40 miliardi sulla cassa del morto

L’unica via d’uscita sarebbe quella di tornare alla politica, che sarebbe come pretendere di cavar sangue da una rapa: si finirà per andare a troika

il Simplicissimus

lisoladeltesoroSiamo il Paese di Pirandello quindi dovremmo essere meglio attrezzati al così se vi pare, al fatto che qualunque cosa possa essere presentata sotto una luce diversa a seconda dei casi e delle convenienze. Dunque l’idea del povero Renzi di aiutare le banche in affanno con 40 miliardi – una cifra con la quale si potrebbe tentare di rivitalizzare un po’ l’economia invece di essere costretti a usarla per tamponare perdite da titoli spazzatura, debiti inesigibili, operazioni opache – viene collegata e annessa come danno collaterale ai disastri del Brexit, come una sorta di anticipazione del giorno del Giudizio. In effetti il Brexit c’entra e non poco in questa improvvisa sortita di governo, ma per motivi del tutto differenti da ciò che si vuole fare intedere,  non perché abbia qualcosa a che vedere in via diretta con le sofferenze delle banche, a parte le solite oscillazioni di borsa, peraltro già  recuperate…

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Riassumendo…

Le elezioni del 2013 furono pareggiate perché il centrosinistra prese il 29,5 per cento dei voti e il centrodestra il 29, 1 per cento, mentre il Movimento 5 stelle conquistò il 25,5 per cento da solo (classificandosi come primo partito d’Italia, perché il Pd era al 25,4).

Questo risultato fu però viziato (grazie al famoso Porcellum) da un premio di maggioranza esorbitante che, per pochi decimali in più (lo 0,3 per cento), assegnò al centrosinistra 345 seggi alla Camera, mentre al centrodestra (che aveva pressoché la stessa percentuale) ne andarono 125 e al M5S, che pure era il primo partito, 109.

Il fatto determinante è che il 4 dicembre 2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato “incostituzionale” la legge elettorale detta “Porcellum”, giudicando “distorsivo” quell’enorme premio di maggioranza, perché “foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione” non imponendo “il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista”.

Tale sentenza non era una delegittimazione automatica, per via giuridica, del Parlamento appena eletto, ma una delegittimazione politica sì.

Però a Palazzo hanno fatto spallucce. E hanno evitato di fare la sola cosa giusta e democratica: cambiare il Porcellum, togliendo quell’esorbitante “premio”, e ridare la parola agli elettori.

Anzi, abbarbicati alle poltrone, hanno aggravato l’illegittimità politica dei governi che hanno raffazzonato, perché al “vulnus” rappresentato dai seggi “incostituzionali”, si sono aggiunte una serie di operazioni che sono uno sberleffo per gli elettori e per la sovranità popolare: la trasmigrazione verso il Governo di una quantità di parlamentari che erano stati eletti contro la coalizione del Pd. Mentre Sel, che alle elezioni era in coalizione col Pd di Bersani e ha usufruito del premio del Porcellum, è andata all’opposizione.

Così la “maggioranza parlamentare” non ha più nulla a che vedere col voto del 2013, è continuamente cambiata e sono cambiati pure i ministri e il Capo del governo. Tutto senza voto popolare.

Proprio perché non ha la legittimazione degli italiani il governo Renzi sta al guinzaglio della Merkel e di Obama: cerca ed ha da loro una legittimazione “coloniale”.

Diventato premier senza aver mai partecipato alle elezioni, con un Pd che non è nemmeno il primo partito d’Italia e una coalizione che stava alla pari col centrodestra e che ora sta sotto per la rottura con Sel, il Matteo nostro, col “premio” di parlamentari dichiarati “incostituzionali” dalla Corte e con quelli “transfughi”, ha addirittura cambiato la Costituzione, con un’abolizione del Senato che non abolisce il Senato, ma solo il voto degli elettori per il Senato.

E ha cambiato la legge elettorale con un’invenzione – l’Italicum – che un domani potrebbe permettere a un partito come il PD, al 25 per cento, di diventare padrone assoluto del Paese (cioè anche delle istituzioni di garanzia).

Antonio Socci

Da “Libero”, 26 giugno 2016

Era meglio Grexit

La Banca di Grecia dice che:

I suicidi sono aumentati. “il rischio di tendenze suicide aumenta quando si verificano i cosiddetti fattori di rischio primario (condizioni mediche psichiatriche), mentre i fattori secondari (la situazione economica) e terziari (età, sesso) hanno influenza sui suicidi, ma solo se i fattori primari sono già presenti.

La mortalità infantile è aumentata quasi del 50%, principalmente per l’aumento delle morti di bambini di meno di un anno, e la diminuzione delle nascite è stata del 22,1%. La mortalità infantile è aumentata: dal 2,65% nel 2008 al 3,75% nel 2014.

– Sono aumentati i casi di malattie mentali, specialmente la depressione. Gli aumenti: il 3,3% nel 2008, l’8,2% nel 2011, il 12,3% nel 2013. Nel 2014, il 4,7% della popolazione sopra i 15 anni ha dichiarato di soffrire di depressione: il dato era al 2,6% nel 2009.

-Aumento delle malattie croniche è aumentato di circa il 24%.

La Banca di Grecia osserva che “gli enormi tagli nella spesa pubblica non sono stati accompagnati da cambiamenti e miglioramenti del sistema sanitario al fine di limitare le conseguenze per i cittadini più deboli e vulnerabili della società.”

La relazione del governatore della banca di Grecia ricorda le indagini condotte dall’autorità statistica greca (ELSTAT) secondo le quali ci sono stati:

  1. Un significativo aumento del 24,2% delle persone con più di 15 anni che soffrono di problemi cronici di salute.
  2. Aumento di più del 15% delle persone che hanno limitato le proprie attività a causa di problemi di salute nel 2014.
  3. La percentuale di nascite sottopeso (sotto I 2,5 kg) è aumentata del 19% nel 2008-2010, e ciò è associato a effetti negativi a lungo termine sulla salute e lo sviluppo dei bambini.

 

Citando i dati dell’OCSE del 2013, la Banca di Grecia sottolinea che il 79% della popolazione in Grecia non è coperta da assicurazione e quindi riamane senza medici e medicine a causa della disoccupazione di lunga durata, mentre i lavoratori autonomi non possono permettersi di pagare i contributi sociali.

Un sondaggio condotto nel 2014 da ELSTAT ha mostrato che parte della popolazione sopra i 15 anni ha bisogno di aiuto medico ma non lo ha ricevuto a causa della mancanza di mezzi finanziari:

Il 13% della popolazione non ha rievuto cure mediche o trattamenti

Il 15,4% non ha ricevuto cure o trattamenti odontoiatrici

Il 4,3% non ha ricevuto cure o trattamenti mentali

L’11,2% non ha comprato le medicine prescritte dai medici.

La stessa indagine mostra una diminuzione dei ricoveri ospedalieri privati e un aumento di quelli negli ospedali pubblici, con l’effetto che gli ospedali pubblici non sono in grado di affrontare le richieste a causa dei tagli di austerità al bilancio e al personale. I ricoveri ospedalieri pubblici nel 2009 sono stati 1,6 milioni e 2,5 milioni nel 2014.

Secondo l’indagine, la percentuale della popolazione che doveva ricevere cure medico-infermieristiche e le ha ricevute in ritardo o non le ha ricevute del tutto era:

13,1% a causa delle lunghe liste di attesa

6,1% a causa della distanza eccessiva o di problemi di trasporto

9,4% a causa della mancanza di dottori specializzati e del personale sanitario.

La relazione della Banca di Grecia avverte che la crisi economica e la svalutazione del settore sanitario rischia di far precipitare l’aspettativa di vita.

Tutti quelli che vivono in Grecia conoscono molto bene le lunghe liste di attesa per ottenere un appuntamento per un esame medico o per i controlli diagnostici negli ospedali pubblici. In alcuni casi l’appuntamento per un semplice controllo può essere fissato a distanza di un anno. A causa dell’accorpamento degli ospedali e dei centri della salute primari, le persone devono percorrere fino a 120 km per trovare il medico di cui hanno bisogno. Solo un paio di giorni fa, Keep Talking Greece ha raccontato la situazione drammatica nella città di Ierapetra nel sud di Creta, e delle persone disperate che preferiscono cercare l’aiuto del veterinario locale a causa della mancanza di un dottore per esseri umani.

Tuttavia, la crisi non colpisce solo i pazienti. Colpisce anche il personale sanitario. Solo 2 giorni fa, un mio amico, un dottore specializzato in problemi vascolari, mi ha raccontato che mentre anni fa riusciva sempre a mantenere la corretta distanza dai pazienti, ha invece cominciato a risentire dei loro problemi, dal momento che le persone stanno soffrendo così tanto per la crisi economica. “La situazione è drammatica là fuori, e non posso far finta di non accorgermene” ha dichiarato.

Uno dei farmacisti di zona mi ha raccontato a volte del numero drammatico di pazienti che non possono permettersi di pagare il ticket per i medicinali che vengono loro prescritti. Molti dei suoi clienti dimezzano le dosi delle medicine – per esempio prendono le pillole per il colesterolo ogni due giorni anziché giornalmente – e alcuni hanno rinunciato completamente a curarsi. “Per alcuni la scelta è questa: o le medicine, o il cibo”.

Questo andazzo va avanti dal 2012, quando l’allora Ministro della Salute Greca ha adottato il modello tedesco dei “ticket per le medicine prescritte e per i test di laboratorio” e ha tagliato alcuni servizi primari per la salute ma ha dimenticato di adottare l’altro aspetto del modello tedesco, che prevede che i pazienti non debbano spendere più del 2% del loro reddito per i servizi medici e le cure.

Ma queste cose le ho già scritte molte volte, non è forse vero? Pensavo di poter lasciar perdere per un po’ il “dramma greco” ma la realtà è più forte della volontà e dei desideri di un blogger.

Fonte: relazione della Banca di Grecia, altri dettagli qui e qui.

PS L’aspettativa di vita diminuirà? Suppongo che i creditori ne saranno più che felici! Se le persone muoiono, non occorrerà pagargli le pensioni e i fondi assicurativi si salveranno.

Mosche cocchiere

Non è un caso che la crisi del movimento operaio e della politica di classe in occidente prosegue celebrando multiculturalismo e correttezza politica. E la diffusione della correttezza politica, a sua volta, storicamente coincide con la “finanziarizzazione” dell’economia, in altre parole con la massiccia redistribuzione delle risorse a favore del settore bancario. Da un lato, il capitale trionfa sul lavoro, derubato di una parte significativa delle conquiste sociali del ventesimo secolo. Ma dall’altra parte, la classe capitalista aveva la propria redistribuzione della ricchezza, e le élite finanziarie s’è appropriata di quasi tutti i frutti di tale vittoria. Non sorprende che tale situazione avanzi non solo nella classe operaia, ma anche in parte della borghesia. E gli attacchi di Trump alla correttezza politica non sono affatto manifestazione di sentimenti, sfrenatezza e maleducazione personali; ma è una strategia consapevole per consolidarsi in quei gruppi sociali che hanno sofferto la dittatura del politicamente corretto, colpiti praticamente e finanziariamente dalla perdita di reddito, posti di lavoro e ricavi…
Nel contesto dell’attuale situazione politica, il tentativo di fare di Trump il “male assoluto” non è altro che un tentativo di mobilitare la gente per proteggere lo status quo solo per evitare qualsiasi cambiamento. Ma il cambiamento c’è, non solo per logica politica e sociale, ma anche perché la possibilità di mantenere il modello neoliberista del capitalismo è oggettivamente esaurita. E se la sinistra non vuole e non può combattere, sarà il populista di destra Donald Trump negli Stati Uniti o Marine Le Pen in Francia ad infliggere un colpo fatale a tale ordine. In questo caso, sarà possibile, naturalmente, indignarsi per i “pregiudizi” e l’”irresponsabilità” della classe operaia, ma la vera responsabilità morale ricade sugli intellettuali di sinistra che, in tempi di crisi, hanno mostrato la loro posizione di classe, agendo da sostenitori delle idee e difensori degli interessi del capitale finanziario.

https://aurorasito.wordpress.com/2016/06/22/chi-ha-paura-di-donald-trump-la-sinistra-sta-con-hillary/

Salute liberista: il dramma della sanità in Grecia

C’è dunque la tragedia e c’è la beffa dei colpevoli che si permettono di salire in cattedra cercando di addossare ad altri le loro specifiche e ben conosciute responsabilità.

il Simplicissimus

092745267-727721e5-9793-44e6-aae1-b335eedc5889Due mesi fa è uscito Le confessioni, un buon film di Roberto Andò con Toni Servillo e Daniel Auteil che narra la storia di un frate invitato per vie a traverse a una riunione del G8 in Germania e che riesce a sventare un piano dei potenti per affossare i Paesi deboli nella convinzione che l’economia capitalistica abbia bisogno della distruzione per reggersi. Non so se il botteghino abbia sprriso, ma ne dubito non essendo inzeppato da supereroi, agenti della Cia che salvano il mondo, baldi soldati che, attualizzando ciò che disse uno spartano a un ateniese, esistono solo nei film, effetti speciali per gli specialissimi cretini contemporanei. Però quel film, per quanto angoscioso anche se  un po’ corrivo nell’affidare la chiave di volta della storia a un prete, è arrivato tardi, è già stato superato dalla realtà: il piano che ipotizza  sta già avendo attuazione. Nulla è stato sventato.

Un report della banca di Grecia  su Riforme…

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Nervi saldi

Sul Brexit abbiamo già scritto, sulle manipolazioni del referendum il capitolo è aperto: ” Il caso, opportunamente montato dai media, servirà ad accentuare l’effetto “salto nel buio” rispetto al possibile pronunciamento pro Brexit nel referendum: “quindi è questo tipo di gente quella che vuole distaccarsi da Bruxelles? “Estremisti di destra”, estremisti armati, gente che odia l’immigrazione perché odia il prossimo ed ha il mito della violenza e della razza “? Questo il pensiero sottilmente indotto nel pubblico che legge i giornali e vede le TV. Come di consueto in queste circostanze,  viene diffusa nel pubblico la psicosi e la paura di fare il salto verso l’ignoto, staccandosi dall’Unione Europea ”

http://www.controinformazione.info/gli-atlantisti-calati-come-avvoltoi-a-sfruttare-lomicidio-cook/

Obblighi NATO

Active Fence della NATO è operativa dal 2012: su richiesta della Turchia, che aveva chiesto il supporto  della NATO “per proteggersi dai missili siriani”  –   traduzione dalla neolingua: in preparazione dell’attacco al territorio siriano e nel progetto di costituire una no-fly zone dove potesse essere al riparo Deesh, Al Nusrah, insomma tutti i terroristi islamici racimolati da  mezzo  mondo con i soldi  di Cia e Sauditi.

Gli Usa prontamente accettarono,  e posizionarono al confine turco-siriano  i loro formidabili missili  MIM-104 Patriot , a cui si alternarono poi Patriot olandesi e germanici.  Dopo l’abbattimento dell’aereo russo  – attenzione – il Pentagono ha ritirato i suoi Patriot:  metà per dispetto  (eErdogan non li aveva avvertiti) e per far capire al sultano che non si lasciavano trascinare nelle sue guerre; ma ha ordinato ai suoi vassalli inferiori di fare il lavoro di “protezione dell’alleato turco”.  Così sono subentrati i missili di Madrid, e adesso tocca a noi.  Inseriti nell’immenso apparato di provocazione-intimidazione allestito dagli Usa per i russi:  due portaerei,   cacciatorpedinieri lanciamissili nel Mar Nero,  eccetera.  Insomma “I nostri ragazzi” e i nostri missili sono lì per coprire Daesh, Al Nusrah, e tutti gli altri gruppi terroristici islamisti pagati dagli americani e sauditi, e coltivati da Erdogan, e messi a malpartito dall’aviazione di Putin, onde possano riprendere la guerra al regime siriano e ai suoi alleati, Mosca, Teheran,  Hezbollah.

Siamo in  guerra a fianco dei turchi e dei terroristi islamici, potenziale bersaglio di Mosca. Giusto  per saperlo.

estratto da http://www.maurizioblondet.it/italiani-guerra-turchia/

se la cosa desta un minimo del vostro interesse (impegnati come siete a seguire gli europei di calcio) leggete tutto l’articolo

Liberismo come Totalitarismo

Così, di “pulizia ideologica” in “pulizia ideologica”, noi usiamo autopurificarci e autoassolverci da ogni possibile colpa, da ogni possibile bruttura: e affermare con luminosa sicurezza che la nostra democrazia liberal-liberista corrisponde al Migliore dei Mondi Possibili, salvo ulteriore, infinita perfettibilità sulla quale indefettibilmente marciamo. Basterà amministrare l’esistente. Si è cercato perfino di “esportarla”, quella nostra democrazia: con esiti purtroppo ormai ben noti.

Nel nome di questa logica aberrante, di solito accompagnata da una profonda ignoranza della nostra stessa storia – segnatamente di quella dei secoli XVI-XX fuori dal continente europeo, quindi del colonialismo, della decolonizzazione e della ricolonizzazione economico-finanzario-tecnologica – l’Occidente liberal-liberistico, i suoi gregari e i suoi complici usano proclamarsi liberi da qualunque colpa, innocenti di qualunque crimine. E’ nel nome di essa che l’attuale presidente di quella potenza mondiale che più e meglio di qualunque altra l’ha fatta propria può visitare con almeno apparente tranquillità la città di Hiroshima e dichiarare che gli Stati Uniti d’America non hanno scuse da fare a nessuno.

Già: le scuse. Un tema frequente, persino abusato. Ma quelle dalla Chiesa ripetutamente presentate al genere umano dai papi Giovanni Paolo II e Francesco, nel nome di quei figli di essa che nel corso dei secoli si sono allontanati dalla Parola del Cristo offendendo e opprimendo i fratelli, non bastano mai: nessun potente responsabile di stati o di Chiese che pur avrebbero tanto da farsi perdonare ha seguito il luminoso esempio di quei due pontefici, molti di essi però se ne sono dichiarati solo parzialmente soddisfatti…

La tirannia del profitto, che ora sta addirittura marciando a passi da gigante verso il danaro virtuale (così riuscirà paradossalmente a raggiungere uno dei traguardi utopici del bolscevismo, l’abolizione della moneta), sarà forse in apparenza più comoda ma è in realtà di gran lunga peggiore di entrambe: anche perché si accompagna a forti dosi anestetiche di organizzazione mediatica del consenso. Banche, borse, centri mediatici, ipermarkets e centri commerciali ne sono i templi e al tempo stesso le consumistiche fumerie d’oppio nelle quali senso critico e libertà si anastetizzano, si ottundono, si addormentano. I criminali assassini che più o meno occultamente (ormai, nemmeno più tanto) ci governano, non opprimono e non sopprimono nessuno con l’esplicita violenza nel nome della razza o della classe sociale o della fede religiosa: opprimono e sopprimono con la corruzione e l’assuefazione che generano disimpegno e consenso, e loro scopi sono la ricchezza, il danaro, il profitto, ancora più squallidi e infami del potere conseguito per affermare una tirannia ideologica…

Ma, come diceva il vecchio Brecht, il ventre che ha partorito questi mostri è ancora gravido. I nipotini dei massacratori otto-novecenteschi sono ancora al potere e al lavoro: anzi, sono più protervi di prima dietro le loro “rispettabili” maschere di finanzieri, di chief executive officiers, di tecnocrati, di “consiglieri militari”. Con il dato aggravante e inquietante che queste élites “dirigenti”, sia i tecnocrati e gli strateghi politici che ne sono la guida e ne godono nonché ne distribuiscono i profitti sia i politici che si presentano ad esserne esecutori, sembrano ormai brillare per ottusità, per inefficienza, per incompetenza, per incapacità di prevedere e di programmare il futuro.[15]

E noi ne siamo schiavi: con l’aggravante che moltissimi di noi non sospettano nemmeno di esserlo.[16] Ha ragione Marco Revelli: la lotta di classe esiste, e l’hanno vinta loro. “Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!”, proclamavano Marx ed Engels. Il mondo dominato dalle lobbies dimostra che è accaduto il contrario: si sono uniti i padroni. Se non sapremo arrestare questo macabro Totentanz e invertirne il corso in apparenza fatale, ci resterà solo la speranza che questa orribile Controciviltà materialista imploda e trascini nel gorgo delle sue infamie chi l’ha voluta e costruita. E non facciamo l’errore di accettare la sfida sul solo o sul prevalente campo economico-finanziario, come il nemico vorrebbe fare: questa battaglia è anzitutto morale e culturale.[17]

FRANCO CARDINI

[15] Su questo misto di arroganza e di miopia: S. Latouche, L’occidentalisation du monde, Paris, La Découverte, 1989 e successive edizioni: è ormai un “classico” molto letto per quanto inascoltato; S. Natoli, Progresso e catastrofe, Milano, Marinotti, 1999; S. Latouche, La fine del sogno occidentale, tr.it. Milano, Elèuthera, 2002; P. Artus – M.-P. Virard, Le capitalsime est en train de s’autodétruire, Paris, La Découverte, 2005; Iidem, Globalisation. Le pire est à venir, Parid, La Découverte, 2008. Utile anche l’agghiacciante atlante Un monde sans loi. La criminalité financière en images, Baume-les-Dames, I.M.E., 2000.

[16] Al di là della stessa NATO, si pensi all’immane trappola del cosiddetto TTIP nella quale stiamo per cadere: cfr. S. Halimi, Grand Marché Transatlantique. Les puissants redessinent le monde, “Le Monde diplomatique”, juin 2014, pp. 11-18. Attenzione, perché il trattato ci viene proposto fra l’altro – da “teste d’uovo” (per non dir peggio) come Richard Rosencrance di Harvard – come l’unica e ultima speranza per evitare che “le nazioni d’Oriente” – segnatamente India e Cina – non sorpassino l’Occidente in termini di crescita, d’innovazione, di profitti e quindi di potenza militare. Il che. Verrebbe da commentare, non sarebbe poi la fine del mondo, anzi!, se non ci fosse il problema che questa Cina, quest’India, stanno a loro volta diventando, sono anzi già diventate, parte dell’Occidente/Modernità e del culto universale di Mammona.

[17] Cf. J.-P. Warnier, La mondialisation de la culture, Paris, La Découverte, 2004; Atlas de la mondialisation, Paris, Presses de la Fondation Natinale des Sciences Politiques, 2006.

Si consiglia caldamente la lettura del testo integrale dal blog dell’autore: http://www.francocardini.it/minima-cardiniana-125/

 

 

October surprise

Sì,  possiamo   sferrare per primi e vincere una guerra atomica, senza temere altro che le ricadute  radioattive   delle nostre  bombe occidentali sull’intero emisfero Nord, specie sull’Europa:  per lorsignori “problema gestibile, e prezzo che vale la pena di pagare per eliminare la Russia”, commenta Zuesse (http://www.strategic-culture.org/news/2016/05/18/obama-ratchets-up-invade-russia.html)

E’ un rovesciamento totale della precedente dottrina strategica (MAD) che Obama sta rapidamente mettendo in atto posizionando i sistemi Aegis a ridosso dei confini russi; per questo Putin ha chiesto di discuterne (e arrivare a un nuovo trattato di  stabilità), offerta che Obama ha arrogantemente rifiutato.

Continua a leggere “October surprise”

Da noi si fa sempre finta

Dei commenti post-elettorali di casa nostra il più calzante mi è sembrato quello di Carlo Bertani, che riporto integralmente:

Strane e molto interessanti elezioni: nonostante le molteplici e diversificate tiritere, tutti hanno perso. Erano elezioni di sindaci, d’accordo, ma non crederete mica che, chi è andato a votare, lo abbia fatto meditando sul fatto che De Magistris era meglio della Raggi oppure Fassino di Mastella?

La gente si è espressa sulle questioni che interessano: chiami a votare il popolo? Il popolo risponde secondo quello che la sua pancia gli indica, mica una faccia o un partito…per fare il sindaco poi…ed ha pensato ai contratti sempre più a termine, ai voucher, al lavoro che non c’è, alla corruzione che fa incazzare di brutto, quando hai dei figli che non trovano lavoro, e cominci ad aver paura che non lo trovino proprio più, perché è il lavoro ad essersi estinto. Macchine a controllo numerico, computer, catene di montaggio automatizzate…ma se ci fermassimo qui diremmo solo delle banalità.

Due sono le entità che hanno gettato l’occhio sulle elezioni italiane, e che lavoreranno su quei risultati: l’UE e la diplomazia USA, sotto varie forme e con più attori. Sarà piaciuto lo spettacolo? Soddisfatti per il costo del biglietto?

Partiamo dall’UE.

In Europa le elezioni non s’indicono per creare classi dirigenti, bensì si celebrano per osservare chi sa offrire meglio la solita merce avariata, ossia prelievi, tasse, leggi di coercizione europee, nuove tagliole, vecchie gabelle rimodernate, soluzioni “avveniristiche” che fanno ridere. E sempre maggior sudditanza a Bruxelles, sia chiaro: questo è l’unico obiettivo, che tutto comprende.

Ne sono chiari esempi la “regolarizzazione” delle elezioni austriache, laddove il risultato non era soddisfacente, oppure la “trovata” di vendere a pezzi la Grecia, visto che tutta intera dà più problemi che proventi.

Saranno rimasti soddisfatti a Bruxelles, a Francoforte, a Strasburgo? Ne dubitiamo.

E’ vero che “tutto s’aggiusta” sempre, ma c’è sempre un prezzo da pagare ed il prezzo, verosimilmente, deve essere il più basso possibile (in termini politici) e ben organizzato e venduto (in termini mediatici). E’ vero che hanno la forza per imporlo, ma schierare a difesa dell’UE i Lancieri di Montebello con i loro blindati in una Roma assediata è una prospettiva che fa rizzare i capelli anche a lor signori.

Vediamo alcuni dati statistici.

Nel 2000, prima dell’introduzione dell’euro, la fiducia degli italiani nell’impianto europeo era del 57%, un dato piuttosto alto e “rassicurante”. Nel Marzo del 2014 era crollato al 29%: una bella débacle, oggi sarà ancora sceso, non ci sono elementi per affermare che sia migliorato.

La “popolarità” dell’UE in Italia si può riassumere in questo modo: 29% di fiducia, 27% di sfiducia e, nel mezzo, un 44% di “sfiducia da depressione”, ossia gente che non ci crede più, ma che ha paura che staccare la spina dell’euro sia ancora peggio.

Se l’obiettivo europeo è la rassicurazione, queste elezioni non hanno fornito un buon viatico: il PD, il più compatto partito europeista, ci ha mollato di brutto. Non è catastroficamente crollato, ma il trend conduce, se non proprio all’estinzione, ad un ruolo negletto e marginale.

Forza Italia e la Lega sono partiti, sull’europeismo, “a geometria variabile”: negli anni sono stati su entrambe le sponde, con un’altalena di posizioni entusiaste e dissacranti. Il loro elettorato è ancor più variabile sul tema, e meno controllabile di quello del “fido” PD. Gli altri, i “minori”, son lì solo per figura e danno ancor minore affidamento.

Rimane l’incognita 5 Stelle.

Il M5S ha dato sì alcune indicazioni anti-europeiste, ma non ha mai preso posizioni chiare sull’euro e, soprattutto, su cosa fare se l’Italia decidesse d’uscirne. Questo lascia uno spazio di manovra alle burocrazie europee: in ogni modo, a meno di giocarsi il M5S in pochissimi anni, l’UE dovrebbe – almeno formalmente – dare qualche indirizzo politico/economico difforme dall’attuale, e quel “formalmente”, per molti, sembra già troppo. E’ un problema, a ben vedere, che tocca metà dell’UE, quella meridionale, e l’obiettivo delle economie del Nord è proprio quello di non concedere nulla agli odiati PIIGS.

Di conseguenza, tutto ciò che possiamo aspettarci è che premeranno ancor più sul PD – se ci sarà qualche spicciolo da investire, meglio in mano al PD che al M5S – ma chiederanno al PD qualcosa in cambio, la testa di Renzi ad esempio, e la restaurazione della “vecchia guardia” dei D’Alema, Bersani & Co. Il fondo del barile non contiene altro: dovranno accontentarsi.

E gli USA?

La questione USA presenta delle differenze: agli americani interessa di più la geopolitica, soprattutto Africa ed Asia, ed usano mezzi più spregiudicati per raggiungere i loro obiettivi. Anche per gli americani Renzi è a un bivio: o s’adatta a gestire in prima persona la guerra in conto terzi per la Libia, oppure torna a Firenze a gestire la fondazione per la Vera Bistecca Fiorentina. Maremma impallinata.

La simpatia della diplomazia USA per il M5S non è un mistero: gli americani guardano con favore verso chi parla di rinnovamento, d’innovazione, questo sì…però…per prima cosa gli USA sono in un anno elettorale, di conseguenza fino al 2017 non si muoverà foglia che Washington non voglia.

Sempre che la questione libica non s’aggravi (ossia scendano i quantitativi di greggio) e, proprio per questa ragione, potrebbero puntare anch’essi su un ribaltone interno al PD, onde portare al potere gente più fidata ed affidabile. Sarebbe un’operazione di scarso rilievo, che si può fare anche sotto elezioni: e poi, a Renzi non dispiacerebbe la fondazione per la Bistecca, la gestirebbe insieme alla Boschi in santa pace. Maremma copulata.

Gli scenari futuri potrebbero ancora cambiare – un M5S al potere, per gli USA, lo si addomestica con un attentato…e che ci vuole? – ma, per ora, non vedrei altro.

Certo, Renzi pensa ad un commissariamento, ad una “strigliatina” nel partito…ma, caro, piccolo Renzino, non ti sei accorto che i giochi sono più grandi, e non hai fatto bella figura con ‘ste elezioni…molti non hanno gradito il risultato, vogliono la restituzione del biglietto…che devi fare?

Ma nulla! Faranno tutto loro, tranquillo. A te…resterà da urlare Maremma inchiappettata! Eh, Renzino, oneri ed onori…bye, bye

In Svizzera si fa sul serio

di G. Cirillo Oggi non ci occuperemo delle odierne elezioni amministrative italiane, che magari analizzeremo dopo aver conosciuto i risultati, ma dei quesiti referendari votati in Svizzera, terra che spesso esprime quesiti all’avanguardia che altrettanto spesso vengono bocciati dalla massa del popolo (del resto la democrazia svizzera, pur essendo il top di gamma tra la democrazie avanzate, è comunque una democrazia distorta come le altre dall’eccessiva concentrazione di potere a livello mediatico ed economico). Quello che più ci interessa è il quesito sul reddito di cittadinanza incondizionato dalla nascita di circa 2250 franchi svizzeri per gli adulti e di 625 per i minorenni. Precisiamo che con ogni probabilità ha vinto il no, ma i promotori hanno comunque fatto da battistrada ad un tema molto seguito da questo blog quello della deflazione tecnologica e dell’automazione. La deflazione tecnologica inevitabilmente comporta una riduzione dei posti di lavoro e un aumento della disoccupazione e come abbiamo visto nell’articolo La necessità di superare il capitalismo, questa rivoluzione industriale è diversissima dalle precedenti dove la deflazione tecnologica era fortemente compensata da nuovi bisogni che prima non esistevano. Ora, invece, si creano sempre dei nuovi bisogni ma non in misura tale da compensare l’abbondanza creata dalla nuova tecnologia. E proprio a livello strutturale, il capitalismo non è in grado di distribuire questa abbondanza, che rimane concentrata, mentre sempre più posti di lavoro vengono persi senza essere sostituiti da altri. L’aumento progressivo della disoccupazione e della sottooccupazione ci porta a concludere come assolutamente necessario un reddito di cittadinanza già nel futuro prossimo. Venendo alla situazione svizzera, ovviamente il referendum perde perché la Svizzera è uno degli stati economicamente più forti del mondo e non ha dei grossi problemi di disoccupazione tali da portare alla vittoria di questo referendum. Inoltre, a nostro avviso, impostare il reddito di cittadinanza come qualcosa da sostenere con altre tasse lo trovo abbastanza sbagliato, soprattutto nel caso svizzero dove sarebbe facilmente sostenibile con la creazione monetaria (la Banca Centrale Svizzera già stampa tantissimo per mantenere il Franco basso, se stampasse per coprire interamente il Reddito di cittadinanza non ci sarebbero problemi, perché il valore del nuovo denaro si scaricherebbe sul resto del mondo che accetta e vuole il franco come valuta rifugio). Ed ancora, troviamo anche sbagliato impostare da subito il reddito di cittadinanza per tutti dalla nascita e non solo come sussidio per chi non ha reddito. Detto questo vediamo la nostra proposta sul reddito di cittadinanza: http://www.controinformazione.info/reddito-di-cittadinanza-si-o-no/

Il cuore di tenebra del modello tedesco

Secondo Massimo d’Angelillo (La Germania e la crisi europea, Ombre Corte, 2016), la leadership politico economica che la Germania ha assunto de facto all’interno dell’Unione Europea è frutto di una strategia di lungo periodo, che origina negli anni Settanta, quando il collasso del sistema valutario a cambi fissi di Bretton Woods e la crisi petrolifera mettono fine a trent’anni di crescita sostenuta da parte dell’Occidente, producendo inflazione e disoccupazione di massa (stagflazione). La reazione tedesca alla crisi del modello keynesiano fino ad allora dominante va in controtendenza rispetto ad altri grandi Paesi, come Stati Uniti e Gran Bretagna, che si gettano tra le braccia dei leader neoliberisti Thatcher e Reagan con i loro furori antistatalisti e antisindacali e la loro fascinazione per la finanza, mentre si fonda su una nuova visione dell’economia: il keynesismo dell’export, che spinge i governi a concentrare gli sforzi di politica economica sul rafforzamento della posizione commerciale del Paese (p. 119) .

Nel modello del keynesismo dell’export, di cui saranno primi sostenitori i Socialdemocratici guidati da Helmut Schmidt, la crescita del PIL del Paese è trainata dalla domanda estera e non più dalla spesa pubblica come nel keynesismo tradizionale; di conseguenza, servono politiche dell’offerta per incrementare la competitività della manifattura ( investimenti massicci in ricerca, formazione professionale, infrastrutture, energia) e una valuta forte che frusti le imprese a perseguire continui guadagni di produttività attraverso il miglioramento della qualità dei prodotti evitando la scorciatoia del contenimento dei costi (o le svalutazioni del cambio).  Il modello tedesco così disegnato dai socialdemocratici sarà in grado di far balzare, in pochi anni, l’incidenza dell’export tedesco sul PIL di ben cinque punti percentuali (dal 18,5% al 23,7%) e di abbattere l’inflazione, sperimentando con successo anche lo strumento della concertazione: un patto tra produttori in cui i sindacati, in cambio di welfare e di maggior potere nella gestione delle imprese, moderano le richieste salariali, mentre gli imprenditori si impegnano a reinvestire i maggiori profitti nel potenziamento dell’azienda. Ciò garantisce la combinazione aurea tra crescita economica e coesione sociale, vanto del Modell Deutschland.

Durante il lungo cancellierato del democristiano Helmut Kohl (1982-1998), la Germania intensifica la sua forza competitiva grazie all’apertura dei mercati dell’Est (compreso quello dell’ex Repubblica democratica tedesca, DDR) e alla costruzione del mercato unico europeo e dell’euro. I grandi gruppi tedeschi dell’auto e della meccanica possono così accedere ad una vasta rete di subfornitori a bassi costi e alte qualifiche in Paesi come Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria; mentre con l’istituzione della moneta unica e i vincoli alle finanze pubbliche previste dai Trattati europei vengono impedite svalutazioni competitive di cui si avvantaggiavano, in precedenza, paesi come l’Italia, che rosicchiavano per questa via quote di mercato alle imprese tedesche. Tuttavia, i costi economici e sociali dell’unificazione valutaria e politica della Germania (avvenuta il 3 ottobre 1990) sono rilevanti per l’est tedesco, in termini di elevata disoccupazione, emigrazione, deindustrializzazione e questo falsa le statistiche medie aggregate, facendo parlare a torto di declino dell’intero Paese ( “Germany: The sick Man of Europe”, titola l’Economist nel 2005).

Herlinde Koelbl - Gerhard Schroeder, Cancelliere dal 1998 al 2005

Herlinde Koelbl – Gerhard Schroeder, Cancelliere dal 1998 al 2005

La strategia del keynesismo dell’export si fa così più aggressiva, questa volta puntando sul contenimento dei costi: salari diretti, indiretti (welfare) e differiti (pensioni). Se ne fa carico il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder con il pacchetto di riforme “Agenda 2010″,  che crea un mercato del lavoro a bassi salari e basse tutele per un quinto dei tedeschi (soprattutto giovani e donne del terziario, con più alta incidenza nella Germania orientale) e riforma lo Stato Sociale, tagliando entità e tempi di fruizione dei sussidi di disoccupazione e inasprendo le condizioni per mantenerli. A seguito di queste politiche di severa riduzione della domanda interna, il peso dell’export sul PIL tedesco cresce, durante il periodo 2002-2012, di dieci punti percentuali, facendo della Germania il primo esportatore mondiale nel 2006 (poi superato dalla Cina nel 2010) e il terzo paese al Mondo per incidenza dell’export sul PIL, dopo Vietnam e Corea del Sud (paesi con un peso demografico che è però inferiore a quello tedesco). Il surplus commerciale tedesco (differenza tra esportazioni e importazioni) esplode dal 2002, anno d’ingresso dell’euro, passando dal 1,9% al 8% del PIL in soli tredici anni[1]; la liquidità ottenuta dalla vendita delle proprie merci viene investita in titoli di stato della periferia europea, lucrando sui maggiori differenziali nei rendimenti rispetto al Bund, o vanno a sostenere, via intermediazione bancaria, le bolle immobiliari dei paesi del Sud Europa, fino allo scoppio della crisi finanziaria del 2007 e quella dei debiti sovrani dei PIGS nel 2011.

George Packer

Herlinde Koelbl – Angela Merkel, Cancelliera dal 2005

Siamo giunti così all’attualità. Il governo conservatore Merkel-Schäuble svela il cuore di tenebra di un Paese che continua a far leva su surplus commerciali insostenibili – specchio di un cronico eccesso di risparmio privato rispetto a consumi e investimenti – e a porsi nel ruolo del creditore intransigente nei confronti dei paesi del sud europeo, costretti a un commissariamento di fatto dei loro governi (vedi i casi eclatanti di Grecia e Italia) e sottoposti a una terapia shock a base di tagli di spesa e deflazione salariale. Con conseguenze devastanti: dal 2009 al 2014 l’Eurozona subisce una decrescita del PIL dell’1% e una crescita della disoccupazione di 3 punti percentuali, mentre gli Usa crescono del 7,8%, il Giappone del 2%, la Cina del 52,7%. Scandalose disuguaglianze e povertà dilaniano le società europee, in primis quella tedesca. La cura dell’austerità, pur aggravando la malattia, viene comunque portata avanti per regolare i conti all’interno dell’Eurozona. Sta per avverarsi il sogno di Schäuble : l’Europa come “Sacro romano Impero della Nazione Germanica”, nella tacita connivenza di una sinistra europea (a cominciare dalla socialdemocrazia tedesca ) che ha rinnegato Keynes e le politiche della domanda pubblica (W.Münchau) per puntare tutto sulle riforme strutturali (liberalizzazioni, deregolamentazioni, privatizzazioni) e la retorica della “competitività”. Conclusione: “si ritiene che possa valere per tutta l’Eurozona quel modello di keynesismo dell’export che aveva funzionato così brillantemente in Germania. Dimenticando che i successi della piattaforma esportativa tedesca erano stati costruiti in almeno trent’anni, e comunque erano stati affiancati da lungimiranti e coerenti politiche industriali e sociali. I successi del Made in Germany erano costruiti gradatamente facendo leva sulla qualità dei prodotti, mentre ora i paesi in difficoltà vengono invitati brutalmente a competere abbassando costi e salari, cioè facendo leva soltanto sui prezzi, in modo repentino e socialmente insostenibile” (p.212).

Federico Stoppa

Editing grafico a cura di Edna Arauz

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Note:

[1] Ocse, Economic Surveys Germany, April 2016, pp-16-17

Riportato integralmente da https://ilconformistaonline.wordpress.com/2016/05/07/il-cuore-di-tenebra-del-modello-tedesco/