L’innesco Slavo

Tutti questi sono i collegamenti di una catena, alla fine di essa – troviamo la creazione della “Grande Albania”, in cui gli attuatori di questa idea vedono l’Albania, il Kosovo, una parte dei territori della Macedonia settentrionale popolata da albanesi e le regioni meridionali del Montenegro, nonché le enclavi albanesi nel nord Grecia.

Nell’Unione europea, non si possono ignorare l’intenzione dell’Albania e del Kosovo di unirsi. Ma l’impressione è quella che non si vogliano notare le cose ovvie. E in questo contesto, la dichiarazione del commissario europeo per l’allargamento Johannes Hahn, che ha recentemente affermato che la Commissione europea ha raccomandato che il Consiglio dell’UE avvii i negoziati con l’Albania e la Macedonia settentrionale per aderire all’Unione europea, è molto curiosa. Non risulta che l’UE risolverà il problema del riconoscimento del Kosovo come Serbia con la seguente modalità: al Kosovo sarà consentito di unirsi all’Albania, e quindi l’Albania sarà attirata nell’UE entro i nuovi confini?

E che dire della Macedonia del Nord? Resta il fatto che le interferenze grossolane di Albania e Kosovo nei processi politici in questo paese al fine di fornire alla minoranza albanese (circa un quarto della popolazione) dei privilegi pesanti che violano gli interessi della maggioranza slava.

Dopo le elezioni parlamentari alla fine del 2016, l’Unione socialdemocratica di Macedonia sostenuta dall’Occidente (SDSM) ha richiesto il sostegno del partito di minoranza albanese del DUI e ha chiesto il permesso dell’allora presidente George Ivanov di creare un governo. L’Unione di SDSM e JII è stata conclusa alle condizioni chiamate “Piattaforma albanese”.

La principale di queste condizioni è la federalizzazione del paese sul principio etnico, la divisione della Macedonia in parti slave e albanesi. Il presidente Ivanov ha resistito. L’UE e gli Stati Uniti in questa crisi hanno preso le parti dell’SDSM e degli albanesi. E Hashim Thaci ha detto che “gli albanesi in Macedonia dovrebbero prendere in mano la situazione”.

Alla fine, è stato formato il governo SDSM Zoran Zayev, che si è impegnato, in realtà, ad agire sulla “piattaforma albanese”. Il presidente del paese con il nuovo nome – Macedonia settentrionale – dal 19 maggio di quest’anno, è diventato il candidato dell’UDSM Stevo Pendarovsky.

Oggi la situazione è il più comoda possibile per i kosovari e gli albanesi in generale. In realtà stanno ricattando l’Occidente collettivo, realizzando che, in caso di un vero conflitto con la Serbia, la NATO si schiererà sempre con loro, come ha fatto nel 2008, riconoscendo l’indipendenza di Pristina da Belgrado. Portando il conflitto con la Serbia a un punto pericoloso, gli albanesi possono dare un ultimatum all’Europa e all’intero Occidente: riconoscere la legittimità dell’unificazione di Albania e Kosovo.

Il prossimo passo sarà la divisione della Macedonia e del Montenegro in parti slave e albanesi e la seconda in Albania. L’Occidente ci riproverà. Poi ci sarà una richiesta per il “salvataggio” degli albanesi nel sud della Serbia, che, diranno, rischiano di affrontare una “catastrofe umanitaria” o qualcosa del genere, per giustificare un intervento della NATO.
Nota: In Italia, di queste questioni realtive ai Balcani, non si parla, si è preferito agitare per mesi il problema del “pericolo fascista” mentre non è considerato un pericolo l’enclave di terrorismo jihadista che si è costituito in Kosovo. Eppure tale situazione dovrebbe riguardare l’Italia da vicino visto che Albania e Kosovo sono a circa una ora di volo da Roma e ancora meno da Bari.

Nella foto in alto: manifestazione dei nazionalisti serbi.

Igor Pshenichnikov, Izvestia

Traduzione e nota: Sergei Leonov

https://www.controinformazione.info/come-la-grande-albania-potrebbe-schiacciare-leuropa/

Gad-get di classe

Sono quelli del restate umani, detto a noi però, sperando che così esercitiamo pietà, carità, mitezza e l’arte della rinuncia a diventare belve come loro.

il Simplicissimus

bullingdon-0148-kYgF-U43250109870505ZYF-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443 Anna Lombroso per il Simplicissimus

È probabile che la benigna divinità del “politicamente corretto” l’abbia sfiorato, così ha attinto qualcosa dai Quaderni di Gramsci, né più e né meno di quelli che rivendicano su Fb di aver frequentato l’università della vita, dando della “classe subalterna” a quelli che avrebbe voluto definire marmaglia, volgo, plebe:  “L’Italia leghista, ha scritto Gad Lerner su Twitter,  è un rivolgimento profondo, sociale e culturale prima ancora che politico, come testimonia il voto nelle ex regioni rosse. Già in passato le classi subalterne si illusero di trovar tutela nella trincea della nazionalità. Non finì bene”.

Non c’era da aspettarsi di meglio dagli incendiari candidati direttori fin dalla cuna, di una lettura storica in 280 battute, che esprime lo sprezzo schifiltoso per quella “frazione disgregata della società civile” che sfugge alla loro egemonia culturale e intellettuale.

A quelli come lui la rivolta…

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Odio generalizzato?

MIRANDOLA – L’aveva già fatto a Roma. Emergono particolari inquietanti nella figura del giovane maghrebino di 18 anni che è stato accusato di aver dato fuoco alla sede dei Vigili Urbani di Mirandola e di aver provocato la morte di due persone. C’è infatti una denuncia per danneggiamento a una caserma dei Carabinieri di Roma nel suo excursus criminale.

Un precedente specifico che indica un odio generalizzato verso le istituzioni che rappresentano lo Stato. Forse proprio questo odio ha armato col fuoco la mano del ragazzo. A farne le spese sono state due persone, la signora Marta Goldoni di 84 anni e la signora Yaroslava Kryvoruchko di 74 anni, badante di origine ucraina che l’assisteva. Altre due sono in gravi condizioni. Sedici sono gli intossicati, tra cui tre bambini.

Del giovane autore di questo tragico atto criminale si sa poco. Le sue impronte digitali sono state rilevate per la prima volta in Italia un anno e mezzo fa. E’ stato censito per la prima volta a Roma nel settembre 2018, proveniente da Lampedusa, poi è riapparso a Genova e risulta un accompagnamento alla frontiera a Ventimiglia per l’espulsione. Ma lui in qualche modo torna in Italia e pochi mesi dopo è a Roma. Pare che sia stato accolto in varie case famiglia per minorenni della capitale, da cui è regolarmente fuggito. Nel frattempo arricchiva il suo curriculum criminali di danneggiamenti e reati contro il patrimonio, tutte cose di lieve entità, ma abbastanza per fargli guadagnare l’espulsione. A Roma lo fermeranno l’ultima volta il 14 maggio e gli consegnano un decreto di espulsione. Ogni volta che viene fermato dà un nome, un’età e una nazionalità diversa. L’ultimo, quello dichiarato a Mirandola, è Hamed Amin, il suo vero cognome è Otman e l’altra certezza che si ha è sulla sua età, 18 anni, perchè è stata accertata dagli esami auxologici.

Perchè era ancora in Italia? Dal Ministero dell’Interno fanno sapere che «il giovane marocchino ritenuto responsabile dell’incendio non poteva essere allontanato dal territorio. Al momento della notifica del decreto di espulsione della questura di Roma lo scorso 14 maggio aveva infatti espresso l’intenzione di chiedere asilo. Per questo motivo non è stato allontanato dall’Italia». Il Viminale aggiunge che «ora lo aspetta il carcere». «Sarà infatti sottoposto – spiegano dal Ministero – alla procedura accelerata di esame della sua istanza di protezione internazionale secondo quanto stabilito dal Decreto Sicurezza».

Intanto, con il Pubblico Ministero di Modena il ragazzo martedì pomeriggio ha fatto scena muta. Difeso d’ufficio dall’avvocato Fernando Giuri, non ha dato spiegazioni sul perchè sia arrivato a Mirandola. Era venuto a trovare un amico? O se ne stava andando verso la Germania col treno? O qualcuno lo ha portato qui da Roma e poi lo ha scaricato sullo stradone di Camposanto dove lo ha raccolto l’ambulanza che lo ha condotto nella maledetta notte tra lunedì e martedì all’ospedale di Mirandola? Da lì, poche ore dopo, il giovane si è staccato la flebo dal braccio ed è scappato. Alle due di notte è nel Comando dei Vigli Urbani di Mirandola ad accatastare mobili, carte e cartoni per dare fuoco a tutto.

Incendio alla caserma di Mirandola, l’aveva già fatto a Roma

La guerra alla Jugoslavia

Operazione a ferro di cavallo
Solo dieci anni dopo l’europarlamentare Nadezhda Nejnskij (Mihaylova), ministra degli Esteri bulgara nel 1999, chiarì che i servizi segreti bulgari avevano avvertito i tedeschi che le informazioni contenute nel “piano” non erano state pienamente confermate. Ma la NATO era presente in Kosovo molto prima della primavera 1999. Il 15 ottobre 1998 fu firmato un cessate il fuoco facilitato dalla NATO nella regione, in base al quale le truppe jugoslave tornavano nei punti di schieramento permanente. Il monitoraggio del cessate il fuoco fu affidato alla NATO. Coll’operazione Eagle Eye, diplomatici ed esperti militari della NATO erano presenti in Kosovo per osservare la situazione. Pertanto, la NATO era ben consapevole di tutte le posizioni dell’esercito jugoslavo in Kosovo e Metohija e non aveva bisogno delle “informazioni non confermate” dei servizi segreti bulgari. Verso la fine del 1998, l’Esercito di liberazione del Kosovo (KLA), un gruppo terrorista albanese del Kosovo, era sull’orlo della sconfitta, ma gli albanesi si sentirono protetti dalla NATO e continuarono a combattere. Il cessate il fuoco finì e i terroristi albanesi attaccarono la polizia e villaggi serbi. All’inizio del 1999, l’UCK aumentò le attività terroristiche e la situazione nella regione divenne estremamente difficile. L’esercito jugoslavo fu costretto a riprendere le operazioni antiterrorismo sapendo benissimo che la NATO non ne sarebbe stata felice. Nel gennaio 1999, si svolse una battaglia nel villaggio di Ra?ak, che l’UCK aveva trasformato in un roccaforte con trincee, bunker e nidi di mitragliatrici. Il numero esatto di albanesi uccisi a Ra?ak non è ancora chiaro. L’UCK e i suoi sostenitori di Washington dissero che ci furono vittime tra la popolazione locale. Tuttavia, l’esame forense mostrò che tutti i morti avevano tracce di polvere da sparo sulle mani, e lo stato degli abiti civili che indossavano non era coerente con le ferite ricevute. Dopo aver parlato coi capi del KLA, tuttavia, il diplomatico nordamericano William Walker e il suo consigliere militare, il generale inglese John Drewienkiewicz, insistettero sul fatto che i soldati serbi avevano massacrato donne e bambini a Ra?ak. Anche il Tribunale dell’Aja fu successivamente costretto ad escludere “l’incidente di Ra?ak” dalle accuse a Slobodan Miloševi? a causa della mancanza di prove. Nel 1999, tuttavia, Walker e Drewienkiewicz erano irremovibili.

Il 24 marzo 1999, il segretario generale della NATO Javier Solana ordinò al comandante delle truppe NATO in Europa, generale USA Wesley Clark, d’assaltare la Jugoslavia. Quella sera, tutta la Jugoslavia, incluse le città chiave (Belgrado, Pristina, Podgorica, Novi Sad, Kragujevac e Pan?evo), fu sottoposta ad attacchi aerei. Durante la notte, la nave da guerra statunitense USS Gonzalez sparò 18 missili da crociera Tomahawk sulla città di Niš. Fin dall’inizio dell’aggressione della NATO contro la Jugoslavia, ci fu la chiara discrepanza tra obiettivi dichiarati e l’operazione. Inizialmente, la NATO aveva stimato che ci sarebbero voluti due o tre giorni per “porre fine al genocidio della popolazione albanese del Kosovo” attaccando le strutture militari jugoslave a sud del 44° parallelo. Se i leader del Paese continuavano a resistere, gli attacchi agli obiettivi a sud del 44° parallelo sarebbero aumentati per una settimana. Se Belgrado si rifiutava ancora di fare concessioni, allora l’intero Paese sarebbe preso di mira, compresa la capitale. In realtà, tuttavia, tutta la Jugoslavia, tra cui Belgrado, Novi Sad e Podgorica, fu attaccata poche ore dopo l’inizio dell’operazione. Invece degli originali due o tre giorni, gli attacchi aerei continuarono per due mesi e mezzo. Il piano escluse categoricamente un’operazione di terra. Un confronto diretto coll’esercito jugoslavo sul campo fu considerato inaccettabile, date le perdite previste e l’eventuale escalation del conflitto in una guerra prolungata a causa delle mentalità serbe e montenegrine e della resistenza di queste popolazioni all’aggressione estera.

Dopo la caduta del blocco sovietico, Washington e suoi alleati non avevano come opzione praticabile avere un Paese in Europa capace di perseguire politiche indipendenti e di difendere i propri interessi. La natura crudele, fredde e disumana dell’operazione aveva lo scopo di mostrare a tutti ciò che gli attende se fossero abbastanza coraggiosi da ostacolare la “democrazia occidentale”. I leader politici e militari della Jugoslavia e della Serbia furono tra i primi a sperimentare le tecniche di guerra ibrida e quelle che ora vengono comunemente definite “notizie false”.

Chi orchestrò la distruzione della Jugoslavia e come?

La crociera del Britannia

E’ stato nel numero  del 3 febbraio 1993 di “L’Italia Settimanale”, direttore Marcello Veneziani, e per cui lavoravo anch’io. L’articolo rivelava per primo che meno di un anno prima, il 2 giugno 1992, “a bordo del regio yachtBritannia (che si trova “per caso” nelle nostre acque territoriali) dei rappresentanti della BZW (la ditta di brocheraggio della Barclay’s), della Baring   § Co., della S.G. Warburg , e  dai nostri rappresentanti dell’ENI, dell’AGIP, di Mario Draghi del  ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell’IRI, Giovani Bazoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone del Crediop e da alti funzionari della Comit, delle Generali e della Società Autostrade [danno] il via alla svendita dello Stato. Prime vittime annunciate, i patrimoni industriali e bancari più prestigiosi.  Il nome dell’operazione èprivatizzazione”. Formula magica presentata alla collettività come unica cura per risanare la nostra economia e che invece  nasconde un business di proporzioni incalcolabili […] fra le famiglie del capitalismo, banche e signori della moneta. Accordi e strategie politiche ben precise: scippare agli Stati,  considerati un inutile retaggio del passato e un odioso freno la globalizzazione del mercato, la sovranità monetaria”.

Che ve ne pare, come attualità, ora che Mario Draghi torna venerato a qualche massima carica che è stata approntata  per lui? Traggo queste righe  dal libretto di Michele Rallo, “La Crociera del Britannia”, Dino Grammatico Edizioni, per un buon motivo. Rallo, di Trapani, che è stato deputato di Alleanza Nazionale per due legislature dal 1994 al 2001, ebbe la dignità civile di fare quattro interrogazioni parlamentari per sapere cosa s’era deciso sul Britannia: quattro interrogazioni  al governo Amato, al governo Ciampi, al governo Berlusconi. Senza mai ottenere risposta.

Attenzione alle date, consiglia giustamente Rallo:   i media erano  pieni dello scandalo di Mani Pulite (cominciato a febbraio  ‘92)  delle ondate di arresti eccellenti, della crisi del governo democristian-socialista,  le elezioni di aprile avevano segnato la liquidazione politica di Craxi e di Andreotti e il vuoto di potere reale della classe dirigente  – il primo e originale Golpe degli Onesti –  conGiuliano Amato capo di un governo di emergenza. Come non  bastasse, il 23  maggio era stato ucciso il giudice Falcone nel famoso mega-attentato; i media   avevano le migliori scuse per non riferire che, all’orizzonte di Civitavecchia, era comparso il Britannia dove uno sconosciuto funzionario del Tesoro di nome Draghi era presente all’incontro  dove (precisa un’altra interrogazione di Rallo) “fu decisa  la dismissione delle aziende a partecipazione statale […] Le procedure di vendita sono a buon punto per Maccarese e Italstrade, e c’è la conferma della volontà di quotare in Borsa, scendendo sotto il  51%, anche le azioni della Società  Autostrade”  :  che sappiamo in quali mani  private è finita, a render lucri inverosimili ingiustificati.

Per di più, a settembre del ’92, ecco l’attacco di George Soros alla lira, che “obbliga”  Ciampi  a svalutare del 30% dopo una inutilmente ostinata  (e sospetta) difesa della nostra valuta,  che costò all’erario  una perdita valutaria di 48 miliardi di dollari,  facendo arricchire qualcun altro di altrettanto. Con la svalutazione, “calcolato in dollari, l’acquisto delle nostre imprese da privatizzare è diventato per gli acquirenti esteri meno costoso del 30%”.  Sarà certo una coincidenza  se Soros riceverà la laurea honoris causa dalla massonica università di Bologna, su indicazione(si dice) di Romano Prodi, uno degli artefici maggiori della esaltante stagione delle privatizzazioni.

A rivedere  il film di quei tempi che ho vissuto,  resto colpito dall’accumulo straordinario di eventi enormi che avvennero tutti in pochi mesi del 1992. Il  7  febbraio, il Trattato di Maastricht:  17, arresto di Mario Chiesa e inizio della tempesta giudiziaria di Mani Pulite;  aprile, le elezioni disastrose per i vecchi partiti, e che vedono l’affermazione di Lega Nord e di Rete (Leoluca Orlando), i due “partiti degli Onesti” dell’epoca, con molti punti in comune con il grillismo odierno.  Il 27 aprile, le dimissioni anticipate di Cossiga, “perché ci vuole un presidente forte” per  reggere  il timone nella tempesta (e tenere a freno le procure) e lui, prossimo alla scadenza  e dunque al semestre bianco, non lo è. A maggio la morte di Falcone;  a giugno, l’arrivo del Britannia; a settembre Soros che attacca la lira. E in questi mesi Amato, Ciampi, Prodi, Andreatta che ci danno dentro  con le privatizzazioni delle aziende a partecipazione pubblica. Con un governo Ciampi  che  è il primo di uno  al di fuori del  parlamento (meglio: il secondo, il primo fu il governo Badoglio), e pieno di “tecnici”, ossia gente delle banche e della finanza.

Cronologia di Mario Draghi

Ciò  che non ricordavo è la provenienza di Draghi. Com’è che appare al Tesoro,  e come direttore generale? Dove stava, prima?

Era direttore esecutivo, ossia altissimo dirigente, della Banca Mondiale. Dal1984 al 1990.  La Banca Mondiale, fondata nel ’45 dopo Bretton Woods come primo pilastro del futuro Governo Mondiale;  quello di cui il banchiere Warburg disse al Senato, nel 1950: “Avremo un governo mondiale, vi piaccia o no – o col consenso o  con la forza”.  E’ alla Banca Mondiale  che  Bush jr. ha messo il  suo complice-chiave del’11 Settembre, il Paul Wolfowitz dal doppio passaporto.

Dunque Draghi aveva alle spalle una eccelsa carriera nel mondo della finanza anglo, in corso dal 1984 al 1990.  Ma proprio nel 1990, per divina ispirazione, lascia l’America  e torna in Italia. Nel 1991, viene nominato alTesoro: Direttore Generale. Da chi? Dal ministro di allora, Guido Carli,“co-autore con Giuliano Amato della legge delega che aveva avviato la privatizzazione” della Banca d’Italia.  In tempo per salire sul Britannia. Un “tecnico”. E’ possibile, ma non c’è prova, che ci fosse anche Andreatta.  Se fosse vero, era l’unico politico italiano invitato. Se si può chiamare “politico” quello che attuò il divorzio fra Tesoro e Bankitalia nell’81.

IL PRIMO ” PUTSCH DEGLI ONESTI”

Il sacrificio di Siri

Ancor più importante: molti studi economici e sociologici evidenziano come, su scala mondiale, la criminalità organizzata è divenuta estremamente potente sul piano politico e addirittura possa soppiantare i governi, girando somme enormi riveniente da traffici illeciti (droga, armi, riciclaggi). Su questa enorme liquidità, che per il 60% circa si ricicla nelle banche statunitensi, si regge la stabilità di interi sistemi bancari del “mondo libero”.

In conclusione, lo scandalizzarsi per (l’ipotesi di) contatti tra qualche personaggio politico o istituzionale e ambienti affaristici della criminalità organizzata, è pura ipocrisia o grave ingenuità.

Peraltro, via via che si fanno istituzionali, le mafie, pur conservando il loro scopo di profitto e controllo politico, modificano i loro metodi e diventano per così dire civili. La mafia burocratica, la mafia ministeriale, la mafia legislativa, la mafia giudiziaria assomiglia ben poco alla mafia dagli stereotipi, alla mafia della coppola e della lupara; è una mafia in doppiopetto, felpata, che spende molto per legittimarsi e uccide moderatamente, che controlla i mass media, che modella l’opinione pubblica e la sua percezione del mondo, che in sostanza si è assimilata alla gestione normale del potere politico e al suo stile usuale (salvo mantenere modalità vetero-mafiose in campi come l’esazione fiscale nostrana).

In fondo, l’organizzazione criminale di tipo mafioso altro non è che una forma molto efficiente, e pertanto vincente, di organizzazione e gestione di interesse e potere. Per questo si afferma e dilaga e soppianta altre istituzioni e controlla i cartelli delle materie prime, dell’informazione, e soprattutto del credito, della moneta, del rating. È una realtà pragmatica, che è errato inquadrare e giudicare limitativamente con categorie giuridiche, morali e emotive, per quanto essa possa essere ripugnante emotivamente e moralmente.

 

Nella sua auto-narrazione, il sistema si professa come fondato su precisi principi: la trasparenza e sincerità, la complessiva conformità a etica e legge, la democraticità dell’azione politico-istituzionale. Ma questi principi sono solo la verniciatura della realtà, la quale funziona in modo completamente indipendente da essi. Essi hanno a che fare con la realtà solo nel senso che sbandierarli serve a nasconderla. La violazione delle regole legali e dei principi morali, assieme all’inganno, è funzionale e indispensabile per il profitto e per il potere. Però, nella narrazione per il popolo, il malandare delle cose e le ingiustizie non possono essere attribuiti a questa realtà, perché si disturberebbe il consenso, bensì a capri espiatori (gli ebrei, i comunisti, i fascisti, il nemico di classe, gli infedeli, etc.). Ogni sistema di potere completa la sua propria auto-narrazione aprendo, al proprio interno, uno spazio di dialettica consentita, onde ciascuno possa trovare il colpevole per lui più verosimile per le ingiustizie e per il malandare (il liberismo, il socialismo, l’Europa, gli euroscettici, etc.) e possa aderire a un partito che promette di risolvere i mali sconfiggendo quel colpevole. In questo modo, si produce e mantiene il consenso popolare, detto democrazia.

10.05.19 Marco Della Luna

Guerra mediatica

“E  gli assorbenti lavabili sono nel contratto?”. Ecco una domanda assolutamente da fare. Perché sono il puro,  originario programma 5S: pannolini lavabili, giacche rivoltabili, calzini rammendabili, pneumatici (dei riksciò)   da rappezzare, scarpe vecchie da  risuolare, rumenta da cui campare cercandoci dentro cose da recuperare.  Autostrade da lasciar crollare perché tanto andremo tutti in bicicletta, e io cosa ci vado a fare a Lione, che mi  frega.

Il ritorno alla coppetta. Decrescita felice.

E’  la  già nota decrescita felice, aggravata adesso dall’originario moralismo degli Onesti, manette e carcere  prima che la  “corruzione” sia  anche  solo minimamente provata:  la condanna  viene pronunciata da Travaglio  sul Fatto Quotidiano, a nome delle procure, e tanto basta.

Questo che il governo viene attuando è  il programma dei 5 Stelle. Ma  non è, mi pare, quello delle Lega. Quello per il quale la lega ha dato il  suo appoggio del 17% al movimento del 33%.

L’idea originaria – così ci avevano dato la sensazione – era diversa e grandiosa: ci uniamo per andare contro la UE, eventualmente realizzare il piano B, frenare ad ogni costo l’immigrazione africana che Renzi aveva contrattato con la UE per avere in cambio un po’ di soldi in deficit da mettere in tasca di alcuni; sforare il 3, uscire dalla Prigione dei Popoli  che ormai è la UE….

“Gli assorbenti da lavare sono nel contratto?”

 

Guerra commerciale

Global Times, 17/5/2019

Una lettera scritta da He Tingbo, Presidente di HiSilicon, società di semiconduttori della Huawei, è stata resa pubblica. La lettera è toccante ricevendo il sostegno pubblico. La lettera diceva che i dipendenti della società hanno intrapreso il più entusiasmante viaggio nella storia della tecnologia negli ultimi anni realizzando componenti per la Huawei e ora questi prodotti saranno finalmente utilizzati. Huawei non è solo forte ma saggia, sobria e tenace. L’esclusione delle forniture dagli Stati Uniti non sconfiggerà Huawei, che da tempo si prepara a tale momento buio. Al contrario, Huawei diventerà ancora più forte. Huawei è il simbolo della capacità della Cina di condurre ricerche indipendenti. In quanto società privata, è il precursore delle riforma e apertura della Cina. Era profondamente impegnata nello sviluppo delle comunicazioni globali divenendo leader della tecnologia 5G. Che Huawei non perderà cogli Stati Uniti è significativa come risposta della Cina alla repressione strategica degli Stati Uniti, che hanno completamente abbandonato i principi commerciali e legali. Il comportamento troglodita nei confronti di Huawei, ricorrendo al potere amministrativo, può essere considerato una dichiarazione di guerra alla Cina in campo economico e tecnologico.

Consigliamo anche di leggere https://ilsimplicissimus2.com/2019/05/19/i-garage-del-nostro-scontento/

ricordando anche la sparizione dal mercato delle europee Commodore 64 e Amiga.

 

Giustizia proletaria

Bisogna infatti sapere che quegli inquilini, residenti nel condominio di Via Santa Croce in Gerusalemme, numero 55, ex sede dell’INPDAP; sono tutti abusivi; e che non sono abusivi arrivati alla spicciolata, bensì membri di una specie di centro sociale dedito alla politica delle occupazioni abusive, denominato Action, i quali si sono insediati lì fin al 2013, cioè da sei anni. In altre parole, il gesto di solidarietà del cardinale Krajewski, presentato come una specie di obbligo morale di fronte a una situazione di emergenza, che vede coinvolti anche un centinaio di minorenni, è, in realtà, a tutti gli
effetti, un gesto di solidarietà politica nei confronti di persone che da
anni calpestano le leggi, se ne infischiano dell’onestà, non pagano
l’affitto né gli altri servizi, pretendono di vivere alle spalle della
comunità e recitano la parte delle vittime di chi sa quale ingiustizia
cosmica, mentre le vere vittime sono gli italiani poveri e dignitosi che
l’affitto e le bollette cercano di pagarli comunque, e che, ad ogni modo,
mai si sognerebbero di pretendere come un diritto la libertà d’infrangere la
legge e mai ricorrerebbero ad atti di forza che, se divenissero
generalizzati, segnerebbero l’inizio dell’anarchia più totale e di uno stato
di guerra civile permanente. Tecnicamente parlando, l’incursione del
cardinale nel condominio romano ha un nome preciso: si chiama istigazione a delinquere.

La contro-chiesa dei morti va all’assalto dello Stato

Ancora?

Non c’è solo la giustizia, però. Sull’economia, fin dall’inizio della legislatura è stato evidente che le differenze fra i programmi dei Cinque Stelle e quelli della sinistra sono davvero marginali, essenzialmente questioni di tempi e di grado. Potenziare il reddito di inclusione, il mantra del Pd nei primi mesi della legislatura, non è cosa diversissima da quel che Di Maio ha effettivamente fatto, ossia depotenziare il reddito di cittadinanza. Se i 2-3 miliardi di stanziamento del Pd vengono aumentati a 6 o 7, e i 15-16 miliardi dei Cinque Stelle vengono ridotti a 8-9, il risultato macroeconomico è più o meno il medesimo: parliamo in entrambi i casi di una misura assistenziale, che comunque – finché qualcuno non si decidesse a riorganizzare i centri per l’impiego – verrebbe gestita nella confusione e nella disorganizzazione. O qualcuno pensa che dove Di Maio pasticcia, Poletti avrebbe fatto faville?
Stesso discorso sul salario orario minimo, dove le differenze fra Pd e Cinque Stelle sono davvero marginali, e riguardano semmai i rapporti con la contrattazione collettiva.

Si potrebbe obiettare che almeno su un punto, l’Europa, sinistra e Cinque Stelle si muovono su lunghezze d’onda diverse. Forse è vero, almeno nelle intenzioni, ma persino su questo terreno i punti di contatto sono numerosi. L’estrema sinistra è da sempre schierata contro il rispetto del tetto del 3% e a favore di un incremento della spesa pubblica «per stimolare la domanda e rilanciare gli investimenti», come si sente ripetere ad nauseam. Sui temi dell’ecologia e dell’ambiente i Cinque Stelle sono indistinguibili dai Verdi, una delle forze progressiste che stanno rialzando la testa in Europa. Quanto ai temi del lavoro, l’ostilità alle riforme renziane (articolo 18 e Jobs Act), gradite all’estblishment europeo, accomuna l’estrema sinistra e una parte del Pd, specie dopo la svolta a sinistra impressa da Zingaretti.

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61939

Nero veneziano

Si ce n’era di gente che avrebbe dovuto capire che questo progetto di sviluppo “armonioso” affidato a un Consorzio per lo sviluppo del porto e della zona industriale di Porto Marghera condizionato dai grandi gruppi, Montecatini ed Edison era illusorio.

il Simplicissimus

Francesco CossigaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Quando si affacciò sulla scena politica della città, amici e detrattori lo paragonarono a un giovane Kennedy lagunare, intelligente, brillante, spregiudicato, con una laurea in chimica riposta in un cassetto insieme a una promettente carriera universitaria, una moglie ereditiera, con un congiunto ingombrante, che rivendica di sostenerlo ma senza metterci i quattrini di papà. Lui e la dinastia familiare che via via acquisiva influenza, anche per via delle leggende metropolitane sulla mamma volitiva, che, si diceva, aveva fatto laureare il giovane marito già padre, laureandosi insieme a lui,  o che, dopo che uno dei rampolli era stata menato da un bullo, si era presentata all’università e aveva preso per la collottola e redarguito l’incauto giovinastro, o anche che seduta a tavola in quella sobria casa borghese in calle dei Ragusei, partecipava dei propositi dei due figli maggiori, l’uomo politico e l’uomo di cultura, impegnati a…

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La canapa sarà la pianta del futuro

Posted: 10 May 2019 12:36 PM PDT

Marco Cedolin

La canapa, abitualmente suddivisascientificamente fra“cannabis sativa” e “cannabis indica” è una delle più antiche piante coltivate dall’uomo. Originaria dell’Asia meridionale si diffuse in Europa a partire dal VII secolo A.C. e nel continente americano nel corso del XVI secolo. L’Italia all’inizio del Novecento era il primo produttore europeo di canapa con oltre 100mila ettari di coltivazioni indirizzate in larga misura al settore tessile e per decine di migliaia di famiglie la canapa costituiva la principale fonte di reddito…..

La coltivazione della canapa che nell’antichità ha permesso la creazione delle vele per far correre le le navi e delle corde per ormeggiarle non è però legata solamente alla produzione di tessuti, ma anche alla produzione di carta, cosmetici, saponi, biscotti, pane, pasta, detersivi, vernici, mattoni per la bioedilizia, è utile nella bonifica di terreni altamente inquinati e si presta a numerosi usi terapeutici in campo medico.
Nonostante le enormi potenzialità di questa pianta negli ambiti più svariati, o forse proprio a causa di esse, a partire dagli anni 30 del secolo scorso la coltivazione della canapa è stata fortemente osteggiata, dal momento in cui nel 1937 negli Stati Uniti, sotto la spinta dei magnati dell’industria petrolifera e di quella chimica, fu approvata la ” Marijuana tax act” che proibiva, in modo diretto o indiretto, la coltivazione della canapa per qualsiasi uso, anche industriale o terapeutico. Il cavallo di Troia usato dai portatori dei grandi interessi industriali per boicottare la canapa che avrebbe potuto mettere a repentaglio i loro affari, ed innalzare contro di essa il muro del proibizionismo, fu proprio la presenza dei cannabinoidi nella resina che impregna le infiorescenze delle piante. I cannabinoidi, il più importante dei quali è il THC, sono sostanze dagli effetti psicoattivi che al tempo stesso possiedono svariate proprietà terapeutiche e proprio sugli effetti psicoattivi della canapa i proibizionisti hanno costruito il proprio teorema, stigmatizzando una pianta millenaria sotto forma di una droga pericolosissima da colpire e proibire in ogni maniera possibile.
Come abbiamo scritto in precedenza, dal punto di vista terapeutico la canapa è estremamente efficace come analgesico, antiemetico, antidepressivo, nel trattamento dell’emicrania, in quello dell’epilessia, del glaucoma, dell’asma e sta manifestandosi molto utile nella terapia di pazienti affetti da malattie oncologiche e degenerative come la SLA. A livello industriale la canapa ha dimostrato di essere una delle piante più efficaci per ottenere il fitorisanamento dei terreni, tanto da essere stata usata nella bonifica dell’area circostante la centrale di Chernobyl e più recentemente nei terreni contaminati dall’Ilva di Taranto.
Dopo quasi un secolo di ostracismo, negli ultimi anni sta diventando sempre più evidente come il mondo moderno non possa più permettersi a lungo di fare a meno della canapa. Le devastazioni ecologiche provocate dall’industria chimica e petrolifera sono ormai talmente ingenti da rendere imprescindibile un profondo ripensamento riguardo all’utilizzo della canapa a livello industriale, laddove le sue qualità la qualificano come un’alternativa sostenibile ai processi chimici attualmente in uso. Alla stessa stregua anche in campo medico il ricorso alle proprietà della canapa diventa tanto più necessario quanto più si evidenziano gli effetti collaterali ed i limiti connaturati in molti farmaci sintetici.
Con buona pace del proibizionismo e dei proibizionisti, la canapa ha insomma tutte le carte in regola per essere definita a pieno titolo la pianta di un futuro più rispettoso della natura, attento allo stato di salute degli ecosistemi e sensibile al benessere umano, prima che a quello delle multinazionali che hanno fin qui maldestramente gestito le sorti dell’umanità.
Marco Cedolin