddetta “alleanza sino-russa”.

Secondo la fonte, questa particolare alleanza è “il più grande incubo geopolitico per gli Stati Uniti”.

L’articolo indica che la lunga esperienza del partenariato politico tra Russia e Cina è poliedrica e indica in conclusione che “il mondo diventerà più stabile” quando i due paesi raggiungeranno un certo livello di fiducia reciproca.

Piantare le tende

Un tempo si sarebbe detto che “piantare le tende” all’università fosse un’iniziativa positiva, perché sintomo della voglia del giovane di vivere pienamente l’esperienza degli studi superiori. Oggi non è più così. La locuzione “piantare le tende” deve essere intesa in senso letterale. Da qualche settimana un po’ di bravi ragazzi pernottano in tende da campeggio installate sulle aiuole degli atenei per protestare contro il caro-affitti degli immobili destinati agli studenti fuorisede. Un modo originale per segnalare all’opinione pubblica e al mondo della politica l’esistenza di un problema. Obiettivamente, il mercato immobiliare nelle grandi città è schizzato alle stelle. Per un giovane, che deve essere mantenuto agli studi dalla propria famiglia, pagare una somma superiore ai 300 euro per un affitto mensile di un posto letto è molto complicato. Da qui la protesta. Giusto o sbagliato manifestare il proprio disagio? La risposta non è semplice. Si tratta di una questione che non può essere tagliata con l’accetta. Questi giovani reclamano un diritto allo studio, che non può essere annichilito dall’insostenibilità dei costi degli alloggi. Ciononostante, sbagliano a prendersela con i proprietari degli immobili per il caro-affitti. Si tratta di abitazioni private che soggiacciono alle regole del mercato. Se la domanda si espande è inevitabile che l’offerta sia più esosa. In un mondo libero, il profitto non è un peccato e neppure un reato. La questione verte sull’annoso problema delle mancate politiche per lo student housing che i Governi succedutisi negli ultimi decenni hanno mancato di attuare.

Se abbiamo ben interpretato i numeri snocciolati ieri l’altro dal ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, al question time alla Camera, sarebbero 7.500 gli alloggi creati per gli studenti fuorisede. Se si considera che, nell’anno accademico 2021/2022 gli iscritti alle università italiane sono stati 1.822.141, di cui 323.852 nuove immatricolazioni, a fronte di 370.758 laureati in uscita dai percorsi universitari (fonte: Portale dei dati dell’istruzione superiore), secondo le stime calcolate sul fabbisogno di posti letto, l’offerta strutturata per i fuorisede dovrebbe coprire almeno 130mila unità, allocabili in studentati e collegi. Ma la politica fa la politica e, visto che il nuovo Esecutivo non ha alcuna intenzione di farsi cogliere con il cerino accesso tra le mani, si affretta ad annunciare, per bocca del ministro competente, che sono in arrivo 400 milioni stanziati per gli alloggi e 52.500 posti letto da realizzare coi fondi Pnrr. Sarebbe comunque una bella toppa per tamponare una falla che c’è. Tuttavia, i rimedi possono depotenziare il fenomeno ma non ne elidono la causa. Anzi, le cause. Sul banco degli imputati non dovrebbero finirci i proprietari degli immobili privati che fanno profitti su un buco nero del nostro sistema educativo. Bisognerebbe cominciare a indagare la filosofia di fondo sulla quale sono stati costruiti, nei secoli, gli atenei. Il senso alto che la società ha da sempre riservato all’istruzione superiore ha fatto sì che le strutture universitarie sorgessero nel cuore delle grandi città. L’idea di portarle in periferia, dove gli spazi urbanistici sono di gran lunga più adatti alla realizzazione di campus in piena regola, dotati di infrastrutture e di alloggi non solo per i fuorisede ma per tutti gli iscritti, sull’esempio anglosassone, ha fatto fatica ad affermarsi.

Eppure, l’esperienza avrebbe dovuto insegnare alla politica che la sola strada percorribile per migliorare l’accessibilità allo studio universitario è la delocalizzazione delle sedi. L’allocazione nei centri cittadini ha generato un ulteriore problema. In alcune regioni, una pessima mobilità rende impossibile il pendolarismo agli studenti residenti in provincia o nelle aree metropolitane limitrofe ai luoghi delle sedi universitarie. Cosicché, essendo impraticabili gli spostamenti giornalieri, si viene classificati “fuorisede” anche abitando a 50/60 chilometri dall’università a cui si è iscritti. È il caso della Capitale. Il cattivo funzionamento dei trasporti pubblici obbliga gli universitari a pernottare a Roma a costi insostenibili. Quando però si parla di studenti, bisogna stare attenti alle generalizzazioni. Non per tutti valgono gli stessi problemi e vanno ricercate le medesime soluzioni. Sappiamo per esperienza che una parte di essi con la storia di dover necessariamente vivere in prossimità dei luoghi universitari ci marcia. Per un giovane la vita in periferia, o in provincia, non è stimolante come quella vissuta nelle grandi città. È comprensibile che sia più eccitante vivere le notti della movida metropolitana piuttosto che le serate in piazza in un remoto paese dell’entroterra. Vuoi mettere farsi uno Schnaps al Testaccio, invece di consumare la solita birretta al bar del paese? Se, dunque, è legittima la pretesa del giovane di cogliere l’occasione dell’iscrizione all’università per evadere dal proprio contesto di vita, ritenuto inadeguato e asfittico, non lo è altrettanto la pretesa che sia lo Stato a pagare per lui – o per lei – il prezzo della libertà dall’ambito socio-famigliare. C’è poi un’altra questione che andrebbe messa a nudo e che riguarda lo spostamento in numeri significativi di giovani dal Sud al Nord del Paese per compiere gli studi universitari. Le ragioni che muovono tale onda migratoria sono sostanzialmente due. La prima. Esiste un malvezzo, tipico del provincialismo borghese nel Sud Italia, di fare dell’invio dei figli a studiare al Nord uno status symbol.

È una eredità che la media borghesia meridionale ha ricevuto dalle classi agiate della vecchia aristocrazia e dell’alta borghesia, quella di spedire i propri pargoli a studiare al Nord. Principalmente a Milano, a Torino, a Bologna. Da quando, però, ai ricchi del Sud le università italiane non sono più bastate e hanno cominciato a inviare i figli all’estero, prevalentemente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, le classi di rincalzo del ceto medio produttivo sono andate all’assalto degli atenei del Nord, con l’Università meneghina Bocconi tra le mete più ambite. Ora, se l’arrivismo e l’ambizione sociale non sono comportamenti da punire, parimenti non meritano di essere messi economicamente in carico alla collettività. Salumai e riparatori d’automobili vogliono i figli bocconiani? Legittimo, ma se li paghino con le loro tasche e lascino in pace le nostre. La seconda. Tra le motivazioni del trasferimento al Nord per ragioni di studio c’è la questione della qualità dell’insegnamento. Si asserisce che le università settentrionali siano migliori di quelle al Sud. Si tratta di una verità scientificamente riscontrata o siamo al luogo comune? Delle due, l’una. In Campania sono operative sette università statali, con sedi sparse in tutto il territorio regionale e con 7.774 unità di personale docente e ricercatori; in Basilicata una università statale con 457 docenti; in Calabria tre università statali con 2.045 docenti; in Puglia cinque università statali con 3.982 docenti (fonte: ibidem). Se fanno tutte schifo per cui gli studenti, al pari dei malati, devono andare al Nord a curare la loro istruzione, a cosa serve tenere un esercito di incapaci a libro paga dello Stato?

Se non funzionano, le si chiuda. Se, al contrario, c’è tanta qualità nelle università del Mezzogiorno quanto ve ne è in quelle del Nord, allora l’emigrazione non si giustifica. E il fatto che gli studenti emigrati con le loro necessità abitative contribuiscano ad accrescere la domanda di alloggi al Settentrione e, di conseguenza, a fare lievitare l’offerta, non deve essere motivo di encomio, ma ragione di riprovazione se ciò si traduce in danno effettivo per chi, incalzato da necessità lavorative, è costretto a stare al Nord. Rivendicare un diritto è giusto, pretendere un privilegio non è cosa che l’Italia possa permettersi di questi tempi. Ragione per la quale raccomandiamo ai ragazzi temporaneamente attendati nei giardini universitari di passarsi una mano sulla coscienza e decidere chi essere, se studenti volenterosi degni di ogni aiuto o scrocconi che abusano delle tasche e della pazienza altrui.

Aggiornato il 19 maggio 2023 alle ore 10:16

Giornate di lotta, d’amore e d’anarchia al Camping La Sapienza

di

Cristofaro Sola

Inondazioni

E non basta: le buone notizie ovvero quelle che fanno giustizia di un catastrofismo datato vengono nascoste in qualche modo dai report, ma sono completamente eliminate dal Summary for Policymakers (SPM) ampiamente distribuito, rivolto a decisori ignari (forse) di come vengano formulate ipotesi climatiche spacciate per verità accertate. Tanto per uscire dal discorso astratto per quanto riguarda le inondazioni ad esempio, il rapporto IPCC AR6 ovvero l’ultimo uscito sostiene – con “scarsa fiducia” , ovvero poche probabilità – che gli esseri umani vi hanno contribuito, ma il Summary for Policymakers dice esattamente il contrario ossia che l’influenza umana ha aumentato le inondazioni. Dunque abbiamo due livelli: uno che in qualche modo manipola lo stato effettivo della ricerca, preparando il terreno di coltura delle grandi menzogne, mentre il secondo più rivolto agli ambiti politico – amministrativi completa l’opera, eliminando qualsiasi dubbio.

La grande scacchiera

Ankara sotto Erdogan, allo stato attuale, non è filo-russa; essenzialmente, cerca di trarre profitto da entrambe le parti. I turchi vendono droni Bayraktar a Kiev, hanno concluso accordi militari e allo stesso tempo, sotto il mantello degli “Stati turchi”, investono nelle tendenze separatiste in Crimea e a Kherson.

Allo stesso tempo, Erdogan ha estremo bisogno della cooperazione militare ed energetica russa. A Mosca non si fanno illusioni sul “Sultano” o sulla direzione che sta prendendo la Turchia. Se la svolta geopolitica di Ankara sarà ostile, saranno i turchi a perdere i primi posti nel treno eurasiatico ad alta velocità, dai BRICS+ all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e tutti gli spazi intermedi.

Pepe Escobar è un analista geopolitico e autore indipendente. Il suo ultimo libro è Raging Twenties. È stato politicamente cancellato da Facebook e Twitter. Seguitelo su Telegram

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/mosse-audaci-sulla-scacchiera-dell-asia-occidentale

Nuova normalità

L’Italia è un Paese teatrale dove il peggio della narrazione occidentale può essere espresso senza che esso metta in luce la plumbea realtà in cui giace l’occidente prigioniero di se stesso, dei propri miti e delle proprie bugie. Così Zelensky nella sua visita pastorale a Roma ha finalmente potuto essere il guitto che è: invece di mettere l’usuale giacca e cravatta con bandierine sparse, usata nei Paesi che contano qualcosa e dove le sceneggiate danno una cattiva impressione, ha voluto sfoggiare uno di quegli abiti di scena l’abito di scena che preferisce e che ha ritenuto adatto all’occasione. Sia dal Papa che dalla Meloni si è presentato con un maglione nero che sembrava preso da un museo della Decima Mas, o magari dal reparto stile di Casa Pound, arricchito da ben due emblemi nazisti della seconda guerra mondiale che poi sono diventati il simbolo della Organizzazione dei nazionalisti ucraini, ossia di fatto i neonazisti di di Kiev.

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Controstoria

Ho cercato di sottrarmi alla tentazione di scrivere qualcosa nel giorno della vittoria sul nazifascismo perché solo sfiorare l’ipocrisia dell’occidente rischia di lasciare tracce maleodoranti. E tuttavia capitandomi di leggere stupidaggini e banalità dovunque – alla fine non ho resistito a mettere in evidenza una cosa: se fino a una quindicina di anni fa ci poteva chiedere per quale motivo il contributo alla vittoria della Russia – anche se come Urss – sia stato essenziale e assolutamente decisivo venisse scandalosamente marginalizzato. Oggi la questione va inquadrata in tuttì altro modo: gli alleati ovvero gli Usa più la languente Gran Bretagna non combatterono davvero il nazismo che anzi fu aiutato in ogni modo possibile e immaginabile durante la sua ascesa e poi con il riarmo: la guerra vera era contro il socialismo che rischiava di creare gravi difficoltà al capitalismo. I documenti che via via emergono e ‘insolita conduzione della guerra ci fanno comprendere come l’impero anglosassone si volesse servire della Germania per indebolire la Russia e in seguito balzare alla gola sia di Mosca che di Berlino, ovvero di due Paesi logorati dalla reciproca guerra. Dal momento che l’incubo delle elite anglosassoni era un’alleanza tra Germania e Russia si doveva necessariamente puntare su personaggi border line oltre che seguaci di teorie dello stato razziale.

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Schiavi senza saperlo

Fonte: Andrea Zhok

Abbiamo visto:

  • gente che si compiaceva di vietare a concittadini sani di entrare nei negozi, nei bar, nelle università, negli uffici pubblici;
  • gente che bullizzava minoranze ragionevolmente dubbiose come fossero cani in chiesa – anche in prima serata TV;
  • gente che ti spiega che i neonazisti se sono benedetti dalla Nato, diventano amanti della tradizione runica e lettori di Kant (niente di nuovo sotto il sole peraltro, da quando Pinochet era venduto come alfiere delle libertà occidentali);
  • gente che ogni santo giorno si spella le mani in applausi quando i media mettono la museruola a chiunque si esprima fuori dal perimetro di regime e i social media a base USA chiudono siti sgraditi;
  • gente che approva ogni livello di razzismo culturale purché rivolto a chi viene di volta in volta dichiarato cattivo dalla TV (la barbarie dei russi, la barbarie degli iraniani, la barbarie dei nord-coreani, ecc.);
  • gente che quando la violenza più repellente sugli inermi viene esercitata dai propri alleati, che siano pestaggi nelle chiese ortodosse ucraine o nelle moschee di Gerusalemme, fischietta e gira a largo (“may be sons of a bitch, but they are our sons of a bitch”);
  • gente che se non tradisce almeno tre volte la Costituzione prima di colazione non digerisce bene (e così, dopo aver legittimato i TSO per interesse politico, oggi alimenta in maniera vigliacca ed anticostituzionale una guerra altrui, prendendo le parti di chi gli viene ordinato di sostenere);

Ed oggi una bella fetta di questi soggetti discriminatori, questi bulli prepotenti, questi simpatizzanti dei nazisti buoni, questi amanti della censura, questi razzisti culturali, questi guerrafondai a gettone saranno in prima fila sotto le bandiere dell’antifascismo.
Un po’ come Hannibal Lecter che guida le celebrazioni vegane.

Storia di una involuzione

Il vecchio sistema di controllo sociale alternava la repressione violenta dei bollori giovanili con periodici conflitti bellici in cui farli sfogare; il nuovo sistema di controllo invece fornisce già dei campi attrezzati dove poter fare finte rivoluzioni con le spade di cartone, su isole senza comunicazione con quella terraferma dove il potere reale gioca le sue partite.
Questo processo di costruzione di recinti artefatti, privi di ancoramento strutturale, non è però nuovo ed è sbagliato focalizzarsi solo su chi è giovane oggi. Si tratta di un processo iniziato almeno negli anni ’80, che semplicemente nel tempo si è ampliato e perfezionato. Tutto lo sforzo concettuale compiuto dalla riflessione marxiana (in parte già hegeliana) e sviluppato poi per oltre un secolo, è stato cancellato con la candeggina della nuova potenza mediatica.

Fonte: Andrea Zhok

Biolab

Nel nuovo libro di Franco Fracassi, una panoramica della situazione dei biolaboratori militari sparsi ormai in tutto il mondo. Le armi del futuro sono quelle biologiche. Poteri trasversali e interessi nazionali. Incidenti identici a Wuhan e Harbib alle origini della pandemia. Per il Pentagono virus e vaccini sono ambedue delle armi. Namru-3 il nuovo laboratorio di Sigonella – Le misteriose operazioni nel laboratorio di Trieste

contro.tv

Trump e i media

Niente manette né foto segnaletiche da rivendersi in campagna elettorale: Donald Trump è il primo presidente americano a essere arrestato. In una New York surreale si dichiara non colpevole per 34 capi d’accusa, sale nel sondaggi, le sue casse si riempiono di donazioni

Il manifesto